RILEGGENDO POESIA – UGO FOSCOLO

A Vincenzo Monti

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cms_32472/2_1700195736.jpgNon avevamo ancora parlato di Ugo Foscolo, né nella rubrica PROPOSTE DI LETTURA né in questa Rileggendo POESIA. Lo facciamo oggi, prendendo spunto dalla rubrica Dagli scrigni dell’Ottocento, curata da Silvio Ramat, il cui articolo sul Foscolo apparve nel n. 329 (settembre 2017) del mensile di Crocetti.

“ In vari periodi della sua vita Ugo Foscolo ci si mostra in attesa di, impaziente che avvenga qualcosa di nuovo, di determinante; e di solito la aspettata novità risolutrice non riguarda l’arte, la poesia, sebbene a posteriori se ne possano cogliere tracce visibili anche nell’opera del poeta.”

Il clima, in altre parole, è quello del 1805: Foscolo scrive a Vincenzo Monti (ricordiamo che Vittorio Alfieri e Vincenzo Monti erano i poeti allora più noti e celebrati, e che il Foscolo, ammirando Vittorio Alfieri in modo quasi smisurato, ebbe il cruccio di non essere mai riuscito a comunicargli di persona tale ammirazione).

Ugo Foscolo è ancor oggi, con Dante, Petrarca e Leopardi ovviamente, uno dei poeti italiani più noti e antologizzati: una rubrica che si occupa di poesia non può certo ignorarlo. Leggiamo da www.raicultura.it .

Ugo Foscolo è un uomo in fuga. Da Zante a Venezia, da Venezia all’Italia napoleonica, fino all’Inghilterra dove morirà. Ma più Foscolo resta catturato nei dilemmi dell’età della Rivoluzione della Restaurazione, più gli si chiarisce un punto di riferimento ideale: l’eredità di bellezza e virtù che ci viene dalla classicità greco-latina. Così la poesia assume una funzione civile insostituibile. Il neoclassicismo diventa in lui prassi politica.

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Ugo Foscolo (Zante, 1778 - Turnham Green, 1827), è stato uno dei più importanti poeti della letteratura italiana di tutti i tempi, rappresentante del neoclassicismo e del preromanticismo. Nato nell’isola greca di Zante (Zacinto), fu costretto a lasciare la sua terra natale che allora era territorio veneziano. Questo esilio forzato dalle sue origini, nonostante considerasse l’Italia la sua madrepatria, segnarono profondamente la sua vita e la sua opera. La sua poetica fu influenzata da una parte dalle teorie illuministiche e dal razionalismo, dall’altra dall’angoscia di vivere e dal confronto con l’ineluttabilità della morte. Temi principali delle sue poesie furono la patria, la bellezza, l’amore, la vita e le nobili imprese, grazie alle quali lasciare un segno indelebile. In questo senso va anche interpretata la sua opera più completa e celebrata: Dei sepolcri, pubblicata nel 1807, in cui da una parte Foscolo sottolinea l’importanza sei sepolcri per i vivi, così che possano ricordare i loro cari, ma dall’altra ne rileva il ruolo cruciale anche per la memoria collettiva, proprio per poter celebrare in eterno i valori e le imprese di coloro che hanno lasciato durante la propria vita un segno incancellabile e un esempio da seguire, stabilendo così tra i vivi e i morti una "corrispondenza di amorosi sensi". Oltre a Dei Sepolcri, Ugo Foscolo compose anche molte odi e sonetti, tra cui ricordiamo A Luigia (sul sito della Rai appare come Lucia, NdA) Pallavicini caduta da cavallo (1800), All’amica risanata (1802), Alla sera, A Zacinto, In morte del fratello Giovanni (1803) e il romanzo epistolare Le ultime lettere di Jacopo Ortis (1802-1803). Le Grazie, leggiamo inoltre, sembrano un regresso culturale verso il neoclassicismo dopo gli slanci dei Sepolcri; e infatti molti critici considerano i sonetti che ci ha lasciato tra i più belli che siano mai stati scritti, affermando nel contempo che le Grazie (e le odi) sono appunto un regresso degno di scarsissima nota. Nel 1804 si recò in Francia, per motivi militari, e qui ebbe l’opportunità di trascorrere due anni di relativa calma, che impiegò in gran parte in amori appassionati, fra cui quello con l’inglese Fanny Emerytt da cui nacque la figlia Floriana. Tornato in Italia, visse tra Venezia, Milano, Pavia (ove ottenne la cattedra di eloquenza presso l’Università), Bologna e di nuovo Milano, da dove fuggì nel maggio del 1815 per non dover giurare fedeltà agli Austriaci. Dopo una breve permanenza a Lugano ed a Zurigo, l’anno dopo si stabilì a Londra, accolto dall’alta società. Qui guadagnò abbastanza con la pubblicazione delle sue opere, ma sperperò tutto con le sue dissolutezze: iniziò pure la costruzione di una lussuosissima villa, che non riuscì a pagare totalmente nonostante il soccorso della figlia Floriana (che, ritrovata a Londra, gli offrì tremila sterline). Inse­guito dai creditori, subì anche il carcere, e fu poi costretto a ritirarsi nel villaggio di Turnham Green, ove visse gli ultimi suoi anni in compagnia della figlia. È estremamente difficile confinare i giganti in un articolo. In un Olimpo ideale, sicuramente Dante, Shakespeare e Omero lo precedono in grandezza, probabilmente anche Leopardi e Petrarca. Ma è innumerevole la schiera di quelli che lo seguono.

A VINCENZO MONTI,

epistola.

Se tra’ pochi mortali a cui negli anni
Che mi fuggîr fui caro, alcun ti chiede
Novella d’Ugo (chè il tacerne, troppo
Indegno fora all’amor nostro, o Monti),
Rispondi: in terra che non apre il seno
Docile a’ rai del sole onnipotenti
Passa la vita sua colma d’oblio:
Doma il destriero a galoppar per l’onde;
Sulle rocce piccarde aguzza il brando,
E navigando l’oceán cogli occhi,
D’Anglia le minacciate alpi saluta.
M’udrai felice benedir, m’udrai
Commiserar: tu fammi lieto a’ lieti,
Dolente a’ dolorosi. Ognun sé pasce
Del parer suo. Qual io mi viva, solo
Tu l’odi; e dove coronato libi
Al genio e all’ira d’Alighieri, il canto
Pedestre mio, cortese ospite, accogli.
Non te desio propizïante all’ara
Della possanza in mio favor, nè chiedo
Vino al mio desco, o i tuoi plausi al mio verso;
Ma cor che il fuggitivo Ugo accompagni
Ove fortuna il mena aspra di guai.
Mi mentirà così, Vincenzo, quella
Che in molti uomini lèssi e in pochi libri
(Poich’io cultor di pochi libri vivo)
Aurea sentenza: amico unico è l’oro.

Raffaele Floris

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