MILANO FASHION WEEK FALL-WINTER 2018/2019

FINALMENTE MODA! ...CON POCHE ECCEZIONI

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Cala il sipario sulla fashion week milanese dedicata alle collezioni autunno-inverno ’18-’19, ma non cala l’interesse suscitato dalle sfilate, una su tutte quella della maison Gucci, non solo tra i fashion editor e fashion victim, ma anche tra la gente comune che nei bar di Milano continua a commentare, tra un cornetto e un cappuccino, le collezioni e le sfilate che più hanno solleticato l’immaginario e destato curiosità. La fashion week milanese continua a far parlare di se per l’ottima moda presentata che da subito ha entusiasmato buyer e clienti anche se voci fuori dal coro ci sono state. La stampa straniera ha sottolineato la poca creatività delle maison italiane, più interessate al mercato che all’innovazione cimentandosi con un rassicurante ritorno al passato (quasi tutti riportano in passerella gli anni ’80) riproponendo capi, tessuti o colori che hanno fatto la loro fortuna, vedi Prada che riporta in passerella il tessuto nylon che tanta fama le ha dato negli anni novanta. Lo stesso Armani rispolvera il suo tanto amato color greige (mix tra grigio e beige) e il suo iconico tailleur pantalone, la moda italiana viene accusata di vendere solo perché propone sempre la stessa minestra, ma “cucita” in mille modi diversi. Io sono in completo disaccordo con queste critiche perché è mille volte meglio prendere spunto da anni passati o riproporre in chiave moderna alcuni capi must di una maison che andare in giro con un abito a forma di biberon come quello visto in passerella alla fashion week di Londra solo per rendere omaggio all’estro creativo dei designer. La moda non è solo un puro esercizio stilistico e la passerella non è uno sfogatoio dell’ego del designer, la moda è espressione di cultura ed eleganza e deve avere come scopo principale quello di diffondere il senso del bello nel mondo e questo è possibile solamente se la gente indosserà i capi che ha visto in passerella o in uno store. Sono pienamente d’accordo con Giorgio Armani che ha preso le distanze dalla tanto chiacchierata sfilata di Gucci dichiarando che non c’è bisogno di stupire per vendere e che la provocazione a tutti i costi non è sinonimo di genio creativo. La fashion week milanese si è chiusa con tanti vincitori e pochi perdenti eccellenti come l’osannato direttore creativo di Gucci Alessandro Michele e ahimè, tocca dirlo, la designer Miuccia Prada.

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Tocca a Moncler dare il via alla settimana della moda milanese scegliendo di non presentare a Parigi, in questo momento in piena fashion week, il suo nuovo progetto “Genius”, ma a Milano coinvolgendo otto famosi designer tra cui Pierpaolo Piccioli direttore creativo di Valentino che sono stati chiamati a reinterpretare l’iconico piumino con otto capsul collection. Il risultato è un futuro prossimo fashion che ci vede vestiti di tessuto imbottito dalla testa ai piedi.

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Non potevo non iniziare con la sfilata di Gucci che ha suscitato tanto scalpore lasciando al termine della sfilata quel senso di smarrimento descritto benissimo da Giorgio Armani. Nel Gucci Hub viene allestita una sala operatoria con le sedie degli invitati che ricordano quelle di una sala d’attesa di un pronto soccorso e tra lettini, pareti in pvc e luci asettiche sfilano modelle che portano a spasso piccoli draghi o con sottobraccio la propria testa mozzata come borsetta. Anche la colonna sonora della sfilata è in pieno mood con suoni che rievocano il bip dei monitor per il controllo del battito cardiaco. Per il designer Alessandro Michele l’atmosfera della sala operatoria rievoca il lavoro del designer che taglia e cuce tessuti e materiali più diversi per dare vita ad una nuova creazione. In tutto questo bailamme quasi ci si dimentica dei capi indossati dalle modelle e forse è stato un bene visto la confusione di stili, di un mix and match improbabile che nell’intenzione del designer doveva rappresentare l’essere cosmopolita, una fusione di luoghi e tempi diversi peculiarità dei tempi moderni (intento invece pienamente riuscito alla maison Etro e alla sua bellissima collezione cosmopolita di un elegante e riuscito mix and match). Il risultato invece è stato una collezione difficilmente spendibile nella vita di tutti i giorni, certo i contrasti sono da sempre il DNA del brand, ma in questa collezione il limite è stato superato, a mio parere ci si è concentrati solamente a soddisfare i giovani e facoltosi clienti giapponesi, cinesi e sud coreani che non il gusto europeo.

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Un’altra delusione eccellente è stata la collezione di Miuccia Prada che nella torre della Fondazione Prada ha messo in scena una Milano notturna e post industriale illuminata dai loghi del brand. Una collezione per una donna forte e libera che ama la notte e non ha paura di vivere la città anche al buio, per cui non si può fare a meno del nylon, del concetto di sportswear, dei dettagli fluo per farsi riconoscere nella notte, si mescolano femminilità fatta di paillettes, tulle e cristalli e mascolinità fatta di tessuti tecnici come il cappotto in nylon che diventa quasi una sorta di corazza per difendersi dalla violenza delle metropoli. Pur amando Prada e il suo concetto di femminile mitigato dallo sportswear questa collezione non sono proprio riuscita a farmela piacere, troppo “ruvida” dai volumi eccessivamente over e tagli che mortificano la silhouette con accenti di colori fluo che sono un pugno nell’occhio e quell’uso smodato del marroncino (colore che dovrebbe essere vietato per legge) che non dona a nessuna donna qualsiasi sia la sua carnagione e colore di capelli.

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Moschino invece ci porta grazie all’idea geniale del designer Jeremy Scott prima dritti dritti negli anni cinquanta con le modelle che sembrano dei cloni perfetti dell’indimenticabile Jacqueline Kennedy con i suoi tailleur pastello e i suoi amati cappellini ton sur ton, poi in pieno mood futuristico con le modelle dalle sembianze aliene con la pelle colorata di giallo, verde e turchese. Al di là delle trovate da passerella la collezione di Moschino è super glam, ricercata nei dettagli e nelle linee perfette che perdono quella patina stantia di formalità grazie alla scelta di colori very strong. La cosa più bella sono stati gli abiti da cocktail impreziositi da applicazioni scintillanti e da sapienti drappeggi, un mix perfettamente riuscito tra il passato (il richiamo agli anni cinquanta e al suo glamour) e il futuro prossimo (colori strong e stampe pop).

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La maison Max Mara per il prossimo inverno cambia decisamente rotta suscitando non poco stupore tra i buyer e le sue clienti più fedeli. La nuova donna Max Mara perde la sua allure classica e bon ton strizzando l’occhio agli anni ’80 e alle tendenze dark e punk tanto in voga in quegli anni. Per il designer Ian Griffiths la donna manager di oggi è una donna forte che può permettersi di andare in ufficio anche con i leggings sotto l’abito o la gonna, con un total look animalier, con le stampe tartan abbinate alle stampe animalier, sdoganando l’uso della pelle e delle frange anche nel mondo del lavoro. Un’operazione di svecchiamento della maison nell’intento di raggiungere anche un target più giovane perfettamente riuscita, il classico diventa subito contemporaneo con quel twist in più che rende questa collezione diversa, una collezione atipica per la maison, ma bellissima. In passerella sfila tanto tartan, animalier e moltissima pelle mentre l’iconico camel coat acquista più grinta con l’applicazione delle frange, la donna Max Mara è stata senz’altro la più glam-rock della Milano fashion week, una collezione di cui ci si innamora al primo sguardo.

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L’inizio della sfilata di D&G è puro spettacolo, la location riproduce una chiesa barocca del sud Italia che spalanca il suo portone su cui campeggia a grandi lettere la scritta “Fashion Devotion” e fa uscire una squadra di droni che portano in passerella le borse della collezione per il prossimo inverno. Questa collezione dei due designer è una vera e propria dichiarazione d’amore verso la moda, che diventa una religione, non a caso su alcuni capi campeggiavano le scritte: fashion sinner, fashion eden, fashion is beauty e santa moda. Da questa chiesa del fashion escono non solo droni, ma modelle che sembrano papesse con indosso cappotti con croci ricamate, gonne come vesti papali e abiti ricoperti da paillettes. Francamente niente di nuovo sotto il sole, tutti i temi cari ai designer vengono riproposti anche in questa collezione senza alcun intento di innovazione, come dire: “prendere o lasciare!”, ma è giusto così, la maison D&G o si ama o si odia non ci sono mezze misure.

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Anche per Versace l’ispirazione sono gli anni ’80 e l’archivio dell’indimenticato fratello Gianni Versace, il fil rouge è il tartan anche dai colori fluo, le spalle sono strutturate e c’è l’amore indiscusso per la pelle. E’ una donna forte e sicura di se che ama il glamour sfacciato degli anni ’80 quella che ha sfilato in passerella, per me è stata forte la sensazione di deja vu, di rivivere una sfilata della maison nei suoi anni d’oro, al termine è sembrato quasi normale aspettarsi di vedere uscire Gianni Versace uscire e salutare timidamente gli invitati come solo lui sapeva fare. Non è stata una collezione che ha brillato per originalità, ma io l’ho adorata perché Gianni Versace sarà sempre nel mio cuore e la sua moda anche a distanza di anni è sempre superlativa.

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Giorgio Armani non si accontenta più di interpretare l’eleganza europea, ma ci propone un’eleganza che non ha più confini e viene fortemente contaminata dalla cultura asiatica e africana rimanendo sempre fedele alle sue linee pulite e fluide che caratterizzano le giacche che oggi si allungano e i pantaloni che oggi scoprono la caviglia. Per la sera ci i sono preziosi tailleur pantaloni tempestati di cristalli, i colbacchi per copricapo e le bellissime mini cappe in lana. Un’eleganza senza tempo che conquisterà le donne di tutto il mondo.

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Anche per Silvia Venturini Fendi e Karl Lagerfeld gli anni ’80 sono il focus della collezione ed è subito visibile dalle giacche over con spalle imbottite, bellissimo il principe di Galles reso lucido grazie alla spalmatura del tessuto che rendono il trench o la longuette super moderni anche per l’abbinamento con la felpa over con logo in bella vista, outfit che sarà molto apprezzato dal popolo dello street style sempre più influente nel mondo della moda. La contaminazione tra lusso e activewear (non è un caso che per questa collezione la maison Fendi si è avvalsa della collaborazione dello storico brand di sportswear Fila) sarà uno dei trend più forti sin da questa primavera, ma sarà un vero diktat del prossimo inverno per ogni fashion victim se si rispetti.

Tra sfilate (per la precisione cento cinquantasei) e presentazioni varie la settimana della moda milanese ha dato grandi soddisfazioni, sarà davvero arduo per Parigi superare Milano, l’ottanta per cento delle collezioni presentate sono state di grande livello stilistico e con un alto tasso di portabilità. I trend che ci lascia sono molti, per il prossimo inverno come ormai avrete capito ci sarà un ritorno prepotente degli anni ’80, ma anche lo strapotere della giacca come capospalla d’elezione, il trend la vuole doppiopetto, over e spalle strutturate. Il tartan anche in versione fluo e l’alimalier sono le stampe in assoluto più gettonate, il long dress non è più relegato alla sera, ma le fashion addicted lo indosseranno soprattutto di giorno. Anche il designer Ermanno Scervino al termine della presentazione della sua collezione ha dichiarato: “il lungo è soprattutto per il giorno, le donne non devono avere paura di indossare un bellissimo long dress o una maxi gonna anche per andare in ufficio, la differenza tra il giorno e la sera la fanno gli accessori”. L’ultimo atto di questo mese dedicato al pret-a-porter si sta svolgendo a Parigi, dunque ci risentiamo sabato prossimo per scrivere the end sulla moda e i trend che indosseremo il prossimo inverno…stay tuned!

T. Velvet

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