PENSARE ALL’ INTELLIGENZA ARTIFICIALE,TRA MORALE E POLITICA

Tecnodeterminismo e tecnocrazia sono termini che nel dibattito odierno sull’avanzare dell’intelligenza artificiale nelle nostre vite, stanno sollevando ampie discussioni su quello che sarà il nostro immediato futuro. In particolar modo sta assumendo sempre più spazio, non solo tra i filosofi, il tema legato alla morale delle nuove forme di IA presenti o comunque che si apprestano a esserlo nelle nostre vite. Il dibattito mostra forme di discussione inerenti un aspetto della morale definito passivo, ovvero un modus operandi da parte della comunità incapace di interrogarsi sulle cause e sugli effetti, sul perché e se sia giusto o sbagliato. La delega sulla questione morale passa allora automaticamente e di diritto ai cosiddetti esperti, ai tecnocrati, a coloro cioè che immettono nelle nostre vite novità ingegneristiche e, algoritmicamente parlando, legate a sistemi di machine learning e data mining sempre più invasivi. Il risvolto politico di tale ribaltamento di prospettiva morale, è il controllo del mondo e dunque delle nostre vite, affidato a tecnologie sempre più smart progettate da scienziati afferenti all’eldorado della Silicon Valley. I tempi dominati dalla stupore per le meraviglie apportate dalla tecnica prima e dalla tecnologia poi, oggi sono al centro di un percorso che tende però a valutarne meglio le dinamiche e i potenziali benefici.
Lo spensierato ottimismo di un tempo legato alla digitalizzazione di ogni aspetto della vita dell’individuo, è passato al setaccio per approdare ad oggi non più isolate visioni distopiche. La diffusione senza freni e senza regole di ciò che attualmente domina lo spazio di discussione pubblico, ovvero la IA, porta al centro del nostro percorso come esseri pensanti, l’importanza di rispolverare i più importanti elementi conoscitivi alla base del nostro sapere per controbattere, attraverso il pensiero critico, l’avanzare prepotente di un marketing digitale precocemente obsoleto teso piuttosto a destrutturare le poche certezze rimasteci. In un recente libro di Nick Couldry e di Ulises Mejias intitolato “Il prezzo della connessione” (edito per il Mulino, n.d.r.), gli autori interpretano le novità del digitale come un percorso che avviene seguendo una linea diretta iniziata già ieri con processo del colonialismo e culminata oggi con il colonialismo dei dati. Viene dunque abbattuta l’ottimistica visione retorica della novità per avanzare invece la realtà di una società in cui la vita di miliardi di persone è, senza soluzione di continuità, convertita in dati. Si torna alla politica e si torna a parlare di una fase attuale della nostra storia caratterizzata da una fase di espansione del capitalismo in chiava marxiana: esiste una struttura, una sovrastruttura e un’infrastruttura in grado di operare in sinergia per estrarre valore dall’enorme quantità di dati.
In funzione del potenziamento della macchina infrastrutturale attenta all’analisi dei dati e per trarne maggior profitto, è stata creata ad hoc un’apposita ideologia che «si appropria della vita stessa, offrendo strumenti indubbiamente utili e comodi, sfruttando l’incessante lavoro gratuito di milioni di utenti che producono contenuti e reazioni, e usando l’ideologia della personalizzazione e della messa in contatto delle persone». Imbevuti di questa neo ideologia i tentativi per poterne uscire risultano spesso vani e salutati come forme luddistiche a opera di revisionisti ante litteram. Disconnessione volontaria, migrazioni etiche verso piattaforme alternative e antagoniste dei poteri forti del web, isolazionismo ascetico in salsa new age, appartengono a scelte spesso vane. Sarebbe più opportuno opporre, come ricordano gli autori citati sopra, “un cambiamento culturale” che smonti la teoria per cui i padroni delle piattaforme risultano essere attori orientati al bene comune. C’è da sperare e da lavorare per un futuro meno pervaso dalle tecnologie e fondato su un nuovo illuminismo che decreti un rapporto scienza-tecnologia basato sul versante e sul fattore umano e nel recupero di una nuova ecologia umana.
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