REGNO UNITO, VERSO IL VOTO

Theresa May e Jeremy Corbyn sempre più vicini nei sondaggi

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Mancano solo quattro giorni alle elezioni nel Regno Unito, quelle elezioni anticipate che nelle intenzioni della Premier Theresa May dovevano rafforzare la posizione dei conservatori in vista delle trattative con l’Europa per la Brexit. Intenzione che i sondaggi avallavano dando in costante difficoltà i laburisti e in grande ascesa il partito della May, che voleva sfruttare l’occasione per dare un colpo mortale ai rivali interni al suo partito e a quelli esterni, primo fra tutti il leader laburista Jeremy Corbyn, la cui popolarità non è stata mai altissima. Qualcosa però, stando ai sondaggi, è andato storto. Perché la leader conservatrice ora si trova con un vantaggio esiguo rispetto a Corbyn e rischia di non avere la maggioranza in Parlamento. Al centro del confronto tra i due contendenti, in questi mesi, ci sono i temi centrali della Brexit, del terrorismo e delle politiche sociali. In una campagna elettorale insanguinata dalla tragedia di Manchester, Theresa May si è presentata come il difensore dell’ordine e della sicurezza. Ma Corbyn l’ha attaccata proprio su quello, sui "devastanti tagli alle forze dell’ordine". Lui stesso però è penalizzato per essere stato, in passato, sostenitore di esponenti dell’OLP considerati terroristi. Sul fronte delle politiche sociali, Jeremy Corbyn propone maggiori fondi per il sistema sanitario nazionale e la cancellazione delle tasse universitarie. E promette barricate se verranno aboliti i sussidi per il riscaldamento. Theresa May invece mostra il fianco sulle incerte politiche sociali del suo partito: la marcia indietro sulla cosiddetta “dementia tax” - di fatto una tassa sulla casa per gli anziani che ricevono cure domiciliari – resta un punto nevralgico dello scontro elettorale e un’arma potente per innescare la risalita dei Labour, oggi in corso.

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Anche il secondo e ultimo dibattito televisivo, tenutosi ieri, è finito con un sostanziale pareggio. Theresa May ha dovuto fare i conti con numerosi attacchi: il primo riguarda la scelta di convocare le elezioni anticipate. All’epoca, i sondaggi erano molto favorevoli, viene accusata di aver preso la decisione per fare piazza pulita dell’opposizione. Lavoro e occupazione sono il cavallo di battaglia di Corbyn: con la promessa di "un milione di buoni posti di lavoro" ha fatto brillare negli occhi del pubblico la possibilità di un lavoro stabile ed equamente retribuito. Comunque, come risultato finale, anche in quest’ultimo confronto, nessuno dei due contendenti va al tappeto. Entrambi hanno qualche momento di difficoltà. Resta confermata l’impressione del primo confronto e di tutta la campagna elettorale: Theresa May è a disagio di fronte alla gente, non ama sottoporsi a domande e le sue risposte non vanno oltre frasi fatte imparate a memoria; Jeremy Corbyn sembra essere molto più a suo agio, sa parlare a braccio con disinvoltura e sembra sincero.

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Intanto, i sondaggi evidenziano il recupero dei laburisti e quello che doveva essere un trionfo annunciato per Theresa May potrebbe rivelarsi invece una corsa piena di imprevisti. La forbice, giorno dopo giorno, si è assottigliata e, a pochi giorni dal voto, vede i conservatori con un vantaggio che oscilla tra i 10 e i 3 punti percentuali. L’appoggio alla Brexit ha diviso partiti e schieramenti. Nel 2010, David Cameron, il conservatore che ha preceduto la May, riuscì a formare un governo solo grazie all’appoggio dei Lib-Dem, unico partito nazionale in grado di allearsi con i conservatori. Il problema è che gli i Lib-Dem sono un partito fortemente europeista, l’unico ad essersi schierato contro la Brexit anche dopo il referendum.

Secondo molti osservatori la May comunque riuscirà a conquistare la maggioranza assoluta dei seggi, ma nel caso non vi riuscisse si aprirebbero una serie di problemi per la formazione di un nuovo governo. Di fatto, l’8 giugno, sarà il popolo britannico a decidere e a sciogliere ogni dubbio.

Mary Divella

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