Noi, novelli Giasone alla ricerca di noi stessi

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E se il temibile Coronavirus fosse il completamento di quell’isolazionismo sociale iniziato già dalle nuove tecnologie? L’extraterritorialità donataci dalle potenti consorterie provenienti dalla Silicon Valley, ha creato tutti i presupposti per l’avvento di un mondo nel quale mancano del tutto leadership politiche e spirituali, rendendo dunque attualissima la profetica definizione di Peter Drucker secondo cui “la salvezza non viene più dalla società”, a cui aggiungerei, e “tantomeno dagli altri”. Paure pandemiche come quelle attuali non sono altro che il rassegnato canto del cigno di leader politici depotenziati della loro aura di affidabile solidità; ciò che fa la maggior parte della gente in momenti di crisi sociale è perdere speranza nelle finalità e nei destini collettivi e attribuirsi ognuno significati presi dal mondo circostante, da altri individui soli e confusi come loro. Apprendere tecniche di sopravvivenza quotidiana, ieri come oggi, vuol dire affidarsi al governo (e al passaparola) di pochi dispensatori di consigli utili (per gli acquisti, per la salute, per il lavoro) sotto forma di esempi basati sul valore e peso social(e)-personale dell’opinion leader del momento, pronti a offrire ricette su come affrontare il demone della paura, sempre pronto a ripresentarsi sotto diverse e cangianti forme approfittando sia dell’insicurezza del presente sia dell’incertezza del futuro.

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Le parole d’ordine sono minimizzare il rischio, trovare valide valvole di sfogo nelle quali scaricare l’eccesso di paura esistenziale, come il rinchiudersi in casa, precauzione oggi necessaria e imposta dall’autorità, ma che ormai da tempo rappresentava l’ordinario rafforzamento di azioni consolidate. Non potendo contrapporci agli eventi e a un repentino cambiamento di stili di vita e abitudini consolidate, non ci rimane altro che soffermarci su istanze distopiche e su un fatalismo assunto a religione universale. Trovano spazio in un quest’imbuto pandemico paure e insicurezze concepite e incubate in metaluoghi che sfogano poi tutto il loro corollario di timore e tremore nelle città e in quelle che una volta erano le agorà in cui si formava l’opinione pubblica. Il vasto grado di popolarità assunto da enclavi immobiliari per tutti i gruppi ad alto reddito, assume allora nel buio di questi tristi tempi, un faro e un’opportunità per tenere a bada minacce vere e presunte per l’incolumità individuale. E se i progetti delle archistar del nuovo millennio (una serie di servizi funzionali per affrontare guerre, rivolte, emergenze sanitarie) sono lontane dalle tasche dei più, non rimane altro che rifugiarsi nei propri domicili a mutui trentennali con la sola rassicurazione della luce di schermi protettivi e anafettivi. Il risultato di questo percorso di lento e inesorabile isolamento forzato è cominciato già anni prima della deflagrazione della pandemia covid-19, un virus che non ha fatto altro che renderci non solo ancor più fobici e insicuri, ma anche istituzionalizzare una fatica e uno sforzo considerato ormai fuori dai nostri tempi, ovvero incontrare gli altri. Prima sono stati isolati i fumatori, poi è stata la volta delle etnie non stanziali, quindi gli immigrati e ora è il turno dell’intera popolazione, tutti potenziali veicoli di contagio. Nuove e rigide norme prossemiche sono diventati ora un’esplicita e calda raccomandazione per salvaguardarsi e custodire la propria salute. La socialità, la società socievole teorizzata da Simmel, è l’unica a possedere le caratteristiche di società a tutti gli effetti grazie anche a continui e quotidiani sforzi da parte degli individui, un esercizio lungamente appreso dopo milioni di anni di evoluzione e che ora subisce la concorrenza spietata, e rassicurante, di Facebook, Instagram, Twitter, Tinder. Sono i simulacri baudrillardiani della vita sociale, al netto degli inconvenienti rappresentati dai nostri simili, simulacri digitali che operano una rassicurante distanza di sicurezza che ci danno il tempo di riflettere su chi abbiamo di fronte e di crearci un’immagine meno sconveniente, più consona a ottenere un giudizio positivo dagli altri. I social sono un perfetto modo per pianificare incontri, calibrare amicizie, occupare spazi in cui proiettare l’immagine migliore, evitare pericoli e scongiurare oggi più che mai, contagi.

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Ci chiudiamo alle spalle la porta di casa e apriamo lo schermo del nostro pc, àncora di salvataggio per un mondo di reclusi di ossimorici forzati contenti. Sì, perché in fondo l’isolazionismo a cui siamo costretti non è poi così male, dato che nelle nostre case disponiamo di connessione ultra veloce dove correre, uscire, passeggiare senza limitazioni e senza autocertificazioni da mostrare. Intraprendiamo sulla rete un viaggio all’apparenza più sicuro perché scevro da cattive sorprese, e in questo assomigliamo sempre meno a Ulisse e sempre più a Giasone, almeno quello raccontato da Euripide; un eroe bifronte e attuale tanto da far emergere un “complesso di Giasone” per designare tutti coloro i quali si ritengono superiori, egoisti, poco propensi a scendere a compromessi, tesi solo a soddisfare i loro desideri. Il risultato è di credere di poter continuare a vivere al di fuori della realtà, protetti da una soporifera sensazione narcisistica e di onnipotenza, di poter continuare a fare tutto ciò che può produrci piacere e soprattutto darci una piacevole sensazione di sicurezza. Giasone e non Ulisse è allora l’epigone dei nostri tempi, un eroe triste per tempi altrettanto tristi, a tratti malinconico e superficiale, un anti eroe capace però di slanci improvvisi e calcolatori di coraggio e solidarietà, per questo più simpatico proprio perché più umano, più vicino cioè alle nostre quotidiane insicurezze e inquietudini. Alla fine del lungo viaggio a differenza di Ulisse, noi novelli Giasone non abbiamo scoperto molto, abbiamo perso la necessaria metis dell’itacese, l’equilibrio intellettivo-emozionale in grado di operare un giusto controllo delle cose grazie a una visione dall’alto. Noi invece ci accontentiamo di un più banale mordi e fuggi, di un opportunismo tecnocraticamente avvalorato che lascia volentieri la forza e il coraggio delle scelte a una pericolosa perché ripudiata, abbandonata e offesa Medea, per dissolverci invece nell’anonimato di un nickname e nella contraddittorietà di un uomo smorzato da eventi più grandi di lui.

Andrea Alessandrino

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