MARIA TERESA D’ASBURGO: L’ECCEZIONALE IMPERATRICE CHE SI COMPORTO’ DA UOMO
LA SUA IMPRONTA RESE GRANDE TRIESTE, CHE AMO’ DA LONTANO

In questi nostri tempi, in cui le rivendicazioni di genere sono ancora così forti, da Trieste ci viene additato un esempio di virtù muliebre d’oltralpe che risale al “mondo degli imperi da noi vituperato, ma che ha esaltato le donne avendole avute al massimo vertice, prima che il mondo nato dalla Rivoluzione Francese si regolasse sugli uomini”, per dirla con lo storico Paolo Mieli nella sua commemorazione di “una grande donna alla guida di un grande impero”. Parliamo di Maria Teresa D’Asburgo, arciduchessa d’Austria che, nata a Vienna il 13 Maggio 1717, secondogenita dell’imperatore Carlo VI e della principessa Elisabetta Cristina di Brunswick Wolfenbuttel, in base alla Prammatica Sanzione istituita dal padre nel 1713 ereditò il trono. Ma perché, appena ventitreenne, le fosse riconosciuto quel suo diritto di successione, alla morte dell’Imperatore nel 1740 fu costretta ad una sanguinosa guerra contro il tentativo di metterla da parte di Federico II di Prussia e le mire territoriali di Francia e Spagna: essendo riuscita, anche se a costo di alcune concessioni, a concludere la pace di Aquisgrana del 1748, con cui le fu riconosciuto il diritto alla guida dell’Impero che governò con grande determinazione, con la morte dell’amatissimo consorte Francesco I di Lorena, ormai vedova inconsolabile ritiratasi da buona parte della vita pubblica, portò avanti l’incarico con il figlio Giuseppe II sino alla conclusione, nel 1780, della sua vita di donna straordinaria, che era stata capace di ricostruire il suo grande Impero. Riuscì non solo a contenere le mire di conquista di tanti antagonisti, tenuti a bada anche con l’istituzione di un esercito permanente e soprattutto con la fedele alleanza dell’Ungheria che l’aveva incoronata regina, ma anche a promuovere un programma di risanamento finanziario e, soprattutto, di attuazione dello “stato di benessere”, secondo il suo ideale, di avanzato grado di civiltà, la cui diffusione aveva voluto favorire innanzitutto con l’istituzione di scuole popolari e revisione dei pubblici servizi.
Per quanto ci riguarda più da vicino, in questo anno 2017 che volge al termine si è voluto celebrare il trecentesimo anno dalla nascita di Maria Teresa D’Asburgo in una Trieste che, mai dimentica del profondo legame che l’aveva unita a Vienna e all’Impero Austroungarico dal 1382 sino al primo decennio del secolo scorso, ha inteso riesumare anche l’orgoglio di essere stata prediletta da quella grande Imperatrice, cui ha dedicato un susseguirsi di eventi organizzati in collaborazione fra Regione FVG e Iniziativa Centro Europea (Ince), con il patrocinio di Unesco e Comune. Le celebrazioni sono partite lo scorso 8 aprile, con l’esibizione della Banda imperiale al teatro Verdi, e sono proseguite poi con l’alternarsi di mostre recanti oggetti (tra cui medaglie, cartoline e foto) d’epoca e documentazione varia relativa all’ economia portuale e commerciale della Trieste teresiana, come quella del Museo postale e telegrafico della Mitteleuropa e l’attiguo spazio Filatelia o presso il Magazzino delle Idee. Si sono svolte sfilate di parate e carrozze, insieme a concerti di musica mitteleuropea in età teresiana di Luciano Santin e valzer in onore della “star” Maria Teresa, da onorarsi anche con targhe toponomastiche oltre che con la posa in opera di un monumento che, perpetuandone l’augusta figura, dovrebbe essere esposto nella centralissima piazza attigua al canale di Ponterosso.
D’altra parte, niente avrebbe potuto evitare che si tramandasse, di padre in figlio, l’amore per la Sovrana Asburgica che, nei suoi panni di donna eccezionale dotata di grande temperamento, con decisionismo e senso pratico volle fare di Trieste una splendida città. E così ci è infatti pervenuta, forgiata dalle cure lungimiranti di questa Imperatrice che, non a caso, aveva meritato l’appellativo di “Madre di Trieste”, nonostante non vi avesse mai messo piede perché, avendo avuto buoni motivi di considerarla “un punto fermo nel suo Impero”, aveva dovuto starne lontana per seguire le gravi situazioni degli altri territori, da sottrarre alle mire degli Ottomani. Proprio come una madre che non avrebbe potuto far mancare le sue attenzioni a una fortunata “figlia” prediletta, pur nell’avere dovuto anteporre il correre in soccorso dei figli più bisognosi, Maria Teresa aveva sempre colmato Trieste di un amore a prova di distanza. Con l’esaltare quell’essere della città già in linea con la avanzata civiltà Asburgica, volle renderla “grande” ponendola al centro di ogni progetto di ammodernamento ideato con spirito creativo e notevole gusto estetico, peculiarità “Teresiana” che l’Italia tutta, come il resto del mondo, anche ai nostri giorni può apprezzare in questa città Mitteleuropea.
Proprio con questo suo particolare “respiro di internazionalità” per l’impronta Asburgica che la caratterizza, Trieste si offre agli occhi di tutti apparendo come un “mondo a parte” nel territorio Italiano. Nonostante i nostri moti risorgimentali avessero rivendicato lo Ius Soli per la Italianità di questa città - che le sorti della prima guerra mondiale ratificarono ma che, a conclusione della seconda guerra mondiale, il trattato internazionale di pace del 1947 disconobbe, rendendo Trieste “Free Territory” sotto una prima amministrazione militare delle Potenze unite Angloamericane -, essendosi acuita, ai nostri giorni, la rivendicazione dell’invalicabilità del suddetto trattato di pace perché gli accordi di Osimo, intervenuti trent’anni dopo fra l’Italia e l’ex Iugoslavia per sistemare i rispettivi confini, avrebbero solo evitato che Trieste, comunque “free” (libera), fosse finita inclusa nel territorio Titino mentre, a carico del Governo Italiano, sussisteva il compito di quell’amministrazione civile fiduciaria che, comunque, non avrebbe potuto significare “sovranità” dell’ Italia su Trieste.
Sembra evidente che ci si fosse sentiti costretti a non ostentare tributi a un simbolo storico così pregnante come Maria Teresa D’Asburgo, proprio in base a motivi di opportunità politica relativa alla ultra sessantennale connotazione di Trieste città Italiana, per quanto decisamente contestata dalla parte filo-indipendentista della comunità che, però, anche relativamente alla parte filo-nazionale, quest’anno è risultata compatta nell’aver inteso riaffermare apertamente un amore mai sopito come, sempre a dire di Paolo Mieli, “la memoria di Maria Teresa è rimasta, a Trieste, sotto traccia quale fiume carsico che non si vede ma tutti sanno che c’è”. Altresì, non sarebbe un caso, ma sembrerebbe legato alle correnti rivendicazioni portate avanti in ambito internazionale, se non si sia temuto di mettere da parte le ragioni opportunistiche di non urtare la suscettibilità dell’amministratore Governo Italiano con l’attuale commemorazione solenne di questa Regnante, simbolo tutt’altro che italico; come avrebbero potuto dire i sostenitori di Trieste- Free Territory e come, implicitamente, è sembrato trasparire non solo nell’ammissione di Paolo Mieli circa quel latente ricordo sempre vivo come fiume sotterraneo; ma, ancor più, nell’avere rapportato l’attuale commemorazione a “un piccolo atto rivoluzionario in quanto celebrare Maria Teresa D’Asburgo è qualcosa che fino a poco tempo fà non avremmo avuto il coraggio di fare”.
Nella appassionata lectio magistralis “Ritratto di Maria Teresa”, per cui Paolo Mieli ha ricevuto il consenso di scroscianti applausi dalla folla di mille persone accomodate in due sale della Stazione Marittima di Trieste, non è potuta mancare la menzione delle opere che hanno fatto “decollare” una Trieste che “a Maria Teresa deve praticamente tutto”, a cominciare dalle misure di promozione del traffico marittimo, che l’Imperatrice incrementò a favore della città, addirittura istituendo una Scuola Nautica.
Di contro a quel tempo “di semina e di sperimentazione” di Carlo VI, tutta una serie di editti sta a testimoniare il tempo “della raccolta” di cui fu artefice Maria Teresa con l’attuazione di opere basilari come lo scavo di Canal Grande (attuale Ponterosso) ma anche, partendo dallo “squero vecchio” per il rabbercio delle imbarcazioni, l’apertura dei primi cantieri panfili e l’ampliamento, in base a modello olandese, della darsena sui collettori delle saline. Mentre Demetrio Bornovic rimaneva l’unico corsaro che avrebbe affiancato Maria Teresa nelle battaglie per mare, dall’Inghilterra, dalla Francia e dall’Olanda fu ingaggiata bassa forza immigrata per favorire i traffici del Porto Franco e, su idea di Demetrio Carciotti proveniente dalla Borea, si introdusse il servizio di catering e di annotazione delle prese di carico e scarico a bordo oltre quello di spedizioniere.
L’Imperatrice volle che queste opere rientrassero in un progetto più lato, con la via Commerciale (ex Svaribregnerse verso Lubiana) e la passerella-molo San Carlo collegate a una grande piattaforma di lancio commerciale sulla terraferma, tesa anch’essa verso gli interessi marittimi ma anche grande emporio urbano con la nascita delle manifatture (cui sarebbero seguite le prime società assicurative messe su dai mercanti). Da qui, l’avvio del colossale laboratorio di radicale trasformazione con l’abbattimento delle mura medioevali per unire la parte più vecchia del quartiere Cavana con la parte più nuova, fondando il moderno Borgo Teresiano, modello di riforme che avrebbero cambiato la originaria Tergeste in quella che si sarebbe voluto chiamare Teresopoli. La prima innovazione fondamentale fu la costruzione dell’acquedotto con la regolarizzazione della idrografia cittadina partendo da un torrente in circolo, attraverso sette fontane, perché la cittadinanza potesse usufruire di acqua corrente e, nello stesso tempo, potesse scongiurare il pericolo della propagazione di incendi. Seguirono altre opere che Maria Teresa volle, soprattutto, a salvaguardia della salute della cittadinanza: la costruzione di un grande Ospedale in zona Coroneo e un orfanatrofio e il primo lazzaretto San Carlo, per arginare la piaga della peste e delle pandemie infettive, su cui sarebbe sorta la nuova zona sanitaria del lazzaretto Santa Teresa, aperto il 31 luglio 1769. Prende appunto il titolo di “Il lazzaretto teresiano e lo sviluppo di Trieste al tempo degli Asburgo” la rassegna curata da Chiara Simon e Mauro Malusa che ha inteso approfondire l’opera di prevenzione testimoniata da oggetti come il rastrello per disinfettare la posta.
Nel promuovere il progresso della città di Trieste anche attraverso una riforma scolastica popolare, Maria Teresa non tralasciò di favorire il benessere della vita cittadina. Percorse la virtuosa strada della parità di genere nel favorire il lavoro delle donne fuori casa, con la conquista dell’autonomia che diede origine alla fama delle triestine libere, equivocata a favore del “riposo del guerriero”. Indusse una cultura, sia pure nell’arricchimento da declinarsi in favore di confraternite e di ricoveri per gli indigenti, sempre volta al sociale in ogni settore, tanto nelle relazioni interpersonali quanto nei rapporti economici ed etico-religiosi.
Essendo inconfutabile che, anche ai giorni nostri, a Trieste sia sempre “imperante” l’originaria natura Asburgica sopravvissuta agli avvicendamenti storici ed emergente, non stupisce che, a dire di Paolo Mieli, la città debba considerarsi “capitale della tolleranza, incrocio di lingue, di religioni e di etnie capaci di convivere e creare sviluppo economico culturale e sociale”. Essendo rimasta indenne da contaminazioni che potessero obnubilarne l’indole fiera e appassionata derivata dalla illustre antenata Maria Teresa D’Asburgo che, al di là di tutti i suoi titoli nobiliari, era stata una donna “illuminata”, esaltata persino da Federico II di Prussia come “donna che si comportò da uomo”, il cui rilievo assume i contorni di una precognitiva affermazione “di genere” di contro al maschilismo che avrebbe caratterizzato, appena dopo la sua scomparsa, l’inoltrarsi dell’epoca dei “lumi”.
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