RILEGGENDO POESIA – ALFONSO GATTO

Lelio

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cms_23434/poesia.jpgN. 68, dicembre 1993. Siamo ad Alfonso Gatto.

Silvio Ramat ne parlava nella consueta rubrica La poesia italiana 1900-1945, introducendolo col suo Ritratto di Leopardi, che Gatto aveva stilato a ventisei anni.

Il poeta esorcizzava così il “distacco” da ciò che è percepibile nella quotidianità sulla falsariga d’un reinventato Leopardi, aggrappandosi a quell’energia primaria che è il corpo.

Argine umile che funge da garanzia contro le risorgenti lusinghe dell’astrazione. Lo slancio dei corpi, spaziati in un loro amoroso isolamento.

Le raccolte poetiche che Silvio Ramat prende in esame per il suo lungo articolo (che noi, come ben sanno i nostri lettori, preferiamo definire saggio) sono Morto ai paesi e Isola.

cms_23434/Alfonso_Gatto.jpgAlfonso Gatto è nato a Salerno nel 1909. Trasferitosi a Milano nel 1934, con gli amici Zavattini, Sinisgalli, Cantatore frequentava i caffè cittadini. Dapprima commesso di libreria, in seguito istitutore di collegio, correttore di bozze, giornalista, insegnante, nel 1936 viene arrestato per antifascismo e incarcerato a San Vittore. Nel 1938, con la collaborazione di Pratolini, fonda la rivista “Campo di Marte”, la rivista dell’ermetismo fiorentino. Nel 1944, iscrittosi al PCI, inizia a collaborare a “Rinascita” e dopo la liberazione di Milano nell’aprile 1945 a “l’Unità”, di cui diventa poi inviato speciale. Nel 1951 si dimette dal partito e diventa un comunista “dissidente”, secondo la sua definizione (chapeau! NdA) Muore per le conseguenze di un incidente stradale a Grosseto nel 1976. I suoi libri di poesie: Isola (1932), Morto ai paesi (1937), Poesie (1939, nuova edizione,1943), L’allodola (1943), La spiaggia dei poveri (1944), Amore della vita (1944), La spiaggia dei poveri (1944, nuova edizione 1996), Il sigaro di fuoco.

Poesie per bambini (1945), Il capo sulla neve (1947), Nuove poesie 1941-49 (1949), La forza degli occhi (1954), La madre e la morte (1959), Poesie 1929-41 (1961), Osteria flegrea (1962), La storia delle vittime (1966), Rime di viaggio per la terra dipinta (1969), Poesie 1929-69 (1972), Poesie d’amore (1973), Lapide 1975 ed altre cose (1976), Desinenze (1977), Poesie (1998), Tutte le poesie (2005). I suoi libri di prosa: La sposa bambina (1943, nuove edizioni 1963 e 1994), La coda di paglia (1948, nuova edizione 1995), Carlomagno nella grotta. Questioni meridionali (1962, nuove edizioni 1974 e 1993), Le ore piccole (note e noterelle) (1975), Parole a un pubblico immaginario e altre prose (1996), Il signor Mezzogiorno (1996), Il pallone rosso di Golia. Prose disperse e rare e l’inedito «Bagaglio presso» (1997), L’aria e altre prose (2000), Diario d’un poeta (2001), La pecora nera (2001), La palla al balzo – un poeta allo stadio (2006). Di teatro: Il duello (1944, nuova edizione 1995). (da: https://www.italian-poetry.org/alfonso-gatto/) Scoprì al liceo la propria passione per la poesia e per la letteratura.

cms_23434/4874328_004195_800x813.jpgPare detestasse la matematica. Il che non gl’impedì (o forse gli suggerì) di sposare la figlia del suo professore di matematica e di fuggire a Milano. Nel 1946 (quindi molti anni dopo questi fatti) incontra una pittrice, Graziana Pentich, s’innamora e abbandona moglie e figlie (ne ebbe due dalla prima moglie, e due figli dalla compagna). Fu anche pittore e attore. Quarantaquattro anni di poesia - tale è la militanza di Gatto - non accadono per caso: dall’ermetismo dei primi anni al surrealismo e al visionarismo dell’ultimo periodo, dall’esperienza amorosa alla passione civile: la vena di Alfonso Gatto è sempre stata feconda. Il linguaggio è fluido, incantevole, universale. Per questo – a nostro avviso – dovrebbe essere maggiormente ricordato e celebrato. Nelle antologie delle scuole superiori non sempre compare il suo nome. Nei blog e nei siti letterari non è così vivo il dibattito, nonostante appaia piuttosto spesso A mio padre, una splendida lirica pubblicata nella silloge La storia delle vittime. Avrebbe voluto che sulla sua tomba ci fosse stata una panchina dove due ragazzi si potessero abbracciare e parlare d’amore. Invece ebbe un macigno di pietra su cui fu inciso il commiato dell’amico e collega Eugenio Montale: «Ad Alfonso Gatto per cui vita e poesie furono un’unica testimonianza d’amore». Accanto non fu posta e non vi è la panchina per ragazzi innamorati, ma un prato verde. Pochi giorni prima aveva scritto: «Ormai l’aria ha il salino della primavera, le gemme sono sui rami, e già si pensa che la morte è rimandata a un altro autunno, a un altro inverno. Ci tocca vivere». Il destino ne disconobbe la profezia.

Lelio

La tua tomba, bambino,
vogliamo sia sbiancata
come una cameretta
e che vi sia un giardino
d’intorno e l’incantata
pace d’una zappetta.

Era un dolce rumore
che tu lasciavi al giorno
quel cernere la ghiaia
azzurra e al suo colore
trovar celeste intorno
la sera. Ora, che appaia

la luna e del suo vento
lasci più solo il mondo,
ci sembrerà d’udire
nell’aria il tuo lamento.
Era un tuo grido a fondo
l’infanzia, un rifiorire…

Inventaci la morte,
o bambino, i tuoi segni
come d’un gioco infranto
rimasero alla sorte
del vento, ai suoi disegni
di nuvole e di pianto.

Ogni giorno che passa
è un ricadere brullo
nell’ombra che c’invita.
Irrompi a testa bassa
nel ridere, fanciullo,
devastaci la vita
un’altra volta e vivi.

Raffaele Floris

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