PERDENTI

Ad arricchire la galassia polverizzata dei partiti italiani mancavano anche gli ultimi fuoriusciti del PD, i quali ne hanno battezzato un altro ravanando nel cilindro senza fondo che ciascun politico custodisce in gran segreto, pronto a rispolverarlo quando sente che è giunto il momento di costruire una casetta per pochi intimi dove contare qualcosa di più rispetto a quanto contava in quella che abbandona. E così, direttamente dalla sala “Travaglio”, per la gioia degli italiani, ecco l’ennesimo vagito frutto di una gemmazione infinita, quello del neonato "Articolo 1 - Movimento democratici e progressisti". Lo chiamano “Movimento”, perché è di gran moda un siffatto appellativo e strizza l’occhio furbescamente agli elettori dei cinque stelle. In Parlamento conta 37 deputati, 20 ex Pd e 17 ex Sel, con il capogruppo eletto democraticamente all’unanimità, Francesco Laforgia. Vice presidente è l’ex vendoliano Ciccio Ferrara, il tesoriere Danilo Leva, ex dem. E siamo quindi, se il pallottoliere non mi inganna, a circa diciotto sigle di sinistra, tra veri e propri partiti e gruppi parlamentari che si vogliono distinguere da quelli di provenienza. I maggiori, oltre al PD, sono Sinistra Italiana, fondato sulle ceneri di Sinistra ecologia e Libertà, già figlia della scissione da Rifondazione Comunista, a sua volta figlia della scissione dal PCI, e “Possibile”, guidatoda Pippo Civati, deputato ed ex candidato alle primarie del Partito Democratico. Il Movimento dei Democratici e progressisti ha ribadito con Laforgia che il fulcro del programma è quello di riallacciare le fila con la società, incalzando il governo sulla questione sociale.
Belle parole che non dicono nulla più di quanto tutti sostengono.Dovremmo poi credere che D’Alema, Bersani, Speranza e gli altri sarebbero stati capaci di creare e strutturarsi in partito nel giro di pochissimi giorni, allorquando cioè avrebbero compreso che non c’era più spazio per loro nel PD, essendo troppo divergenti le loro idee da quelle del Segretario Renzi. Non è credibile una versione in questi termini e il buon senso porta invece a considerare che, a fronte dei proclami ufficiali, i patti aventiniani fossero cosa già fatta. La partenza non è delle migliori, quindi, perché la scarsa trasparenza iniziale non fa presagire nulla di buono. Nel merito la situazione è ancora peggiore. Questi fuoriusciti sono reduci da una sconfitta sonora e duplice, perchénon solo non sono riusciti a creare consenso all’interno del loro partito per far passare punti di vista divergenti da quelli maggioritari (fatto che sarebbe dialetticamente fisiologico e del tutto dignitoso per chi perde), ma non sono stati capaci di organizzare una lotta interna leale per progettare un futuro con un diverso assetto del partito che, essendo anche loro, era la naturale fucina per comporre ogni divergenza.È paradossale, quindi, che vi sia oggi la pretesa di riuscire a cambiare le cose dall’esterno, sia perché i numeri sono scarsi e sia perché hanno già dimostrato di essere perdenti senza rimedio. Traspare fin troppo evidente, del resto, che il fine di questo marasma è stato solo una lotta personale e nulla più, perché sul piano delle idee di fondo non v’è nulla che giustifichi una separazione.
Inoltre, la tradizione di chi si scinde, a voler guardare la cabala, è addirittura catastrofica, poiché si vince unendosi e non il contrario. Emiliano lo ha compreso in tempo e ha fatto la cosa più sensata: manifestare duramente il proprio dissenso e lottare all’interno, candidandosi alla carica di segretario, anche a costo di una sconfitta che sarebbe comunque onorevole. Ma può darsi che l’obiettivo dei fuoriusciti non fosse altro che quello di riacquistare una visibilità appannata dal carisma di qualcun altro, e allora, a livello personale, questa manovra sarà un gran successo, ma il panorama politico italiano ne soffrirà moltissimo. Saremo così tutti un po’ più perdenti, perché i politici continueranno a discutere del nulla, lasciandoci a gestire la realtà con regole sempre più approssimative e frammentate, come lo sono i partiti. Andremo sempre più avanti non grazie a loro, ma nonostante loro, e quindi un po’ della sana censura di Mentana, sia pure per l’ignobile inerzia sul tema del fine vita, sarebbe quanto mai opportuna.Ma questa, come spesso mi capita dire in conclusione, è un’altra storia.
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