REGOLE CHIARE SULLE INVESTIGAZIONI!
Monito della CEDU contro procedure informali

Il nostro viaggio tra i Tribunali della Comunità Europea ci riporta ai provvedimenti della CEDU (Corte europea dei diritti dell’Uomo). Ricordiamo sempre la differenza tra le due principali espressioni della Giustizia targata “UE”: la CEDU, che ha sede a Strasburgo (Francia) e la CGUE (Corte di Giustizia Unione Europea), che ha sede in Lussemburgo. Difatti, mentre la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo è deputata a decidere le controversie proposte da fisiche o giuridiche che reputano di aver subito una violazione dei diritti fondamentali stabiliti dalla Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo, dai relativi protocolli aggiuntivi precedenti della stessa CEDU, la Corte di Giustizia (CGUE) è chiamata a garantire che il diritto UE non sia violato dai legislatori nazionali. Con la sentenza CEDU oggi in commento, la Corte si è occupata di una perquisizione e relativo sequestro di uno “smartphone” che le Autorità Norvegesi avevano effettuato in un procedimento dove la persona attinta dal provvedimento cautelare era stata vittima di un tentato omicidio. Costui non era molto felice dell’accaduto, poiché nel prolungamento di noi che è diventato questo tipo di apparecchio, si celavano corrispondenze che l’interessato aveva avuto con i propri Avvocati, allorquando, a sua volta, era stato accusato di un reato molto grave per poi finire assolto. La diatriba era insorta poiché all’iniziale accordo tra la polizia e il ricorrente affinché fosse il Tribunale di Oslo a garantire l’eliminazione delle comunicazioni coperte da segreto professionale, il convitato di pietra (il Tribunale) aveva opposto diniego poiché, in conformità a un precedente della Corte suprema norvegese, competente a tale operazione doveva ritenersi proprio la polizia. Il ricorrente prospettava alla CEDU la violazione del diritto al rispetto della corrispondenza ex art. 8 della Carta Fondamentale dei diritti Umani, giacché le procedure della Polizia risultavano del tutto discrezionali, prive di regole chiare. La Corte ha dato ragione al cittadino norvegese, ritenendo che l’investigazione condotta non avesse un quadro sufficientemente chiaro nel diritto interno che fosse in grado di garantire la riservatezza delle funzioni difensive. La sentenza appare corretta e il concetto andrebbe esteso a tutti i casi di provvedimenti cautelari e ai conseguenti accertamenti che si conducono in generale su oggetti e persone nella immediatezza del fatto, perché troppo spesso sono frutto di interpretazioni del tutto personali su ciò che si può, si deve o conviene fare.
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