NUOVE SPERANZE CONTRO IL CANCRO, TRA DIAGNOSI PRECOCE E TRATTAMENTI INNOVATIVI

Ideato un reggiseno in grado di captare i primi segnali d’allarme. Buone prospettive anche per l’immunoterapia

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Quella contro il cancro è sempre stata una lotta impari: attualmente, gli strumenti di cui disponiamo per sconfiggere la “malattia del secolo” sono relativamente pochi, e comunque non sufficienti a debellare definitivamente una patologia tanto diffusa su scala mondiale. L’arma più potente è di certo la prevenzione, da mettere in pratica sia conducendo uno stile di vita sano, sia sottoponendosi a periodici screening per la diagnosi precoce; due passaggi fondamentali a cui pochi di noi prestano davvero attenzione, presi dai molteplici impegni quotidiani. Quanto potrebbe facilitarci (e salvarci) la vita uno strumento in grado di diagnosticare il tumore direttamente da casa, senza l’intervento di un medico e senza particolari sforzi? Un nuovo prototipo, progettato dal 18enne messicano Julian Rios Cantu, potrebbe rendere possibile tutto ciò.

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Stiamo parlando di Eva, un reggiseno dotato di circa 200 sensori biometrici in grado di individuare e segnalare l’insorgenza del cancro al seno rilevandone variazioni “sospette”. Lo sviluppo di cellule tumorali è infatti legato a un aumento dell’afflusso di sangue ai tessuti interessati, che può determinare cambiamenti di peso, forma e temperatura nella mammella. I dati raccolti da Eva in merito a queste variabili vengono inviati a un computer (tramite bluetooth) o a un’applicazione installata sullo smartphone, dispositivi capaci di elaborarli e di segnalare alla proprietaria eventuali anomalie. Stando alle parole del suo giovane ideatore, al reggiseno basterebbero solo 60-90 minuti a settimana per produrre risultati attendibili: uno screening diagnostico molto più semplice e veloce rispetto all’autopalpazione, pratica che si affida peraltro a percezioni quasi totalmente soggettive e dunque poco affidabili.

cms_6213/3p.jpgAl momento non esistono prove ufficiali che garantiscano l’efficacia di questo strumento diagnostico, ancora in una fase embrionale. Solo una lunga serie di test e perfezionamenti potranno farlo sbarcare sul mercato, concretizzando il sogno di Julian. “Non voglio che altre donne vivano quello che ha passato mia madre. Quando avevo 13 anni, le fu diagnosticato per la seconda volta un cancro al seno - ha spiegato il 18enne nel corso di un’intervista - Il tumore, inizialmente grande quanto un chicco di riso, crebbe fino ad assumere le dimensioni di una pallina da golf in meno di 6 mesi. Nonostante la doppia mastectomia, mia madre perse la vita, poiché al momento della diagnosi il tumore aveva già raggiunto uno stadio avanzato. Ho compreso la vitale importanza di una diagnosi precoce, così è nato Eva”. Dopo la tragica scomparsa della madre, Julian ha fondato insieme a tre suoi amici la Higia Technologies, una vera e propria impresa che ha a cuore le problematiche tipicamente femminili, con particolare attenzione verso il tumore della mammella. Il 29 aprile scorso, l’azienda ha vinto il prestigioso premio Global Student Entrepreneur Awards (Gsea), dedicato ai giovani che avviano un’impresa pur portando avanti gli studi.

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Anche sul fronte delle terapie, la ricerca sembra compiere – almeno sul piano teorico – passi da gigante. Nel febbraio scorso alcuni ricercatori calabresi, in collaborazione con un’équipe spagnola, hanno individuato la molecola in grado di interagire con la proteina Nupr1, una delle “proteine a struttura disordinata” coinvolte nello sviluppo del tumore al pancreas. Gli esperimenti in vitro hanno infatti evidenziato come la trifluoperazina – questo il nome della molecola in questione, già nota ai medici per le sue proprietà antipsicotiche – sia in grado di arrestare immediatamente la moltiplicazione delle cellule tumorali pancreatiche.

Ottimi risultati anche dagli studi sull’immunoterapia, un trattamento che rende l’organismo capace di difendersi dall’insorgenza del tumore, come se quest’ultimo fosse un batterio o un virus. Ad oggi, cure di questo tipo non sono in grado di combattere tutte le neoplasie esistenti, ma le sperimentazioni promettono bene: è possibile affidarsi all’immunoterapia solo se affetti da tumori della testa, del collo, dei reni o dei polmoni, oltre che da alcuni tipi di mieloma e linfoma; tuttavia, sono in corso i test per allargare lo spettro ad altre tipologie, anche le più rare. Insomma, il lavoro portato avanti dai milioni di ricercatori che operano in tutto il mondo sta cominciando a dare i suoi frutti, in attesa del definitivo scacco matto al “male oscuro”.

Federica Marocchino

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