RICORDI DI UN PASSATO...ARDEA, MUSEO MANZU’
II^
Ingeborg Katharina Schabel moglie e musa ispiratrice di Giacomo Manzù
Per volere della Signora Inge (così come semplicemente eravamo abituati a chiamarla noi della zona) e dei figli Giulia e Mileto Manzoni (il vero cognome dello scultore) nel 2009 nacque, con lo scopo di salvaguardare e diffondere l’opera del Maestro la Fondazione Manzù ad Aprilia, città in provincia di Roma.
Qui fin dal 1964 si era stabilito lo scultore, in una villa costruita su quello che poi fu denominato, in suo onore, Colle Manzù: qui lo studio del maestro e la sua fonderia privata. Qui, da “un moto d’amore” nascevano le sue opere, perché, come diceva ai suoi studenti
“l’opera d’arte scaturisce unicamente e solo da un moto d’amore… La condizione essenziale per la vostra opera è che dal vostro intimo scaturisca un fuoco che investa la materia che non può restare semplicemente tale, perché sotto le vostre mani dovrà sublimarsi in spirito”.
Giulia e Mileto in carrozza (Museo Manzù)
Questa una delle opere che amo particolarmente. A volte fissandola avevo davvero l’impressione che i bambini, i due figli di Manzu’si stessero muovendo!
Ad Ardea, città dalle origini mitiche, nel 1966 era nata la Raccolta Giacomo Manzù ,(il Museo Manzù che fu aperto al pubblico nel 1981).Il Maestro chiamava Ardea “Città della pace”... diceva:” ad Ardea ho avuto una nuova nascita...non devono disturbarsi a portarmi via quando verrà il momento, perché voglio essere seppellito in questo luogo”
Pochi giorni fa, purtroppo ho letto su un giornale locale, la brutta notizia: dopo oltre 20 anni di battaglie legali tra il comune, i cittadini di Ardea e i figli di Manzù (Giulia e Mileto) la salma dello scultore quasi con certezza sarà cremata e trasferita ad Aprilia dove lo scultore e sua moglie avevano deciso di vivere dal 1964.
Sono veramente addolorata: Per anni una volta alla settimana ero presente al Museo Manzù per rendergli omaggio, per depositare un fiore sulla sua tomba nel parso del Museo stesso, per ascoltare le conferenze settimanali a lui dedicate, per un concerto, per un ricordo e soprattutto per fotografare e studiare le sue opere. Credo di non aver mai perso nulla di quanto sia stato organizzato per ricordarlo nel corso degli anni.
Donna distesa (Ritratto di Inge)
Così lo scultore la descrive:”Bisogna guardarla di spalle. Ho voluto ritrarla come sospesa su due cuscini, come un ponte in un equilibrio precario sostenuto più che dai cuscini dalla vitalità dei fianchi cui da rilievo la veste leggera”.
Giacomo Manzù sapeva amare di amore vero, infinito e non soltanto la sua arte. Nel 1954 conobbe Ingeborg Katharina Schabel. Lei, ballerina di danza classica svolgeva anche il lavoro di modella per gli artisti.Posava per Oscar kokoschka quando conobbe Manzù che si trovava a Salisburgo per tenere dei corsi all’accademia: lui 54 anni, lei 17.
Un amore che durò tutta la vita, un amore che rimase presente e vivo nel cuore di Inge fino alla sua morte, avvenuta nel 2018. Manzù morì il 17 gennaio 1991. Fu sepolto nel giardino del Parco del Museo di Ardea: ogni giorno alle 17 Inge si recava sulla sua tomba, ogni giorno la si poteva vedere lì, vicina al suo Giacomo, come lei amava chiamarlo. L’ho conosciuta personalmente Inge, ed è stata davvero una fortissima emozione!
Ritratto di Francesca Blanc.Entrato nelle collezioni vaticane nel 1975
La baronessa Anita Blanc nel 1940 diede a Manzù l’incarico di ritrarre la figlia
Manzù la ritrae nuda, con le scarpette da danza.
Le sue parole:” Credo che finii nel 1941 contento di aver fatto questo fiore senza foglie, perché di fronte alla bellezza infantile, l’animo si nutre di purezza”
Esposto alla IV Quadriennale romana nel 1943 vinse il “Gran Premio” per la scultura
Ogni volta che mi recavo al Museo, immancabilmente mi soffermavo nel parco a guardare questa opera d’Arte di Madre Natura: una immagine che mi è rimasta davvero nel cuore.
Era molto amato Giacomo Manzu’, artista di umili origini, , undicesimo figlio di un calzolaio. Qualcuno mi raccontò che una volta fu soccorso da alcune suore che lo trovarono svenuto in strada a causa del lungo digiuno. Non è possibile secondo me amare profondamente un artista se non si sa nulla della sua vita, del suo modo di concepirla, addirittura di sognarla.
E lui sono riuscita a conoscerlo profondamente, l’ho sentito vicino con tenerezza, ho immaginato quanto avesse sofferto. Era poi diventata felice la sua vita, ma non tanto da risparmiargli dolori immensi. Nel 1969 in un incidente stradale morì Pio, il suo primogenito, designer della Fiat. Nel 1974 qualcuno tentò di rapire i suoi figli Giulia e Mileto, (ci fu anche un conflitto a fuoco) e, nello stesso anno, in seguito ad una alluvione che recò danni al Museo, subì la perdita di molte opere cartacee.
Sarà difficile per me tornare a rivedere il Museo: tantissime le opere d’arte, qualcuna anche nel bellissimo Parco, tanti gli alberi ma senza la sua amata tomba penso che avvertirei soltanto una sensazione di deserto, di solitudine, di amarezza pur sperando MAI di ingiustizia
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