Maria Allo, Al Dio dei ritorni edito da Galassia Arte

Introduzione di Gloria Gaetano - Prefazione di Cetta Petrollo Pagliarini

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Maria Allo è una delle voci più intense, vitali e addolorate del nostro sistema letterario, ma riesce anche a conservare una magia sottile, pensosa, a volte anche ironica.

cms_848/10460457_10202328443595669_8996160409277295331_n.jpg “siamo terra ferita di uno stesso paese unico e molteplice turbine tra le rovine decomposta polvere dentro le parole”.

Tutte le sue pagine, il suo dolersi si compone in versi di musicalità rarefatta, col garbo e il passo lieve di chi sa la misura e ne rispetta l’interno suo farsi . E’ così che sa togliere pesantezza alla sostanza più cruda della vita, addolcendo i tratti della fatica, che pure avverte, e sorvegliando la pena perché non sconfini e si faccia affanno disordinato nelle mani che non saprebbero più governarlo.

“…le tempie del cielo come rogo su fatti di ogni giorno”.

In questi versi racconta i frammenti misteriosi, le soglie invisibili che non sappiamo schiudere, che ci fanno avvertire la distanza – una certa negata libertà – e che ci costringono a fare i conti con ciò che ci è dato, negli elementi naturali, nelle sinestesie, nei suoni, nel silenzio che rinomina le cose-poco forse, certamente non l’eccesso , la sovrabbondanza che frena l’espansione del lettore che entra in sintonia con la sua sensibilità appassionata eppure controllata.

L’autrice racconta del nostro quotidiano districarsi tra limite e limite, del nostro essere immersi nella natura (dalla sua Sicilia ridondante), fatta anch’essa di epifanie e confini (e i limiti che pone sono i respiri sospesi più belli), un lieve contrappunto musicale che sa essere loquace per l’orecchio. E riesce a cogliere echi e risonanze col proprio vivere di passi incerti nel tempo in cui sembra di sentire il contrappunto musicale, sovrimpresso nel silenzio di fondo. E le parole e il mondo sono uguali, curate, levigate, dure alla ricerca della perfezione. Maria sa trovare nella natura consiglio o coincidenza , che compare nella folata di vento di una serata di autunno, dove l’isola può nascere in ogni minuto dalla sua terra che muore di calura, mentre tutti i segreti tormenti si riducono a pietra porosa e scalfita. La sua è una ricerca accurata di segni, di schiarite al turbamento, di fermi più clementi, nel suo intimo colloquio con il tempo che va si facendo ancora più limpido quando è dedicato a luoghi,persone care e vicine o a dipinti,foto che hanno colto bene squarci di stupore. Non è poi così strano che la sua poesia mi ricordi molto il canto di un grande soprano. Nelle voci che emergono dal profondo sè, qualsiasi aurora o durezza della vita si leva sempre come un soffio che sa accarezzare le parole addolorate, che consola con un lirismo naturale, liquido e spontaneo. La conversazione di Maria con la vita può solo somigliare alle parole che vorrebbero per un po’ quietarla, o venir trasformate in “magie alchemiche leggere, se lo sguardo è felice e in stato di grazia. In ognuno dei suoi ‘fragmenta’, il timbro è sempre nitido, elegante e concentrato in “grammi puri” di bellezza. La costruzione e la concentrazione di questo io lirico vuole essere una personale e tenace risposta ai problemi fondamentali del fare poesia nel nostro tempo (la crisi intima dell’autore, del soggetto, della letteratura). Nell’epoca in cui il Soggetto ha perso la sua unità, in cui l’Autore e la Letteratura sono orfani del loro ruolo e dei loro modelli tradizionali, in cui la Forma cede al Magma, Maria sceglie di imprimere alla sua voce un timbro fermo, teso a contenere ogni febbre, ogni smarrimento e ogni delirio nella fortezza di una pace profonda, di una quiete solenne, nella sovrana distanza di uno sguardo siderale e in acuta sintesi di pensiero e intuizione profonda. (Gloria Gaetano)

PREFAZIONE DI CETTA PETROLLO PAGLIARANI


cms_848/1512832_10201296045626365_821567899_n.jpg“Al Dio dei ritorni” è la terza raccolta poetica di Maria Allo, le prime due sillogi essendo state pubblicate nel 1992 ( I Sentieri della speranza, Roma, Gabrieli.) e nel 2011 ( Riflessi di rugiada. Cose sparse di me, Roma, Albatros ). Tuttavia, se si vuole conoscere la scrittura poetica di Maria e definire il contesto nel quale emerge quest’ultimo libro, occorre leggere anche la ricca produzione immessa in rete . Maria ama raggiungere un pubblico più ampio possibile e lo fa attraverso lo strumento del digitale –la costellazione del suo linguaggio diviene così disseminata e le frequentazioni storico letterarie, soprattutto quelle poetiche, si manifestano nei vari siti dove lei agisce in prima persona, a partire dal suo blog,https://nugae11.wordpress.com/, o nei siti nei quali è ospitata,adesempio:https://neobar.wordpress.com/category/uncategorized/poesia/maria-allo/ ed il notissimo https://poetarumsilva.com/2010/10/21/persefone-e-altre-storie-poesie-di-maria-allo/

Non è marginale parlare del rapporto di Maria Allo con la rete, la misura del suo scrivere essendo anche dialogica, non fermandosi alla contemplazione ed al lirismo panico dell’educazione classica che le appartiene e che, quotidianamente la accompagna – Maria insegna lettere classiche nei licei - ma relazionandosi nella fitta rete di corrispondenze autoriali che il digitale permette di esibire. Così nel suo blog compare, vicino all’amato Elio Pagliarani, la linea della scrittura femminile, Maria Grazia Calandrone, Silvia Plath, Patrizia Vicinelli, Amelia Rosselli, Mariangela Gualtieri, Daria Menicanti, linea che la Allo esplora anche con gli strumenti della critica, significativo quanto da lei svolto nel sito” Non solo Saffo”, lavoro che intende esplorare il ruolo delle donne dall’antichità fino ai giorni nostri nell’ottica di una didattica diversa. Se volessimo ora trovare, dopo averlo situato nella zona dialogica della contemporaneità, un sottotitolo a questo suo ultimo libro, potremmo forse adoperare Tutto arde. L’arsura del corpo e della natura nella loro continuo trascorrere si avvalgono di ripetute scelte lessicali : “ Tutto arde. L’arsura del corpo e della natura nella loro continuo trascorrere si avvalgono di ripetute scelte lessicali : “ bruciano labbra e dita”, “ lingue di fuoco nel cielo”, “rogo che divora mestizie”, “ le tempie del cielo come rogo” ,”urlo rovente al mio pensarti”,”crepe roventi si inerpicano “,”divampi come tra i mattoni/ di pietra rovente”.”Si parte da un moto circolare scalpita arde/fino a farsi tufo”,”seme tra inferno e paradiso/come il farneticare nero del vulcano” e molte altre simili scelte. Il corpo si rappresenta nel suo strazio di scissure e perdite ( “ umori affinità crepitio di ore/ e albe/ stilemi pulsioni respiri/ naufragi in perdizione”, la natura lo asseconda ( “ della marea che investe/ con tonfi sibili rumori”), morte e vita e rinascita sembrano seguire il ritmo naturale del mondo in quel panorama lavico che Maria conosce così bene, vivendo essa alle pendici dell’Etna : “ Sistole e diastole/ ossessione di un ritmo/ invade ogni parola/ nel silenzio di un verso/ nascita crescita/ che ne sarà di questi naufragi/ oscurano/ spasmi di luna piena/ c’è da dire che il giorno/ accarezza/ parole di perdizione/ parole di salvezza”. La dissoluzione-perdizione del fuoco linguistico è bloccata nei commenti- versi in corsivo che Maria dispone quasi sempre alla fine delle sue poesie, in dialogo con se stessa, una serie di piccoli cori che si incaricano di indicare una sorta di morale, un secondo pedale che manifesta e sottolinea lo spessore del testo. E quindi dopo “ in questo giorno nero di eclisse/ giorno di massacro” c’è in chiusa, evidenziata nei corsivi, un “ sempre nuova l’alba/ migrante”, dopo “ c’è che la luna si interra stasera/ a vangare nodi di ieri” c’è “ avrà una pelle di gelsomino/ bagnata da un solo universo di pioggia/ velo trasparente smemorato”, dopo “ spasimi segni sensi” c’è “ sono voce ribelle nel silenzio/ mortale”. La difficile arte del vivere trova sostegno nella rappresentazione della morte – resurrezione della natura, in una geografia che è anche geografia dell’anima, puntellata, per evitare la decostruzione del sé, da istruzioni per l’uso che l’autrice non manca di dirsi e dire , come, ad esempio questa, centrale per ogni esperienza di vissuto femminile e del suo porsi continuamente a rischio per risorgere: “ non puoi fermarti/ per quelle voci sull’argine/ disfiora un morire sul nascere”. (Cetta Petrollo Pagliarani)

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