PAROLE, PAROLE, PAROLE

Parliamo meno, parliamo bene,

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Sapete qual è una cosa che apprezzo moltissimo degli anziani colti? No? E non vi interessa saperlo? Beh, ve lo dico lo stesso, tanto per farvi dispetto: l’eloquio. Domenica 30 Marzo 2014 ho avuto casualmente la conferma di come questa virtù mi ipnotizzi ogni volta che il suo manifestarsi mi trova testimone.

cms_545/Prima_.jpgCiò e accaduto mentre girovagavo per le sale della pinacoteca provinciale di Bari, gustandomi la visione dei dipinti del pittore Michele De Palma, esposti per una mostra dedicata all’autore, quando mi sono accorto che s’era formato un capannello di persone davanti a un quadro. Curioso come un ladro che si avvede di una cassaforte aperta, mi avvicino e constato la presenza proprio di Michele De Palma che, all’età di ottantasei anni, era al centro dell’assembramento formato da suoi amici e conoscenti, prestandosi a far da guida d’eccezione lungo il percorso della esposizione.

cms_545/Secobda__(1).jpgI commenti sulle proprie tele, le sue spiegazioni, la descrizione delle motivazioni che da un’arte più figurativa lo hanno condotto progressivamente alle frontiere di un espressionismo astratto, erano semplici, essenziali, e condensava in poche frasi l’evoluzione di tutta la storia dell’arte dell’ultimo secolo. Poche parole, collocate al posto giusto, abbellite solo dal movimento delle mani che le accompagnavano come fossero i pennelli dell’artista. Il motivo per cui una persona colta che abbia un po’ d’anni a tormentargli la salute si esprima in modo così particolare è, secondo me, proprio la necessità di dire tutto ciò che si ha da dire con la massima efficacia ma con il minor sforzo possibile, date le energie ridotte.

cms_545/Terza_.jpgQuesta virtù si chiama icasticità e attribuisce un valore aggiunto ai concetti che si illustrano, rendendoli puliti, di immediata comprensione, ed è più vicina a quel naturale pragmatismo dei popoli del Nord che si contrappone alla tendenza tipica delle culture di grande tradizione umanistico-letteraria, dove invece la degenerazione delle antiche forme espressive, all’origine più nobili ed evolute, è diventata verbosità inflazionata e leziosa, fine a sé stessa. L’esempio tipico è nell’ambito della politica, specie nostrana, dove si parla perennemente e in modo forbito di tutto ma non si dice, né si capisce, niente di concreto. E non ci capiscono nulla nemmeno quelli che parlano, perché parlano talmente tanto che sono costretti a contraddirsi, dato che altrimenti terminerebbero gli argomenti e non potrebbero parlare più.

cms_545/Quarta__(1).jpgNon è un caso, a mio avviso, che le crisi più profonde di questi anni colpiscano proprio quei popoli dove si è abituati con le parole a spaccare il capello in quattro ed ogni sua parte ancora in quattro e così via, verso l’infinitesimamente piccolo. Grecia, Italia, Spagna, ne sono un esempio tipico. Parlare troppo è sottrarre tempo prezioso al fare. Parlare troppo è un andazzo anche degli scrittori moderni, che descrivono tanto senza dire un bel niente, essendo pagati per scrivere “un tanto al chilo”.

cms_545/Quinta_.jpgCosì le persone non comprano i libri, o ne comprano sempre meno, non perché siano privi di interesse, ma perché la stragrande produzione, specie di narrativa, fa veramente pena. Alcuni capolavori, per la legge dei grandi numeri, comunque si fanno strada nella congerie di inutili sprechi di cellulosa, ma sono pochissimi e sopravvivono non “grazie” al sistema editoriale, ma “nonostante” questo. Ma di questo parleremo in altra occasione, altrimenti mi dilungo e rischio di commettere proprio il reato che addebito ad altri. La morale? La solita, se vogliamo: parliamo meno, parliamo bene, facciamo più cose. Prendiamo esempio dagli anziani colti, dunque, e forse, anziché scansarli come fossero blatte, li cercheremo per carpirne l’arte che la cultura e l’esperienza gli hanno regalato. Addirittura potremmo invidiarli e attendere con una certa curiosità il tempo in cui saremo canuti. Ora vado, amici lettori, mi sono talmente innamorato di questa cosa che inizio subito ad allenarmi a diventare vecchio facendo prove con la dentiera di mio nonno

Nicola D’Agostino

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