MARIA ZAMBRANO, O DELL’ESILIO (II^PARTE)

Il sapere dell’anima
"Illimitata, (la parola) traccia, come un geometra, limiti, le necessarie separazioni fra i verbi e fra le diverse manifestazioni del tempo, nel quale apre solchi, paralleli o meno,* sostenendo addirittura il loro divergere, perché nella relatività della vita il divergere, quando è sorretto dalla parola depositaria del senso indiviso, dell’unico, è garanzia di unità".
In "Per un sapere dell’anima", per essere realmente “vivente”, la filosofia deve rompere con un atteggiamento di egemonia della mente per farsi carico dell’essere umano nella sua interezza, riconoscendo non solo l’anima ma anche il corpo quale fonte di creatività e trascendenza, quale luogo pulsante che media il contatto con le forze sacre della materia vivente, con "i residui della matrice originaria da cui l’uomo si è strappato per vivere come un essere indipendente".
É la “ragione poetica”, quella della poesia e della mistica che, insieme con la filosofia, apre alle profondità del tutto.
La filosofia di Zambrano, nella solitudine sonora, apre la strada all’essere e nell’essere, guida timidamente verso un “sapere dell’anima”. Ai margini della mistica e della poesia, la filosofia di Zambrano necessita un abbandono, uno scarto di tutto ciò che è in superficie per poter penetrare nelle viscere, in ciò che sta nel profondo.
Zambrano esplora un pensiero che non chiede nulla, che non cerca niente se non il vuoto, la mancanza. Nello sperimentare la mancanza, Zambrano esprime un abitare un non-luogo, che si rivela non come patria, ma come spazio di decostruzione e di rinascita. Una filosofia che più che spiegare mostra e allude, che trasporta attraverso mistiche visioni verso luoghi dimenticati e un sapere antico, intraprendendo un cammino personale di rivelazione, di esilio e di reincarnazione.
Per conoscere è necessario un atto di astensione, una passività che non è rifiuto o privazione, ma è ritorno al primordiale, all’indistinto. La riconciliazione con il tutto, con il nascosto, con “la ragione materna”, si apre solo quando si è disposti all’ascolto, alla perdita di qualsiasi volontà per affidarsi alla fertilità della solitudine e dell’esilio. “La ragione materna è quella che anche di fronte alla realtà più oscura sa amare la vita”. (2019)
L’uomo e il divino
"L’uomo e il divino" è sicuramente la sua opera filosoficamente più pregnante e suggestiva, che unisce appunto l’uomo e il divino, sapendo che compito dell’uomo è "custodire" il mistero, per "conoscerlo come tale, come mistero, senza pretendere di svelarlo".
L’uomo fa esperienza del divino ancor prima di prenderne coscienza, nel delirio, che “scaturisce da un anelito del fondo più oscuro della condizione umana”, dinanzi a cui l’uomo è muto, smarrito di fronte all’impenetrabile caos primigenio, che precede le cose.
Questa realtà anteriore alle cose è “una irradiazione della vita, emanata da un fondo di mistero, che corrisponde a quel che oggi chiamiamo sacro”. In questa realtà anteriore alle cose, l’uomo riesce gradualmente ad aprire brecce, a sciogliere l’indistinto. La primaria, originaria “apertura” della vita umana alle cose che la circondano, alle circostanze, è patirle. Solo allora è possibile il manifestarsi del divino nelle sue diverse forme.
Quando l’uomo si ritrova nudo e vuoto, esiliato da se stesso e immerso nel nulla, si comporta come il sacro all’inizio della nostra storia. Il fondo sacro, dal quale l’uomo si risvegliò poco a poco, come dal sogno iniziale, riappare adesso nel nulla, aprendo la strada per un ritorno dell’uomo al divino.
All’interno di questi processi del divino, Zambrano riconosce la specificità del cristianesimo, indaga la morte di Dio e la successiva deificazione che l’uomo fa di se stesso.
La questione femminile
Il “pensiero appassionato” di Maria aspira ad una sintesi tra ragione e cuore, e dunque anche tra poesia e filosofia. Maria Zambrano cerca una modalità espressiva che concili rigore e passione, per un’adesione più profonda del pensiero alla vita. In lei la filosofia non è mai puro esercizio speculativo, ma esigenza profonda dell’essere alla ricerca di risposte vitali.
L’analisi di Zambrano va oltre i riduttivi termini della "questione femminile", pur così urge/nte: Maria riconosce come la negazione della donna reale sia sempre stata il riflesso dell’incapacità della vita umana di albergare l’amore in tutta la sua forza vitale e rivoluzionaria. Troppo spesso addomesticato e ridotto in limiti angusti di regole sociali, l’amore tende ad essere svuotato della sua potenza “capace di generare metamorfosi, di indurre trasformazione, di far germogliare il nuovo in ogni essere”.
La crescente emancipazione delle donne, portatrici potenziali di tale forza trasformatrice, si rivela troppo spesso ambivalente nel subire il fascino dei modelli maschili: "mai diremo che la donna debba diventare uguale all’uomo; per certi aspetti dovrebbe essere il contrario".
Il tema centrale della riflessione filosofica della Zambrano verte intorno alla necessità di coniugare il mondo femminile e quello maschile, tra mente che crea e anima che sente e vive. Il suo atteggiamento intellettuale, così come tutta la sua vita, rincorre il sogno di un’unione di opposti, capace di realizzare “il prodigio di vivere tra i due, conseguendo il nous senza perdere l’anima, addentrandosi per quanto è possibile nella libertà senza annientare né umiliare la vita delle viscere”.
Si tratta di un’impresa divina, che all’umano è concesso tentare, se si astiene dalla presunzione ed impara la misericordia: “questo è misericordia: che con la nostra speranza e il nostro amore arriviamo a partecipare della creazione, anticipando la verità nei sogni, sognando verità che non sono ancora vere, dando il nostro aiuto perché dal mistero la verità si sprigioni”.
La filosofia di Maria Zambrano si ispira a quelle figure di donna che, come Antigone, Eloisa e Diotima, hanno conosciuto la misericordia in quanto "hanno fatto dell’amore una filosofia di vita e della propria vita un’opera filosofica".
In modo estremamente evocativo e poetico, nel saggio "All’ombra del dio sconosciuto", l’autrice ne traccia i personaggi che definisce "aurorali" in quanto, a differenza di tanti eroi maschili, furono donne capaci di quell’offerta consapevole di sé che prelude l’atto creatore: “Prima di raggiungere l’indipendenza bisogna offrirsi, come se qualcosa di quello che la vita è in forma spontanea dovesse essere assimilato e trasformato”.
Nella filosofia che fa un tutt’uno con la vita, significa trovare se stessi, giungere finalmente a possedersi, e la verità di cui essa va alla ricerca non è qualcosa di astratto, ma assume piuttosto i caratteri della concretezza esistenziale. In questo contesto, la Zambrano elabora un’ antropologia secondo la quale l’uomo possiede una chiara coscienza della propria finitezza, che alimenta in lui nostalgia e speranza ad un tempo: è per questo che il futuro dell’uomo ha la sua sede naturale nel cuore di ciascun essere umano.
Al “cogito” cartesiano, Zambrano oppone il cuore, quella categoria agostiniana a cui Zambrano si riferisce, quando tratta della necessità che il cuore si ricomponga, che riconquisti nella compassione, la perduta armonia con la ragione. Nella sua dolentissima umanità, nel suo dignitosissimo modo, tutto umanistico, Zambrano si avvicina all’essere, senza violentarlo, con la compassione di chi sa qualcosa perché l’ha vissuta e preferisce tacere. Non dà spiegazioni, la filosofia della Zambrano si accontenta di seguire l’uomo, la sua tragedia e la sua gioia, che in un attimo ritrova tutto chiaro in sé, ma è già oltre, di nuovo solo nel bosco, viandante, alla ricerca di se stesso.
Oggi più che mai la rivolta dell’essere debba compiersi secondo una riappropriazione del proprio diritto alla sofferenza, a un dolore che è mistero, ricerca, tentativo individuale di spiegazione, che sempre si cerca e si perde.
Il pensare è per la Zambrano non tanto un analizzare quanto un osservare, un farsi testimone, un’accettazione in cui lei costruisce la sua religione del silenzio e della dignità. E’ il coraggio di restarsene ai margini con un’umiltà molto solenne, senza voler per forza piegare la realtà nelle strettoie del bene/male, vero/falso, morale/immorale. E infatti la fedeltà alla vita è "un segno di fedeltà, d’accettazione del tempo e della relatività che non rinuncia all’assoluto".
La filosofia di Zambrano, tra l’oscurità e la ribalta, rinuncia all’egemonia della ragione, alla logica speculativa, alla geometria e all’illusione di piegare la realtà alle sue leggi, una filosofia che si preoccupa meno di dimostrare e spiegare quanto di toccare “las entrañas”, capace di illuminare quelle forme intime e segrete della vita umana, attraverso le quali l’uomo si fa uomo.
Fine
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Bibliografia
M. Zambrano, I beati, SE, Milano, 2010
M. Zambrano, Chiari del bosco, Bruno Mondadori, Milano, 2004
L. Mortari, Maria Zambrano, Feltrinelli, Milano 2019
A. Savignano, Maria Zambrano, Ragione Poetica, Marietti, Genova, 2004
M. Zambrano, Per abitare l’esilio, a cura di Francisco José Martin, Le Lettere, Firenze, 2006
Maria Zambrano, L’uomo e il divino, Edizioni Lavoro, 2008
María Zambrano, L’uomo e il divino, Editrice Morcelliana, Brescia, 2023
Maria Zambrano, All’ombra del dio sconosciuto, Verso un sapere dell’anima, Raffaello Cortina, 1996
Maria Zambrano, Delirio e destino, Raffaello Cortina, 2000
Maria Zambrano, Filosofia e poesia. L’esilio come patria. Pentragon, 2009, Morcelliana, 2016
Maria Zambrano, La tomba di Antigone, SE, Milano, 2021
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La prima parte al link :
https://www.internationalwebpost.org/set/img/icone_articoli/MARIA_ZAMBRANO_O_DELL_ESILIO_SPAGNA.jpg
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