Margaret Fuller. Storia di un mito dimenticato.

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Sarah Margaret Fuller nasce il 23 maggio del 1810 a Cambridgeport, presso Boston e la sua prima gioventù pare già un degno prologo di quella che sarà la sua vita straordinaria. Infatti il padre uomo politico e avvocato le impartirà un’istruzione “maschile” impensabile per l’epoca, basata sui classici greci e latini, gli storici, i grandi poeti, le lingue. Un apprendistato culturale talmente complesso da provare fisicamente la Fuller. Inoltre un bagaglio del genere era in netto contrasto con la realtà scolastica delle scuole “per signorine” che Margaret si troverà successivamente a frequentare. Nel 1835 il padre muore improvvisamente di colera e la scrittrice, rinunciando ad un viaggio in Europa, aiuta la famiglia, insegnando per due anni presso la scuola di Bronson Alcott, padre dell’autrice di “Piccole Donne” e celebre per le sue teorie progressiste in campo pedagogico.

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Tuttavia la svolta nella sua vita è data dall’adesione al “Trascendentalismo” e alla conoscenza dei suoi più illustri fondatori: Emerson, Thoreau, Hawtorne, lo stesso Alcott, Channing ed altri. Tale movimento religioso, filosofico e letterario, sviluppatosi negli Stati Uniti fra il 1830 e il 1850, vicino al neo platonismo e alla mistica orientale, si poneva contro il razionalismo settecentesco e il puritanesimo imperante, restituendo dignità all’uomo, centro dell’universo, pienamente in diritto di gestire la propria vita, sentita come una sorta di emanazione divina. Del resto il concetto di profondo rispetto dell’essere umano e delle sue potenzialità era già alla base della Dichiarazione dei Diritti del 1746, che promulgava esplicitamente l’idea di uguaglianza. Ed è proprio al tema dell’uguaglianza fra uomo e donna e del diritto “naturale” di quest’ultima all’auto affermazione che Margaret dedicherà molta della sua produzione oratoria e scrittoria. Proprio a questo argomento dedicherà un lungo articolo su “The Dial” il periodico (di cui fu redattore capo) del Trascendentalismo, che ampliato successivamente diverrà, nel 1845, il famoso e ancora attuale “Woman in the Nineteenth Century”.

cms_2508/Margaret_Fuller_engraving.jpgLa Fuller è giornalista di razza, la sua sensibilità, dovuta anche alla precocissima vasta istruzione, ne fa un’osservatrice attenta e commossa. Ne abbiamo un primo esempio nel suo reportage (“Summer on the Lakes in 1813”) del lungo viaggio che compie, nel 1843, ad ovest, dove oltre a captare il fermento vitale dei nuovi coloni, registra il genocidio degli indiani da parte dei bianchi. I suoi scritti e la sua cultura (china sui libri nella biblioteca destava lo stupore degli studenti di Harvard) le procurano la chiamata a New York per una collaborazione con il prestigioso “New York Tribune” di Horace Greely. Scrive articoli di varia cultura, spesso con connotazioni sociali, quali i reportages sulle prigioni e i manicomi della città divenuta ormai una megalopoli. Pubblica nel 1846 i “Papers on Literature and Art” e lo stesso anno comincia il suo “Grand Tour” visitando l’Inghilterra, la Scozia, la Francia e l’Italia. La sua fama la precede e incontrerà, nei suoi soggiorni all’estero, Carlyle, Wordsworth, Mazzini, George Sand, Mickiewicz. Rivedrà poi quest’ultimo insieme a Mazzini in Italia.

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L’Italia diverrà il suo paese d’elezione e dopo aver visitato il Nord, dove a Milano renderà omaggio a Manzoni, si stabilirà a Roma nel 1847. La futura capitale in questo momento è teatro di eventi drammatici che la Fuller descriverà nelle lettere inviate al Tribune, con un piglio da moderna cronista non disgiunto dalla pietas per i drammi che il popolo in questo momento sta vivendo. Le sue lettere sono una fonte basilare per tutti gli studiosi del Risorgimento italiano, ma recano anche notazioni di vita quotidiana preziose per qualunque studioso di Roma. La Roma cattolica colorita dai suoi rituali che sfiorano il paganesimo, l’arretratezza culturale di gran parte degli abitanti e soprattutto delle donne, il dominio temporale di una gerarchia ecclesiastica che dà una veste formale e ridondante ad un regime in realtà intollerante, impietoso e repressivo, non sfuggono alla perspicacia della scrittrice. La pompa delle feste religiose, l’ignoranza e la corruzione del clero disgustano la sua anima protestante, ella preferisce il cristianesimo delle origini, esemplato dalla limpidezza dei martiri e “disgustosamente abbiette” definisce alcune abitudini, quali il bacio del piede del pontefice.

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Nonostante il momento politico convulso, Roma rimane la contraddittoria (e pertanto spesso incomprensibile) città delle ville splendide, delle collezioni d’arte, delle corti fastose, ma anche la città che acclama Mazzini, comparso dopo 17 anni al balcone del Cesari, che esulta alla notizia della liberazione di Venezia, Parma e Modena, che piange per l’omicidio di Pellegrino Rossi, presidente del consiglio liberale e inviso ai reazionari, che accetta chinando il capo le scomuniche di Pio IX, per poi irriderlo subito dopo. Margaret, da vera giornalista, registra tutto questo, ma se da un lato la sua formazione da americana della severa Nuova Inghilterra la porta a stigmatizzare alcuni aspetti troppo sentimentali e folcloristici, dall’altra il clima pare spesso contagiare la sua prosa che, in alcuni passi, diventa ricca di pathos e vicina alle poetiche di Byron. Il suo soggiorno non è in alcun modo solitario, ella divide le sue giornate con il fitto gruppo di stranieri che movimentano i salotti romani e con cui stringe rapporti fraterni. Fra il 1847 e il 1849 la Fuller è dunque a Roma dove partecipa in prima persona ai moti che scuotono non solo la città, ma le coscienze del mondo civile.

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Nel febbraio 1849 viene proclamata la Repubblica Romana, la città è assediata, i combattimenti tremendi, in aprile i francesi attaccano e bombardano Roma, Margaret presta la sua assistenza ai feriti, ma dopo la sua caduta è costretta a lasciare la città insieme ai pochi stranieri coinvolti nei moti. Ma c’è dell’altro. Fra il 19 aprile 1848 e il 2 dicembre dello stesso anno cessa di scrivere i suoi resoconti romani. Nella “Rome, my country”, come viene da lei apostrofata, aveva infatti conosciuto, già durante il suo primo viaggio del 1847, il marchese Giovanni Angelo Ossoli. Incontro fatale nella sua casualità (una visita a S. Pietro) che scatena tuttavia un’attrazione a cui forse razionalmente la scrittrice vorrebbe sottrarsi. Ossoli è assolutamente diverso, appartiene all’aristocrazia papalina, non è colto (almeno non quanto lei), è minore di nove anni. Margaret è incerta, cede forse anche grazie agli incitamenti del poeta cattolico, suo amico, Mickiewicz. Per alcuni mesi la sua felicità sarà perfetta, incrinata ben presto da una inaspettata gravidanza che la atterrisce. Tutto sommato i suoi timori non paiono infondati; è una primipara che oggi si definirebbe attempata (ha 39 anni) ed il luogo prescelto per il parto, una Rieti troppo lontana dal mondo, non è certo rassicurante. Il silenzio stampa è dunque causato dalla nascita di Angiolino Ossoli, che Margaret deve ben presto lasciare a balia per recarsi a Roma. Giovanni Ossoli si è nel frattempo arruolato nella Guardia Civica, rinunciando al suo posto nella Guardia Nobile del Papa. E’ dunque a fianco dei rivoltosi, ma aveva trovato il tempo di correre da Margaret per vedere il bambino e riconoscerlo come suo erede. Non sappiamo se si sposeranno nell’aprile del 1848, ma il suo attaccamento per madre e figlio è comunque molto forte. “Ce petit italien rencontrè a l’église” come viene chiamato dal Mickiewicz, pallido ed esangue, è senz’altro disprezzato dai colti amici e colleghi della Fuller, tanto da essere descritto da Hawtorne come un semi analfabeta, fatto del tutto smentito dal carteggio che il marchese intrattiene con Margaret.

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Caduta Roma la scrittrice torna a Rieti dove troverà il figlio denutrito, trascurato colpevolmente dalla balia. Finalmente raggiunta da Giovanni, potrà recarsi a Firenze, culla dei Browning, luogo ideale per la giornalista che ha necessità di curare e revisionare tutto il cospicuo materiale raccolto sugli accadimenti della Repubblica Romana. Si tratta di documenti preziosi atti a permettere una ricostruzione storica di quei giorni che rimangono, comunque, magistralmente registrati nelle lettere al Tribune. L’arretratezza e la sofferenza del popolo (“la bontà del popolo”) la coinvolge e la commuove portandola a criticare l’America, dei suoi giorni, che non partecipa alla salvezza delle genti oppresse. L’America ha il dovere morale di sostenere i popoli che non possono vivere secondo i principi democratici della Dichiarazione del ’76, il cui spirito informatore, essa lamenta, è ormai disatteso anche in patria. La Fuller descrive l’Aquila americana ormai divenuta un avvoltoio, riferendosi al problema della schiavitù e della guerra contro il Messico. Si tratta della stessa guerra contro cui H. D. Thoreau proclamava la “disobbedienza civile” ricordandoci (e con quanta attualità purtroppo!) i versi del poema di Ginsberg contro la guerra del Vietnam. L’impegno della Fuller quindi, anche nella sede fiorentina, si mantiene sempre fervido, ma le ristrettezze economiche e lo sfavorevole momento politico spingono la famiglia Ossoli ad una decisione drastica. Lasciare l’Italia e tornare in America dove sicuramente la situazione potrebbe, per entrambi, essere più favorevole.

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Si imbarcano il 17 maggio 1850. Angiolino, Giovanni, Margaret e la bambinaia prendono il largo da Livorno con una nave mercantile, l’Elisabeth, senz’altro più economica e con un capitano assai affidabile, originario della Nuova Inghilterra. Tutto sembra procedere per il meglio, la navigazione scorre tranquilla, ma… Il capitano Hasty si ammala, non si ammala semplicemente, ha contratto il vaiolo. Muore. Anche Angiolino è infettato, ma riesce a salvarsi. La navigazione può riprendere solo il 9 giugno, dopo la quarantena imposta a Gibilterra ed il 19 giugno l’imbarcazione è in vista della costa americana. Si è quasi pronti allo sbarco, Giovanni a bordo ha preso lezioni d’inglese e Margaret si è dedicata finalmente al riordino del materiale per la redazione della sua Storia della Repubblica Romana.Manca poco, ma basta una tempesta a rovinare tutto. Una tempesta molto forte e, forse, il nuovo capitano non ha preso seriamente in considerazione la possibilità di uno schianto.

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Ed ecco che questo avviene, alle tre di notte, su un banco di sabbia. Il mercantile si spezza, il carico di marmo di Carrara costituisce una micidiale zavorra. Le onde dell’oceano la flagellano, eppure attraverso la cortina d’acqua i passeggeri possono vedere Fire Island, la spiaggia, ma le scialuppe sono inservibili. L’unica a comprendere la gravità della situazione e a porvi rimedio è Mrs. Hasty la moglie del defunto capitano. Si lega ad una tavola e si lascia trasportare raggiungendo incolume la riva. Molti la imitano, ma non sempre con successo. Angiolino è legato sulle spalle di un marinaio, ma scompare ingoiato dai flutti così come Giovanni e Margaret. Scomparsi praticamente a ridosso delle coste americane. I corpi non vennero mai recuperati ed andò perso anche il manoscritto frutto del lungo lavoro della Fuller. Emerson incaricò Thoreau di cercare qualche resto sulla spiaggia, ma il naturalista non troverà il manoscritto, ma solo, “alcune ossa con un po’ di carne attaccata…Quelle ossa erano sole con la spiaggia e l’oceano…e mi sembrò che ci fosse come un segreto accordo tra le ossa e l’oceano, un accordo da cui io ero tagliato fuori…Quel corpo si era impossessato della spiaggia e la dominava come nessun corpo vivo avrebbe potuto fare…” Allo stesso modo il ricordo della Fuller si impossesserà dell’immaginario intellettuale dell’epoca, divenendo il “Margaret ghost”, descritto da H. James. Il carisma da lei esercitato in vita portò stranamente i suoi colleghi ed estimatori ad una sorta di ridimensionamento puritano della sua figura. Negli scritti a lei dedicati non venne sufficientemente rilevata la portata rivoluzionaria e moderna del suo messaggio che, anzi, fu diluito esercitando una sorta di censura all’opera di un personaggio che aveva attraversato la storia con la fierezza del suo lucido e libero intelletto.

Giovanna Arciprete

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