Piccolo è bello e redditizio

Arrivano i “nanoinfluencer”

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La ricerca di un lavoro diventa sempre più arduo per milioni di persone, con il rischio di trasformarsi per i giovani addirittura in una chimera. In soccorso di moltissimi adolescenti alla spasmodica ricerca di futuro occupazionale, possibilmente redditizio, da qualche anno è venuto loro in soccorso il web. Per chi frequenta con una certa abitudine i social network, la parola influencer è entrata a far parte del vocabolario quotidiano. Sono quella categoria di persone, vip e meno vip, con un altissimo numero di follower (seguaci) e in grado di influenzare solo per il loro nome e in forza del loro prestigio e della loro improvvisa popolarità, i gusti del pubblico in termini strettamente consumistici.

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Nella vasta e variegata tribù degli influencer si possono trovare artisti, modelle, rapper, videomaker, ma anche semplici presenzialisti dei social, ovvero persone ritenute influencer solo per la loro assidua vita sui social, in special modo sul pianeta Instagram. Storicamente l’influenzatore è sempre esistito, basti pensare alla figura dell’opinion leader teorizzato da Lazarsfeld in uno studio del 1940, in piena seconda guerra mondiale e in totale regime propagandistico. Il fenomeno è poi esploso con l’avvento del web 2.0 con le nuove forme di marketing d’assalto, tanto da arrivare ai giorni nostri a distinguere tra tre tipi di influencer in base al numero dei loro follower: megainfluencer, quando hanno più di 500mila follower; normali influencer quando ne hanno tra i 100mila e i 500mila; microinfluencer, che ne hanno tra i 10mila e i 100mila.

Oggi si sta però insinuando e sviluppando una nuova categoria dai piccoli numeri ma non per questo meno ambita e ambiziosa: i nanoinfluencer. Hanno meno di 10mila follower e forse proprio per questo ristretto numero le aziende stanno pian piano avvicinando questi nuovi ed emergenti soggetti del web. La sponsorizzazione di moltissimi prodotti di moda attraverso la partnership con i grandi leader d’opinione dei social, ha portato inizialmente le aziende a ricercare testimonial d’eccezione tra le prime tre tipologie di influencer sopra menzionate, in un momento in cui il mercato del e-commerce conosceva un periodo di grande fermento merceologico. L’investimento su un singolo influencer però alla lunga costa, ha un prezzo molto alto e spesso non garantisce un ritorno economico sperato alla vigilia (a tal proposito circolano voci non ufficiali e probabilmente sottostimate sui cachet sborsati dalle aziende per ottenere una sponsorizzazione da parte di grossi influencer sui loro priofili).

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A sparigliare le carte in gioco e a rovesciare il tavolo delle trattative ecco allora arrivare la nuova figura dei cosiddetti nanoinfluencer, sconosciuti ai più, dalle poche pretese economiche e meno capricciosi dei più famosi influencer dai grandi numeri. Innamorarsi per le aziende di influencer con bassi numeri di follower sembra paradossale. Perché allora investire tempo e denaro su persone sconosciute e con pochi follower senza nessuna garanzia presente e futura? Il rischio però sembra essere stato già calcolato, nel senso che investire nei nanoinfluencer significa a breve e medio termine ottenere il massimo con il minimo sforzo (d’investimento). I punti di forza di questa preziosa seppur piccola categoria di sconosciuti opinionisti sono la spontaneità d’azione, un rapporto con i propri follower non artificioso cioè in grado di creare un legame di fiducia più duraturo rispetto ai personaggi famosi e infine si accontentano di benefit aziendali come prodotti gratuiti e sconti particolari. Tempi duri insomma per Chiara Ferragni e i suoi accoliti, il punto di saturazione per gli influencer sembra essere giunto: i nanoinfluencer sono la rivoluzione che parte dal basso, la ragazza o il ragazzo della porta accanto bravo a districarsi nella infosfera grazie a ottime capacità di engagement, con uno storytelling inedito basato su solidi rapporti di amicizia, preferibilmente su Instagram, e un bacino di utenti non superiore a pochissime migliaia. È da qui che parte il corteggiamento aziendale, è qui che il brand si innamora e vede un’ennesima occasione per uscire dal cono d’ombra in cui potrebbe andare a infilarsi e trova al contrario nuovi adepti e nuovi “seguaci” subito pronti a trasmettere il suo messaggio urbi et orbi (et social).

Andrea Alessandrino

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