PROPOSTE DI LETTURA - GIORGIO SIMONOTTI MANACORDA
L’anima del vino

Giorgio Simonotti Manacorda, (1915-1971), è uno dei tanti poeti ingiustamente dimenticati del ‘900 italiano. Figlio del forse più noto Oreste (il Sire di Villabella, luogo tuttavia inapprezzabile come la ventilazione di Sandro Ciotti), ingegnere, Grand’Ufficiale e presidente del Casale Calcio, nonché, per un biennio, dell’Ambrosiana Inter, di Giorgio non si avrebbero molte notizie né su Wikipedia né su Wikipoesia. Ci soccorre, per nostra fortuna, la meritoria tesi di laurea di Chiara Olivero (Casale Monferrato, 1980 - scrittrice e poetessa), che ringraziamo. Giorgio Simonotti Manacorda trascorse un’infanzia dorata nella splendida villa di famiglia, viaggiando anche all’estero in compagnia del padre. Nel 1944-45 partecipò alla resistenza con la qualifica di Partigiano combattente. Sposatosi nel 1945, frequentò il Blu bar, un ritrovo letterario milanese dove conobbe Carlo Bo, Luciano Anceschi, Vittorio Sereni, Luciano Erba. Più tardi, tornato a Villabella, conseguirà la laurea in Lettere. Dopo la morte della madre si dedicò, più per necessità che per passione, all’insegnamento presso la scuola media di Candia Lomellina (PV) e successivamente all’Istituto Commerciale Jaffe di Casale Monferrato. Ebbe un figlio, scomparso prematuramente, anch’egli poeta. La figura di Simonotti non è secondaria rispetto a un altro grande, Gennaro Pessini (Castelnuovo Scrivia - AL, 1941-1989), su cui torneremo in un’altra Proposta. Ecco una poesia tratta da “I banchi di Terranova” (Giulio Einaudi Editore, 1967), meritoriamente pubblicata sul sito www.larecherche.it. Ci vediamo lampi di Ghiannis Ritsos nel suo dettato poetico. Non lo crediamo un abbaglio.
L’anima del vino
E’ l’anima del vino che ritorna
nelle sere d’ottobre
quando nel fuoco danzano i folletti
batte alla porta il vento
come un brigante un vecchio bracconiere.
E tu l’accogli come i sogni
di frodo al fondo dei bicchieri:
è il grande amico è l’avventura
sulla spiaggia battuta di libeccio,
non rinchiuderlo l’uscio
appare la fanciulla in giustacuore
la favola vissuta e non ridetta mai.
Anche torna il dolore
(le bottiglie stanno laggiù
come soldati pazienti allineati
nelle trincee degli anni)
adagio si alimenta dentro l’anima
e si decanta illimpidisce
di scorie, non rimane che l’essenza
del puro sentimento il fiore.
Non contarli i bicchieri
senti il grido sottile degli aironi
(se ne vanno sul filo del fiume
e tu con essi ne hai la grazia
inconsapevole l’istinto
sei nuvola alto fiuto sospeso),
lascia la nebbia che si impigli
nei tralci deserti del cuore.
E’ questa l’anima del vino
è il sole sprigionato di un ottobre
il tempo che fu di tua madre
che ai dolci clivi sbocciava
ragazza in fiore; stasera
nel tempio dell’anima
sui muri che ondulano le ombre
ritornano quelle tue sere
padane persuase nel sonno.
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