POCO VIRTUOSI NEL VIRTUALE

Le cattive pratiche di noi utenti

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cms_24176/1.jpgSobrietà digitale, fermare l’uso smodato dei social, cambiare mentalità per il nostro bene e per quello degli altri. Non sono le solite raccomandazioni rivolte in particolar modo ad adolescenti affetti da bulimia da smartphone, ma è il grido d’allarme del ministro della transizione ecologica Cingolani affinché un uso moderato della rete e soprattutto dei social abbia come conseguenza un effetto meno inquinante per il pianeta.Nell’ottica di una transizione ad NNell’ottica ormai globale di una transizione al digitale come unica risorsa per il cambiamento nei rapporti tra stato e cittadini, ecco che il risvolto della medaglia ci presenta il conto sotto forma di emissioni di Co2 sempre più pesanti e soprattutto inquinanti. Si è calcolato che se la rete fosse una nazione, sarebbe al quarto posto dopo Cina, Stati Uniti e India, dato che i suoi quattro miliardi di utenti immettono a testa in media 400 grammi di anidride carbonica all’anno, ovvero 1.850 milioni di tonnellate di Co2 in un anno secondo i dati del 2019 diffusi dal Global Carbon Project. Una situazione grave che potrebbe peggiorare considerando che la domanda di dispositivi digitali aumenta e con essa l’energia consumata per usarli.

cms_24176/2_1639887067.jpgDopo lo scioglimento dei ghiacciai, l’effetto serra, le estati sempre più torride, la deforestazione, all’inquinamento umano si aggiunge ora anche quello prodotto dall’utilizzo di internet. Il ministro Cingolani fa bene a sottolineare dunque come oggi diventi un atto di responsabilità capire che l’utilizzo smodato dei social non è a impatto zero, e quando vengono inviate foto e video qualcuno paga il conto in termini di impatto ambientale perché l’inquinamento digitale riguarda non solo la mera produzione di pc e smartphone, ma anche la Co2 prodotta dall’uso degli stessi dispositivi. Tonnellate di anidride carbonica ogni anno vengono diffuse nell’aria da app come Facebook, YouTube e WhatsApp, un consumo maggiore, secondo alcune stime, del traffico aereo. Altri studi confermano il pericoloso impatto ambientale dei nostri dispositivi: per la Royal Society il digitale è responsabile dell’emissione di gas serra per una quota che va dall’1,4% al 5,9%; stime della Bbc dicono che un tweet lascia un’impronta di Co2 di 0,2 grammi, l’invio di una mail da 1 megabyte circa 4 grammi; la visione di video online genera 300 milioni di tonnellate di anidride carbonica all’anno. Le cifre non lasciano scampo, bisogna comprendere e riflettere sugli impatti effettivi sull’ambiente del tempo che passiamo sui social e con gli smartphone (nel mondo ce ne sono circa 15 miliardi in circolazione, con un ciclo di vita di 2 anni e mezzo e con una produzione di oltre 57 milioni di tonnellate di rifiuti elettronici prevista entro fine 2021).

cms_24176/3.jpgIl Web assieme a gadget hi-tech, server e algoritmi, entra come detto a pieno titolo nella classifica dei Paesi che causano emissioni di CO2 con i computer da tavolo, portatili e schermi che producono da soli la parte maggiore del danno. Ma ci sono anche i server e i data center, vale a dire l’infrastruttura del Web che hanno bisogno, tra l’altro, di sistemi di ventilazione per il raffreddamento delle macchine. L’obiettivo è puntare all’efficienza e al risparmio energetico sotto ogni aspetto della tecnologia, attraverso l’uso per esempio dell’intelligenza artificiale o di algoritmi per ottimizzare video e data center che potrebbero essere alimentati dall’eolico e dall’energia solare per rendere sostenibile la rete. Il problema però riguarda anche le buone pratiche messe in campo da un utente spesso e volentieri bulimico di contenuti, contenuti che assumono cifre vertiginose ogni giorno nello spazio del digitale e di cui spesso la maggior parte sono inutili e ridondanti.

Andrea Alessandrino

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