Quel sentimento perduto di comunità

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I fratellini non c’entrano nulla con il morbillo”. Così il professor Andrea Biondi, primario della Clinica Pediatrica del San Gerardo di Monza, ha stroncato sul nascere le polemiche che dai corridoi del ben pensare iniziavano a levarsi, tese alla ricerca della responsabilità, in una vicenda già troppo tragica e difficile da sopportare.

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Il caso è quello del bambino malato di leucemia e morto per complicanze da morbillo: “Il problema è che abbiamo avuto un’epidemia che ha colpito una regione, ha colpito l’Italia. Da questo dramma bisogna prendere come lezione positiva questa verità: se viene meno l’effetto di una comunità, le persone e i bambini più deboli possono pagare un prezzo più alto. Questa è la lezione che dobbiamo prendere, non cercare dei responsabili, e tantomeno pensare che i genitori, che vivono un dramma nel dramma, possano essere considerati responsabili”.

cms_6580/Andrea-Biondi-770x478.jpgIl professor Biondi ha spiegato in un articolo pubblicato da Il Giorno, come la mancata vaccinazione dei fratelli contro la patologia che lo ha colpito, sia da reputarsi irrilevante in riferimento al caso, perché il morbillo lo hanno contratto circa dieci giorni dopo.

Il bimbo - come sottolineato dal primario all’Ansa – se i fratellini fossero stati vaccinati, non si sarebbe salvato. “È fuori da ogni possibilità”. Del resto basta usare il buon senso per rendersi conto che una malattia infettiva può essere contratta ovunque.

Se è giusto ricorrere ai sieri per aumentare il livello di sicurezza, soprattutto a protezione dei più piccoli, è anche doveroso capire quando è opportuno tacere, onorando quel senso di rispetto verso gli altri che dovrebbe scandire ogni attimo della nostra vita. Se ritrovassimo quel sentimento sociale, che stiamo perdendo, il dolore immenso che si prova quando la vita di un figlio si spezza, ci dilanierebbe tutti, soffocando ogni peregrino bisogno di morale.

Perché se fossimo coesi nell’umanità, il dramma del singolo, diverrebbe collettivo e la nostra prima preoccupazione sarebbe di dare conforto a una famiglia sofferente.

cms_6580/3.jpegLa vaccinazione è sicuramente un atto di responsabilità. Ma merita una maggiore apertura, pena l’incremento del dissenso. Il diritto al sapere non va represso, ma accolto affinché si dissipino i dubbi e la popolazione riacquisti fiducia nelle istituzioni. C’è bisogno di comprendere, ricevendo tutte le rassicurazioni scientifiche possibili, che un gesto semplice, serva, oggi più che mai, a salvare la vita di tanti bambini. C’è bisogno di vedere come il lavoro clinico compiuto dai medici che hanno attenzionato i casi - anche se esigui - di correlazione “somministrazione/malattia indesiderata insorta”, non sia accantonato, ma discusso ai fini della ricerca e del perfezionamento. In una società evoluta è lecito porsi domande, che è doveroso essere accettare, quali occasioni di dibattito. Le patologie sono un problema di tutti. Se esiste un modo per superarle in sicurezza, questo deve essere adottato in un percorso consapevole a cui addivenire col supporto della comunità tecnico-specialistica.

Lo spirito dei “No vax” non è solo quello del diniego a prescindere. Alla base della causa c’è la paura. Paura di esporre i propri figli ad eventuali reazioni avverse o a danni permanenti. È comprensibile. Quel sentimento sociale che le istituzioni per prime dovrebbero nutrire, è necessario che passi per essenziali momenti di confronto. È finito il tempo delle imposizioni. Fiducia e credibilità vanno conquistate sul campo e devono contemplare un cammino condiviso. Per crescere nella cultura. Insieme.

Silvia Girotti

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