PERÚ, ANNUNCIATO LO STATO DI EMERGENZA IN ALCUNE REGIONI

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In Perù la crisi sociale e politica non accenna a placarsi. Dal 7 dicembre scorso, quando l’ex presidente Pedro Castillo ha annunciato lo scioglimento del Parlamento e tentato così un vero e proprio colpo di Stato, il Paese verte in una situazione caotica. Il contesto vede anteposta una fetta massiccia del popolo peruviano contro la presidente Dina Boluarte, proclamata tale dopo l’arresto di Castillo, ed il suo esecutivo. Decine di migliaia di persone sono scese in piazza in questi due mesi chiedendo nuove elezioni, le dimissioni di Boluarte e la scarcerazione di Castillo. Motivazione più intrinseca dei movimenti antigovernativi, è quella di rigetto verso un sistema politico peruviano corrotto che da anni trascina il Paese e la popolazione in una crisi senza fine. Le proteste fin qui hanno portato alla morte di 48 persone, tra cui un agente di polizia. Il governo del Perù, visto l’aggravamento della situazione e manifestazioni ha conseguentemente dichiarato lo stato di emergenza in sette regioni, tutte nel sud del Paese, ovvero la roccaforte di Castillo ed epicentro delle proteste. Le aree interessate sono quelle di Madre de Dios, Cusco, Puno, Apurimac, Arequipa, Moquegua e Tacna.

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La misura sarà in vigore per un periodo di 60 giorni, durante il quale, si legge nel testo del decreto, la Polizia “manterrà il controllo dell’ordine interno con il sostegno delle Forze armate”, con l’obiettivo di “difendere gli asset nazionali critici”. Nello specifico, nella regione di Puno, dove è in vigore il coprifuoco, la misura era già attiva dal 14 gennaio scorso. L’azione drastica è arrivata dopo che la società cinese Mmg, che gestisce il giacimento di rame Las Bambas, ha annunciato lo stop alle operazioni minerarie dal 1 febbraio scorso a causa delle proteste. Il giacimento produce circa il 2% del rame prodotto a livello mondiale, e significa una fonte inestimabile di per l’economia di tutto il Perù. Secondo il segretario del sindacato dei lavoratori della miniera, Erick Ramos, lo stop danneggerà oltre 8.500 dipendenti e circa 75mila famiglie. Questa crisi, con annesse proteste antigovernative, stanno quindi conseguentemente avendo ripercussioni sull’economia già fragile del Paese sudamericano. L’inflazione si è attestata all’8,87% a gennaio, segnando uno dei livelli più alti degli ultimi vent’anni. Oltre ciò, i numerosi blocchi stradali dei manifestanti hanno impedito ai prodotti di arrivare in diverse regioni e questo sta generando aumenti di prezzo e carenza di beni.

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Tutto ciò ha provocato un rialzo enorme dei prezzi, e con tutta probabilità questa tendenza proseguirà anche nel mese di febbraio. Intanto, a livello governativo, il Parlamento non riesce a trovare un accordo per anticipare le elezioni in programma nel 2026. La spaccatura profonda all’interno è abissale, tanto che il Congresso ha respinto in ordine: elezioni generale anticipate a ottobre 2023 come proposto dalla presidente Boularte, elezioni generale anticipate ad aprile 2024 ed infine ha respinto il progetto di riforma costituzionale per anticipare il voto a luglio di quest’anno e tenere un referendum per un’Assemblea costituzionale che rediga una nuova Costituzione, presentato dal partito della sinistra radicale Perù Libre. Quest’ultima proposta è stata respinta con 48 voti a favore, 75 contrari e un’astensione. In tal senso, secondo un sondaggio della Compagnia peruviana di studi di mercato e opinione pubblica (Cpi) il 70,9 per cento dei peruviani è favorevole a tenere elezioni generali anticipate nel 2023.

Riccardo Seghizzi

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