Qualità e veridicità, le chimere dell’informazione

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L’informazione al tempo della rete corre e va sempre più veloce, tanto da non essere più distinguibile nei suoi aspetti di veridicità e di qualità. Alcuni autorevoli quotidiani on line nazionali e internazionali da non molto tempo hanno introdotto il cosiddetto “paywall”, ovvero una soglia di lettura di alcuni articoli oltre la quale al lettore digitale viene chiesto di pagare un abbonamento. Le ragioni di questa scelta derivano dal dato di fatto che l’informazione di qualità ha un costo, come giusto che sia, e che non è per tutti poter disporre liberamente e gratuitamente di un prodotto che invece è costato fatica intellettuale. Ma la scelta si giustifica anche, e soprattutto, per proteggere quelle che rappresentano le entrate per un quotidiano, cioè gli introiti derivanti dalla pubblicità.

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I giornali americani, per esempio, basano ormai il loro core business su un modello imprescindibile dalle entrate pubblicitarie, in cui dunque l’abbonamento rappresenta una scelta obbligata. Il giornalismo in un’epoca di inondazione di informazioni da ogni dove ha bisogno di crearsi un proprio pubblico di riferimento, uno zoccolo duro al quale offrire servizi di qualità in cambio di un pagamento in denaro e avvicinare i giovani all’informazione di qualità rappresenta uno degli scopi degli editori di quotidiani on line, soprattutto per rendere i nostri ragazzi più attori e meno spettatori di ciò che accade nel mondo.

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Fornire al pubblico, giovane e meno giovane, un livello crescente di qualità è sempre più difficile nel panorama mediatico odierno, luogo in cui imperversano social media e prodotti editoriali digitali sempre più attenti ad attirare traffico al sito del quotidiano invece che badare alla qualità dell’informazione trasmessa. Il problema è anche quello di capire l’informazione piuttosto che vedere un’informazione. I media tradizionali ignorano o fanno finta di ignorare che attualmente vi è un concorrente spietato che anticipa il mainstream e pubblica in anteprima fatti e personaggi della cronaca e della politica. Inevitabile è un cambio di prospettiva da parte del servizio informativo nella sua totalità che vada in direzione di una ricerca di utilità e dei bisogni eterogeni del pubblico. La qualità è da intendersi anche in questo senso, in un aiuto concreto nel costruire una comunità di interessi su temi comuni, un’innovazione nella comunicazione e nelle relazioni con i lettori più giovani.

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Vi è poi l’aspetto della veridicità dell’informazione. La parola d’ordine per fomentare il falso in rete è viralità, e in questo i social, Facebook in particolare, sono maestri. In rete vale il detto similes cum similibus congregantur, ovvero siamo noi stessi che attraverso la circolazione di una notizia trovata sul web, poi contribuiamo alla sua diffusione tra i nostri conoscenti: più il fake è condiviso da persone che conosciamo, e più aumentano le possibilità di essere contagiati dalla notizia falsa a nostra volta. Come ha sottolineato molto bene un report di qualche anno fa del World Economic Forum, la disinformazione digitale è uno dei principali rischi della società moderna, e da Facebook passa una grossa fetta di informazioni che ogni giorno ci arrivano e di cui poi discutiamo. Il problema probabilmente risiede non tanto nel giro vorticoso e incontrollabile di fake news, quanto sull’impreparazione di chi fruisce delle notizie. Con lo stesso mezzo, internet, potremmo ottenere informazioni verificate, abbandonando un atteggiamento acritico che fa della diffusione della disinformazione il peggior nemico della conoscenza. L’intelligenza collettiva abita lo stesso terreno dell’ignoranza collettiva, malattia autoimmune legata a processi di circolazione virulenta all’interno dello stesso organismo che l’ha prodotta. Verificate gente, verificate.

Andrea Alessandrino

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