QUESTA NOSTRA PASQUA

Tra “C’era una volta” e…”infine?”

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E’ Pasqua. Per i credenti è la festa del trionfo della vita sulla morte. In accordo con l’etimo è la liberazione, il “passaggio” . La parola deriva, infatti, dal latino pascha, deformazione paraetimologica da pesach (passaggio, liberazione, …in ricordo della liberazione del popolo ebraico dalla schiavitù d’Egitto e del suo esodo verso la terra promessa) che ha mantenuto questo significato nel cristianesimo in accordo con l’evento della Resurrezione di Gesù. Passaggio, ripeto: dalle tenebre del male alla luce del bene. Dal buio pesto in cui si imbatte l’esistere ai bagliori di un’alba radiosa.

Sappiamo che la data della Pasqua coincide con la domenica successiva al plenilunio di primavera e, dunque, è’ bassa se cade dal 22 marzo al 2 aprile, media dal 3 al 13 aprile, alta dal 14 al 25 aprile.

Questa nostra Pasqua “cade media” e in un mondo attraversato dalla pandemia da Covid-19.

Come lo scorso anno costringe tutti, nel rispetto delle norme di lockdown, a rinunciare e/o limitare rigorosamente la relazionalità sociale. Nel 2020 coglieva l’umanità di sorpresa producendo sconforto da incertezza. Oggi ci coglie stanchi, avviliti, addolorati dinnanzi al bilancio quotidiano delle assenze strappate, più o meno improvvisamente, alla vita.

Questa nostra Pasqua dobbiamo viverla comunque come passaggio non lasciando svaporare il suo significato e l’essenza consolidata nella cultura nella sua storia millenaria.

Non sono forse da sempre simboli pasquali il segno della pace e dell’amore purificatori da tante fatiche e dolori, disillusioni e sogni infranti, passioni e sacrifici?

Le tradizioni culinarie e i riti hanno voluto mantenere fermi questi messaggi attraverso i passaggi generazionali. Questa nostra Pasqua è per ognuno di noi momento di riflessione sull’oggi, tra passato e prospettive future. Mancheranno le celebrazioni festose all’aperto ma…

Uova, colombe, pasticci in Italia e nel mondo…C’erano una volta?

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In ogni Regione d’Italia l’agape pasquale riserva prelibatezze che, attraverso aromi e forme evocative, celebrano le ricchezze della natura primaverile nella stagione della rinascita anche se il dolce tipico è la Colomba (un impasto di farina, burro, uova, zucchero e canditi, glassa alle mandorle) che nella sua forma ricorda il simbolo cristiano della pace e della salvezza.

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Condivide la sua gloria insieme all’immancabile uovo di cioccolata, attualizzazione dolciaria dell’umile uovo di gallina, segno della fecondità, della vita che nasce e, perché no, anche del mistero. Si narra che la Madonna desse a Gesù Bambino uova colorate per farlo giocare e che avesse portato in dono a Ponzio Pilato un cesto dorato pieno di uova per implorare la liberazione del Figlio. Quelle stesse uova il giorno di Pasqua, le scoprì sul ciglio del Sepolcro. Per la tradizione apogrifa cristiana, invece, le uova sono il simbolo della Resurrezione di Cristo. La leggenda vuole che Maria Maddalena, di ritorno dal Santo Sepolcro rimasto vuoto, tornando a casa per raccontare il miracolo ai discepoli, incontrò Pietro si dichiarò disposto a crederle solamente se le uova si fossero colorate di rosso. Le uova diventarono di un colore purpureo. Per restare nel tema delle leggende tramandate fino al medioevo si riporta che la stessa Maria Maddalena avesse regalato uova dal guscio rosso all’imperatore Tiberio alludendo alla Resurrezione di Gesù. Al di là delle vulgate sta di certo che le uova pasquali mettono d’accordo tutti i popoli al di là del credo e fin dalla notte dei tempi.

Noto ai Persiani, l’uovo era già 3000 anni fa come espressione della vita che si riproduce. Come dono beneaugurante figura dipinto di rosso nell’antica Roma e, prima ancora, nell’Egitto dei Faraoni.

In altre culture la componente della fecondità strictu sensu abdicava in favore di una pantogenesi universale: nella ritualità cinese era accreditata l’idea che le origini della terra si dovessero fare risalire a un uovo gigante. Nei paesi celtici del nord Europa si usava far rotolare le uova dalla cima di una collina per la festa di Beltane perché si riproducesse il movimento del sole nel cielo.

La sacralità dello scambio si afferma in Germania a partire dal Medioevo. Prima tra la gente comune e nella veste di uova bollite avvolte in foglie e fiori in modo che si colorassero naturalmente e, in seguito, tra nobili e aristocratici in riproduzioni artistiche di argento, platino o oro, comunque decorate. Nelle chiese di rito orientale, ancora oggi alla tavola di Pasqua non mancano uova tinte di rosso nel ricordo della Passione di Cristo.

Uova, colombe e tradizioni culinarie per ricordare la Pasqua, dunque. Ma non solo.

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In Svezia e Finlandia, sono messaggeri di pace i rami di pioppo bianco con le gemme benedetti il giorno della Domenica delle Palme. In Finlandia si scambiano insieme a dolci tipici quali il“Pasha” a base di formaggio e il “Mammi”, un budino a base di acqua, farina di segale e malto di segale in polvere, condito con melassa scura, sale e buccia d’arancia secca in polvere, con panna e zucchero, o con gelato alla vaniglia.

Gli Svedesi sono più legati al simbolismo delle uova sode colorate.

In Danimarca sono le case ad essere adornate con rami fioriti e uova dipinte e la domenica di Pasqua ai bambini viene regalato un coniglio di cioccolato.

In Francia le campane delle Chiese restano mute dal venerdì Santo fino a Pasqua. Ai bimbi si dice che per la morte di Gesù tacciono e che per il dolore si librano in volo verso Roma per incontrare il Santo Padre: torneranno a suonare la domenica di Pasqua e solo allora i più piccoli riceveranno in dono le uova di cioccolato.

Per i bimbi tedeschi i doni pasquali sono l’ uovo e un agnello di cioccolato ma anche un coniglietto chiamato “Osterhase” mentre gli adulti celebrano la Pasqua accendendo un fuoco sacro le cui ceneri vengono sparse negli orti dai contadini, come augurio propiziatorio per il raccolto.

In Polonia i ragazzi portano in chiesa cesti con uova dipinte, salame e dolciumi e li depongono ai piedi dell’altare per ricevere la benedizione del sacerdote.

In Spagna la Pasqua 2021 non è stata preceduta dalle processioni rievocative del sacrificio di Cristo. La sacralità della festa è rimessa alla Mona de Pascua, “regalo di Pasqua”, un dolce a forma di ciambella, sulla quale viene posizionato un uovo sodo che viene regalato ai fedeli dopo l’astinenza fatta per i lunghi quaranta giorni della Quaresima.

In Inghilterra la Pasqua viene vissuta nella pienezza del sacrificio del Cristo con opere di carità verso i poveri e di soccorso verso gli anziani (vengono aiutati nel lavaggio dei piedi) consumando gli “hot cross buns”, brioches fatte con uvetta e cannella e decorate con una croce di glassa, per ricordare la passione di Cristo, che si ritiene aiutino i malati a guarire o a garantire pace tra gli amici con cui vengono condivise.

Per Dalmati e Istriani domina la Pinca, un pan brioche originariamente rievocativo dell’equinozio di primavera, a forma di pane rotondo con una croce incisa sulla superficie, simbolo della crocifissione di Cristo.

In Bielorussia, Bulgaria, Georgia, Romania, Serbia e Ucraina il simbolo pasquale, tradizionalmente decorato dalle lettere cirilliche X e B, iniziali dell’augurio pasquale Христос воскрес o Хрис҄тосъ воскресе “Cristo è risorto”, è il Kulich, un impasto lievitato di burro, farina, latte, uova e zucchero, in cui sono incorporate uvetta, frutta candita e mandorle sbucciate, con una glassa di zucchero e albume d’uovo cosparsa di zucchero o miglio colorato, aromatizzato con liquori e spezie.

In Bulgaria si colorano le uova di rosso perchè possano portare salute.

In Russia non potrà svolgersi la processione attorno alla cattedrale della città di Sargorsk, dove risiede il Pope né potranno le famiglie recarsi ad onorare i defunti ma nelle case non mancheranno la Pashka, il dolce a forma di piramide e a base di formaggio, decorato con simboli religiosi, come le lettere XB, le iniziali della frase “Christos Voskres” (Cristo è Risorto) e le uova colorate di rosso a simboleggiare la nuova vita ottenuta mediante il sacrificio di Cristo.

Le famiglie in Grecia si raccolgono intorno alla candela (accesa in chiesa e poi portata a casa) consumando pane pasquale, uova colorate, “Marghiritsa” (zuppa di agnello) e Tsoureki (pan dolce a forma di treccia aromatizzato con cardamomo, pimento ed essenza di ciliegia).

In Israele, la Pasqua cristiana convive con i riti della festa ebraica del “Passah”.

In Brasile viene consumata la Paçoca, un dolce tradizionale a base di arachide, farina di manioca e zucchero, la cui preparazione viene vissuta nel rituale cristiano che celebra l’amore, l’armonia della famiglia e l’altruismo.

La Passione di Cristo in Messico viene ricordata attraverso il Capirotada, un pudding di pane messicano fatto con pane tostato francese, imbevuto di sciroppo, zucchero, uvetta e noci . Il pane rappresenta il Corpo di Cristo, lo sciroppo è il suo sangue, l’uvetta i chiodi della croce, le stecche di cannella intere sono il legno della croce di Cristo e il formaggio fuso rappresenta la Sacra Sindone.

Negli Stati Uniti i bambini si sfidano nella caccia alle uova che, secondo la leggenda, sono nascoste dall’Easter Bunny, il coniglietto pasquale. Anche qui compaiono gli hot cross buns, ma la ricetta americana, oltre a uvetta e cannella, prevede i profumati canditi agli agrumi e la croce di pasta bianca che decora il dolce simboleggia la crocifissione.

Anche l’Africa festeggia la sua Pasqua. In Etiopia si chiama Fasika, ma ricorda la Resurrezione di Gesù dopo la crocifissione. Gli etiopi digiunano per quasi due mesi e celebrano una Messa pasquale di diverse ore, con canti e preghiere, dopo la quale si concedono una mangiata di carne accompagnata dalle tisane locali. Anche in Egitto si osserva il digiuno (la festa si celebra il lunedì dopo Pasqua, che corrisponde all’antica usanza faraonica di Shamm el Nesim, che significa “respirare la brezza” consumando chili di fsikh, un piatto tipico a base di pesce del Nilo seccato al sole, condito con cipolla e limone).

In Australia, domina la festa il bilby, un roditore autoctono, che distrugge le colture ma è adorato dai bambini, perché, secondo la tradizione, distribuisce le uova di cioccolato.

In Giappone la Pasqua, detta Hanami (“ammirare i fiori”) è una celebrazione della primavera dominata dalla fioritura dei ciliegi con i loro splendidi petali rosa.

Questa nostra Pasqua non vede città e borghi d’Italia con piazze affollate da gente intenta a lanciare le cidulos (come in Friuli), sfilate dei carri allegorici ornati di fiori e muschio portati da giovani in costume tradizionale (come quella tipica di Bormio), giochi popolari evocativi come Ponta e Cull” di Piacenza ( più precisamente a Fiorenzuola D’Arda), lo scoppio del brindellone sul Carro (che dal 1622 è stato il rito dei fiorentini), la Sagra e il Palio dell’uovo a Tredozio con giochi, battaglie e sfilate di carri allegorici, il rito della Madonna che scappa (a Sulmona) in strada per abbracciare suo Figlio, la Corsa dell’Angelo (a Ischia), le classiche Vallje, dei canti popolari in Arbresh (a Frascineto, in Calabria), la Real maestranza (a Caltanissetta), le antiche celebrazioni a Prizzi con le maschere della Morte ( tradizione settecentesca che si tramanda di padre in figlio), i riti sardi Su Scaravamentu, e S’Incontru (risalenti al ‘600 commisti a quelli di origine precristiana, legati al mito di Adone come morte e rinascita del raccolto e della vegetazione).

…Infine?

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In questa nostra Pasqua manca la solennità delle celebrazioni popolari. Resteranno vive nel patrimonio culturale come lo sono state per secoli.

Come nel linguaggio di fiducia con cui comunichiamo ai nostri bambini la certezza nel trionfo del bene sul male questa nostra Pasqua scoprirà in ciò che c’era una volta la gioia delle cose, la responsabilità nelle parole non dette e nell’indifferenza.

Si scoprirà parte di un mondo il cui futuro dipenderà dalle scelte consapevoli, supererà la sfida epocale imposta dai propri egoismi, dalla cupidigia, dalla corruzione.

Se lo scorso anno cantavamo che “andrà tutto bene” in questa nostra Pasqua come andrà la pandemia non possiamo dirlo ma possiamo porre fine a quanto è di impedimento al passaggio verso un mondo migliore nella realistica condivisione dei simboli di valore universale.

E allora recuperando il tempo verbale delle favole dell’infanzia questa nostra Pasqua è sentire il bisogno di un solenne “infine”? Infine: avverbio apparentemente insignificante, eppur ricco di futuro, di prospettive. Avverbio che ogni tanto fa capolino nel nostro colloquiare e si insinua nei nostri ragionamenti, nel momento in cui si dirigono ineluttabilmente verso la loro, più o meno felice, fine. Infine, dunque.

Con un avverbio senza particolari rivelazioni, ma pieno di attese…vada a tutti e a tutte il mio augurio di una Pasqua di Pace.

Antonella Giordano

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