PER UN’EUROPA PIU’ UMANA

Il rispetto per la vita contro l’egoismo che il sistema capitalistico ha seminato

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L’Europa alla quale aspiriamo ha disatteso quasi tutti i presupposti su cui si basano le leggi che la stessa Unione si è imposta. Parliamo del sogno di un’Europa più unita non solo economicamente, ma anche e soprattutto sotto l’aspetto umano; un’Europa che ha raggiunto la globalizzazione tanto agognata fin dagli inizi del 2000, per la quale ha stanato ogni tentativo di protesta dei No Global. Oggi si avvera la profezia di un’Europa rimasta aggrappata ai valori nazionalisti e individualisti, fondati sull’egoismo, che il neoliberalismo ha ormai imposto senza lasciare alcuno spiraglio ai valori basati sulla libertà. Si è caduti nella trappola secondo cui ogni sistema al di fuori di quello europeo è sinonimo di sottomissione, non considerando però che proprio l’Ue, mostratasi pronta e disponibile a “liberare” sempre più Paesi, ha “venduto” questa libertà a caro prezzo, forse più alto rispetto a quello richiesto dai quei sistemi che si dicono totalitari, non democratici. Non c’è dubbio sul fatto che questi ultimi portino alla privazione della libertà umana, costituendo una dittatura, ma tanti sono gli esempi che ci dimostrano quanto anche l’intervento dell’Unione Europea abbia nociuto al benessere di alcuni Paesi, a distanza di quasi 30 anni dalla caduta dell’Unione Sovietica.

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Cominciamo dalla Romania, considerando il periodo di tempo nel quale è avvenuto lo sgretolamento dei Paesi che facevano parte dell’Unione Sovietica: tanti romeni, dopo l’apertura dei confini, hanno lasciato le loro case e la loro terra per diventare schiavi agricoli in Spagna e nel Sud Italia, così come tante donne romene sono state costrette ad abbandonare i propri bambini per accudire i figli di altre madri. Come dimostrano molte ricerche condotte dall’Associazione Donne Romene in Italia di Silvia Dumotrache, che si occupa delle morti bianchi di cui nessuno parla, circa 80 bimbi si sarebbero suicidati negli ultimi anni, tanto che per queste donne è una vera fortuna tornare in patria e trovare i loro figli ancora vivi. Tantissime altre donne sono state e continuano ad essere vittime della prostituzione nelle strade delle metropoli europee, prossimamente anche dall’Ucraina, paese “liberato” dall’Ue e dalla Nato, in cambio della cui libertà si promettono visti di ingresso e facilità di movimento. Quel Paese che ha contato i morti della guerra civile che causò la lotta di potere tra Russia e l’UE è lo stesso in cui oggi, secondo i dati forniti dall’Associazione Ebano, nella sola città di Odessa 5mila ragazze, tra le quali tantissime minorenni, aspettano di riversarsi sulle strade e nei bordelli d’Europa.

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Quante vite hanno perso gli albanesi a metà degli anni della democrazia, nel 1997, con la caduta delle piramidi nella guerra civile, che ha lasciato che ciascuna famiglia si scontrasse la morte di almeno un familiare. Andate nei cimiteri a vedere quanti sono morti giovani solo nel ’97, per non parlare del fiume di ragazze trafficate e degli emigrati che lasciarono il paese in cerca di un lavoro per sopravvivere, partendo e perdendo la vita nel mar Ionio e nell’Adriatico. L’Italia che ci “salvò”, come dice oggi il nostro Ministro degli Esteri Ditmir Bushati, è proprio quella della Presidente della Camera Piveti, la quale invitava a buttare in mare tutti gli albanesi, come accaduto alla Katër i Radës, che affondò il 28 marzo 1997 con a bordo donne e bambini scappati da una guerra civile che non risparmiava nessuno, causata appunto da un governo democratico. L’allora presidente Sali Berisha intimava su tutti i canali tv di portare soldi alle fondazioni, di diventare ricchi al grido di “vai via povertà!”. Era ovvio che l’Italia avrebbe salvato gli albanesi, avendoli così tanto attirati con la sua propaganda capitalista assieme ad altri Paesi democratici. Così come era ovvio che l’Albania si sarebbe aperta, rendendosi appetibile dalle imprese straniere che non vedevano l’ora di dare una mano ai poveri albanesi rimasti ormai senza lavoro. Guardate “Lamerica” di Michele Placido: oggi è ancora così, credetemi.

Quale prezzo ha pagato l’Albania fino ad ora? Innanzitutto, il continuo svuotamento dei suoi territori: tutti aspirano al trasferimento all’estero, e in Albania rimangono quelle poche donne che continuano a lavorare nelle fabbriche del terziario italiane in condizioni disumane, tanto che fanno fatica a portare a casa 150 euro al mese lavorando per più di 8 ore senza nessun diritto sindacale; in alcuni casi, tanto per citare un esempio, vengono loro sottratti i minuti spesi alla toilette, senza alcun permesso pagato e senza il diritto di esprimere i propri bisogni. Semplici oggetti da usare e poi gettare via, nell’indifferenza generale. Un Paese dove, almeno secondo le ultime statistiche, la popolazione sta invecchiando, passata dai 4 milioni dei primi anni ’90 a circa 2 milioni. Un Paese dove i giovani passano il tempo a sognare di andarsene, contando i giorni che li separano dal tanto agognato viaggio. Questa è l’Albania del post sistema di Enver Hoxha, che aspira a diventare un giorno parte di questa Europa che l’ha “aiutata” a svuotarsi e che le fa persino i complimenti, perché sta tentando di colmare il vuoto con i nuovi migranti del mondo di cui l’Europa si dice piena.

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Quale umanità è rimasta a questa Europa, di cui l’Albania vuole entrare a far parte? Quella di un territorio colonialista, che non vede guerre sul suo suolo da 70 anni ma ne scatena altrove, facendo finta di non vedere quando le vittime di quelle stesse guerre affiorano dal mare o giungono per terra. Quale esempio di ospitalità può fornire l’Unione Europea ai Paesi che desiderano entrarne a far parte, in cui la popolazione ha ancora bisogno di rendersi indipendente dalle rimesse degli immigrati ed i cui governi, a distanza di 30 anni dalla democrazia, non hanno ancora posto delle regole di diritto per i loro stessi cittadini?

Marsela Koci

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