Omicidio-suicidio nel foggiano: vittima la famiglia di un agente penitenziario
Il gesto estremo ricondotto alle difficoltà sul posto di lavoro
Se il dolore per un omicidio è profondo e quello per un suicidio è atroce, il dolore che scaturisce da entrambi i gesti è incontenibile.
È il caso di quanto avvenuto nel foggiano, precisamente nel comune di Orta Nova, nella notte tra l’11 e il 12 ottobre: Ciro Curcelli, agente penitenziario dell’età di 53 anni, dopo aver sparato alla moglie Teresa, di 54 anni, e alle figlie, Miriana e Valentina, rispettivamente di 12 e 18 anni, si è indirizzato un colpo con la stessa arma, una pistola calibro 9, alla tempia, togliendosi la vita. L’uomo si è ucciso, steso accanto al cadavere della moglie, solo dopo aver confessato gli omicidi alla polizia con una telefonata, al termine della quale ha assicurato che avrebbe “lasciato la porta aperta”.
L’unico superstite della famiglia Curcelli è il figlio Antonio, 26enne residente a Ravenna, rientrato nella città d’origine e interrogato dai carabinieri non appena ricevuta la notizia dell’accaduto. Accaduto che ha lasciato perplesso e sconcertato il giovane quanto il fidanzato della figlia maggiore e i vicini di casa della famiglia.
Salvo il cattivo umore dell’agente penitenziario nell’ultimo periodo, tutto sembrava procedere tranquillamente in casa Curcelli, o almeno è questo che avevano captato coloro che avevano quotidianamente rapporti con loro.
Un gesto estremo che porta anche il sindaco della città di Orta Nova, Mimmo Lasorsa, ad esprimere la propria incredulità e a farsi carico dei funerali delle vittime. L’appartamento della famiglia è ora sotto sequestro, ma non rivela alcuna traccia che possa ricondurre al movente della tragedia.
Quella personalità schiva ma ligia al dovere nel campo lavorativo, secondo i colleghi, è stata artefice, e infine vittima, di un gesto probabilmente legato (ma di certo non spiegato, né tantomeno giustificato) allo stress che l’esercizio delle sue mansioni professionali gli procurava.
La tutela dell’ordine e della sicurezza pubblici, e soprattutto la gestione di chi è sottoposto a restrizioni e limitazioni della libertà personale, sono compiti tanto nobili quanto ardui per un uomo che sceglie di far parte del Corpo di Polizia Penitenziaria. Ma sono appunto compiti che restano tali e che non dovrebbero implicare una svalutazione del valore della vita; a tal proposito, sarebbe opportuno intensificare gli interventi di supporto psicologico per evitare che condizioni di disagio e/o burnout possano condurre a tragedie come questa.
La scomparsa della famiglia lascia nei suoi affetti e nella città un enorme vuoto, carico di domande e dolore.
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