PINO “Tuca tuca”

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Giuseppe, detto Pino, è una leggenda nel quartiere dove abita ed anche tra i colleghi di lavoro. Impiegato presso una società di elaborazione dati, vive con la sua famiglia in un appartamento carino in zona Tiburtina, a Roma. Sin da quando era adolescente, manifestò subito i sintomi di ciò che l’avrebbe portato a diventare famoso con il soprannome “Tuca tuca”. Accadeva infatti che, ad ogni occasione in cui usciva con gli amici, riuscisse a non offrire mai nulla, e anzi scroccava con assoluta nonchalance. Non si limitava a non pagare, no: Pino iniziava a toccarsi le tasche dei pantaloni, del giubbotto, un movimento veloce delle mani su tutto il corpo, e poi concludeva questo balletto con la solita frase “ho dimenticato il portafoglio”. Crescendo, ovviamente, sviluppò una abilità particolare nel risparmiare soldi e nello scroccare caffè ed aperitivi. Anche sua moglie, quando erano fidanzati, subì il fascino del balletto, tanto è vero che alla prima uscita insieme lui la portò a prendere un gelato al centro, solo che al momento di ricevere lo scontrino Pino, con una classe raramente vista da occhi mortali, effettuò prima la tastata delle tasche, poi lo struscio dei palmi sul sedere, ed infine con un sorriso chiese alla fortunata di pagare lei, perché aveva dimenticato il portafogli. Nonostante le avvisaglie, la ragazza decise di proseguire sulla strada, anche se, prima di ogni uscita, si premurava di chiedere a Pino se avesse preso il portafogli. Ma Pino, mente sottile, capito che la pulzella non era facile da manovrare, iniziò a portare con sé solo una banconota di grosso taglio, ed iniziò con il famoso mantra “non ho spicci”. Certo, aveva di fronte un avversario arguto, che dopo le prime occasioni iniziò a portare anche ella solo banconote di grosso taglio, nascondendo bene gli spicci in modo che non facessero rumore.

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L’avvento dell’euro mise in crisi Pino, con quelle monetine che rappresentavano un pericolo se mal gestite, ma riuscì a risolvere il problema con l’acquisto di un salvadanaio. Quando venne assunto presso la società in cui lavora attualmente, riuscì a resistere al noleggio della chiavetta per fruire dei distributori automatici, e la mancanza perenne di spiccioli gli garantiva sempre l’intercessione di persone di buon cuore. Ma solo finché non arrivò l’estate. Quando si ritrovò solo in ufficio, con l’arsura che lo aggrediva, si diresse verso i distributori, sperando di incontrare qualche generoso, ma il corridoio era vuoto, solo ombra e zanzare. Attese qualche minuto, confidando nella buona sorte, ma le porte degli altri uffici erano chiuse, nessun movimento. Si spinse fino alla porta della centrale acquisti, poggiò l’orecchio al legno, e sentì un vociare. Si mise a spiare dal buco della serrature e vide i suoi colleghi che bevevano acqua ed altre bibite, e poi, in fondo, sotto la finestra, un frigorifero. In quel momento lo sconforto si impadronì di lui, ed anche un leggero biasimo verso i colleghi della sua stanza, che non avevano provveduto ad acquistare un frigorifero. Si diresse verso la contabilità, e con aria contrita chiese una chiavetta per fruire dei distributori. Provò a tirare sul prezzo del noleggio, disse che non aveva spiccioli, ma niente, non impietosì il funzionario, che pretese i soldi dovuti. Ricaricò la chiavetta con la cifra necessaria all’acquisto di una bottiglietta d’acqua, per non correre il rischio di dover offrire a qualcuno, e tornò nella propria stanza con aria mesta. Nonostante il noleggio della chiavetta, però, trovava sempre il modo di scroccare qualcosa: la chiavetta era sempre nella giacca, nel cassetto o chissà dove.

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Anche tra i vicini di casa era famoso per il suo balletto, e quando arrivava la primavera tutta la gente si sedeva attorno ai tavolini all’aperto del bar di zona, in attesa che tornasse dal lavoro. Pino arrivava, iniziava a lamentarsi di tutto, dal governo alla polizia, coinvolgendo le persone e motivando discussioni, finché, con un leggero colpo di tosse, annunciava di aver la gola secca per il troppo parlare, e si avviava verso chi vedeva con una bottiglietta d’acqua sul tavolino, un po’ come un cane che osserva chi mangia implorando con lo sguardo un boccone. La moglie di Pino ed i figli non escono quasi mai con Pino, a meno che non si tratti di occasioni importanti, ed in quel caso si riempiono le tasche di spiccioli e prendono i portafogli, per non correre il rischio di far brutte figure, anche se poi, al momento di pagare, quando Pino li vede tirar fuori i soldi, il suo viso assume un colore paonazzo e le lacrime si affacciano agli occhi. Ma Pino ha trovato un modo per compensare questo ammanco economico, ed ha disposto che in famiglia la carta igienica vada fruita nella misura di 4 strappi ciascuno. E, quando arrivano gli ospiti, mette un rotolo usato appositamente, quasi terminato.

Tutti noi nella vita abbiamo incontrato un Pino, anche se con un nome diverso. Questa è la storia di uno di loro.

Paolo Varese

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