RILEGGENDO POESIA – GABRIELLA LETO

Qui dove all’improvviso

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cms_24767/poesia.jpgLa rubrica Lo scaffale di Poesia, curato da Arnaldo Colasanti, proponeva, nel dicembre 1997 (n. 112), l’ultima silloge di Gabriella Leto, L’ora insonne, pubblicata nella bianca di Einaudi, sei anni dopo La nostalgia dell’acqua. Entrambi i libri – lo sottolineiamo per i nostri lettori – sono ancora disponibili nei principali stores on line: varrebbe la pena acquistarli. “Una storia vera,” affermava Silvio Ramat, “ma al lettore importa che vera sia la lingua in cui si traccia – nell’arco di 75 frammenti – quella storia. E per fortuna sì, la lingua di questa poesia è vera come tale, come veicolo espressivo privilegiato, al modo che furon veri, autenticati da uno strumento che non poteva più stonare, illustri canzonieri del passato, monocorde solo apparentemente, della lirica cinquecentesca, al maschile e al femminile, sigillando in una perfezione indefettibile i poeti personaggi, da Gaspara Stampa a Galeazzo di Tarsia, a Chiara Matraini…”

cms_24767/GABRIELLA_LETO.jpegGabriella Leto, o meglio Gabriella Quattrocchi in Leto, di Roma (1930-2019), esordisce nel ’73 con due componimenti su Paragone (nonostante altre note biografiche facciano piuttosto riferimento al ‘75), prende parte all’antologia einaudiana del 1980 e pubblica, dieci anni dopo La nostalgia dell’acqua. Si era laureata in lettere alla Sapienza. Sono notizie fin troppo scarne, e non rendono affatto giustizia alla poetessa e alla traduttrice, che comunque vinse il Viareggio nel ’91 e che, sempre per Einaudi, pubblicò altre due sillogi: L’ora insonne, appunto, e Aria alle stanze (2003). Per la stessa Casa Editrice tradusse alcune opere latine: Le Eroidi e Gli Amori di Ovidio e le Elegie di Properzio.Di lei Guido Ceronetti scrive: “Il verso è costruzione, architettura sonora, musica; se non è questo non esiste, rumori e macerie non fanno poesia. Gabriella Leto costruisce, dispone i suoni con suprema eleganza. (…) Si sente costantemente una ferrata educazione classica e musicale. La tentazione del facile è ricusata con puntiglio (…) ha orrore, giustamente, dell’esumazione e del retorico.” A qualche “poeta laureato” fischieranno le orecchie. Ecco come la descrive https://romah24.com/prati/news/addio-a-gabriella-leto: era una donna di cultura, che amava e che sopratutto amava donare. Ci ha lasciato il 18 maggio, a 89 anni. In tantissimi la ricordano come “la” professoressa: Latino e Greco al triennio del liceo Terenzio Mamiani. Generazioni di ragazze e ragazzi del quartiere, tanti ormai più che adulti, sono stati formati alla vita anche da lei.

Una figlia di questo quartiere, Gabriella: nata a piazza Strozzi nel 1930, a scuola alla Pistelli, poi al Col di Lana, infine al Mamiani. Dopo la laurea, giovanissima, torna nel “suo” liceo ad insegnare. Ci rimane per decenni, fino alla pensione. Due sorelle, una più grande, una gemella: tutte e tre immerse nella cultura e nell’amore per la letteratura fin da piccole. Nel 1956 il matrimonio con Giovanni Leto, capostruttura di Rai Due. Giovanni si occupava di Cultura. Anche lui. La loro casa in via Bassano del Grappa diventò un centro di cultura frequentato da tanti, nel quale si consolidò la voglia di Gabriella di produrre qualcosa di fortemente personale. Letterata, docente, scrittrice, latinista, moglie. E anche madre: di Luca, perso troppo presto, e di Livia, che si è occupata di lei, della mamma, con amore e dedizione fino all’ultimo momento.

Proponiamo dunque tre brevi poesie di Gabriella Leto. “Il blu da parata d’onore” nella seconda poesia è un’immagine che dovrebbe valere da sola il prezzo del biglietto. Se ancora ci fosse uno spettacolo.

Qui dove all’improvviso
si interrompe il sentiero
per oscuro divieto
non più non mai reciso
langue in nudo pallore
il fiore del narciso
chiuso nel suo segreto
di voluttà e colore.

*

Può essere bello lo stesso
un mondo che non ha colore
che si svigorisce che langue
che indossa un vestito dimesso.
Ma io vorrei ritrovare
il verde mutante del mare
il blu da parata d’onore
il rosso fiottante del sangue
col dolce perverso suo odore.

*

Non so più ciò che sento.
Perduto ogni concetto
vorrei non vorrei ti accetterei
per quello che non sei
come si prende a volte da un cassetto
il più abusato – il più liso indumento.

Raffaele Floris

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