RILEGGENDO POESIA – GUIDO CAVALCANTI

Chi è questa che ven…

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cms_26241/poesia.jpgGuido Cavalcanti e il suo mito – Anniversari, fu un articolo curato da Stefano Verdino, pubblicato nel settembre del 2000 (n. 142) perché “il 29 agosto 1300 muore a Firenze Guido Cavalcanti, come si ricava dal registro dei morti della chiesa di Santa Reparata. Era appena rientrato in Firenze dopo la revoca, il 19 agosto, del provvedimento di confino a Sarzana, a cui era stato condannato il 24 giugno dal consiglio dei Priori di Firenze (di cui era membro anche Dante) in quanto capoparte rissoso dei Bianchi.” Ricordarne l’anniversario era una scelta quasi obbligata: Guido Cavalcanti è ancora oggi ben presente nelle antologie delle scuole italiane, e siamo certi che molti studenti – di ieri e di oggi – ne ricordano almeno il nome: ignorandone altri, ovviamente. Ma, nel caso di Cavalcanti, la scuola ha fatto il suo dovere. Proviamo ad approfondire alcuni aspetti della sua vita e di quanto ci ha lasciato. Non abbiamo notizie certe sulla sua nascita (ca. 1250) ma sappiamo che egli proviene da una delle famiglie più importanti di Firenze.

cms_26241/guido-cavalcanti-orig.jpegÈ figlio di un uomo dotto, Cavalcante (10° Canto dell’Inferno, citato fra gli Eretici). Partecipò in modo molto attivo alla vita politica cittadina; era un guelfo bianco e per questo suo schieramento politico ebbe conflitti con la famiglia dei Donati. Anche Cavalcanti, come Dante, viene esiliato intorno al 1300 e trascorre il suo esilio a Sarzana (Liguria), dove si dedica alla sua attività letteraria. In esilio si ammalerà, e morirà a Firenze poco tempo dopo essere reintegrato nel capoluogo fiorentino. Aveva una personalità molto accentuata, era considerato molto fiero, sdegnoso, solitario e possedeva una profonda cultura filosofica che, specie in alcuni sonetti, emerge in modo evidente. Della sua opera sono pervenuti ca. 50 componimenti: di questi, 35 sono sonetti, 10 sono ballate e il resto sono canzoni. Il tema affrontato è quello amoroso: Cavalcanti parte da una visione oggettiva, per poi fare alcuni riferimenti a donne amate da lui stesso (es. Giovanna), in modo da spiritualizzare la figura della donna. C’è una novità in Cavalcanti rispetto alla visione amorosa di Guinizzelli: l’amore diventa una forza travolgente; Guido è interessato soprattutto ad analizzare gli effetti spesso devastanti, distruttivi dell’amore sull’uomo. Quindi si passa rapidamente in Cavalcanti da una visione dell’amore come una forza positiva e luminosa a una concezione mistica, cioè l’amore è una forza irrazionale che, in quanto non razionale, sfugge al controllo dell’uomo e lo sovrasta, lo annichilisce, perché lo rende come impotente. (da https://www.letteraturaitaliana.org/guido-cavalcanti/). Andrea Cortellessa ha affermato, nel 2020: “chi cerca Guido Cavalcanti su Wikipedia, lo trova definito «un poeta e filosofo italiano del Duecento» (e più avanti, nella “voce”, viene ricordata la definizione che ne diede Boccaccio: «lo miglior loico che il mondo avesse»). Questo malgrado nessuna delle sue opere dottrinarie – se poi davvero ne compose – si sia in effetti tramandata sino a noi. Ma non ce n’è bisogno; a essere filosofica è la sostanza della sua poesia: a un livello che sarà raggiunto solo dal discepolo che lo «caccerà dal nido», Dante, e poi da Leopardi. Una “linea” che della nostra tradizione letteraria è la spina dorsale, come si vede, ma che in termini quantitativi, invece, è stata sempre assai minoritaria.”

cms_26241/Verdino.jpgLa stessa riflessione fatta allora da Stefano Verdino, sia pure partendo da presupposti diversi. Aggiungendo tuttavia che fu solo nel Novecento che Cavalcanti “fece pieno ritorno al suo ruolo di maestro, fuori dai confini del personaggio.” Tra i poeti fu Ezra Pound il suo maggior mentore, ma anche per Montale, Luzi e Giudici, per un inatteso Cardarelli e poi ancora per Viviani “Guido ha voluto dire un’esperienza di poesia per così dire postuma, maturata su una disperazione pienamente introiettata fino al giammai, che sigilla come un sepolcro il destino dell’io autobiografico, ma può anche aprire nello stesso tempo a una vita autonoma del testo.” Guido Cavalcanti, probabilmente, muore non ancora cinquantenne, fors’anche a causa dell’aria particolarmente insalubre della Sarzana di allora. Ci lascia quei cinquantadue componimenti che sembrano quasi rivelarci quanto altro possa essere andato perduto, e dove! Dopo settecento anni, il suo interesse ad analizzare gli effetti spesso devastanti, distruttivi dell’amore sull’uomo, definendolo una forza irrazionale, quasi mistica, che sfugge al suo controllo, ci sembra più attuale e vivo che mai.

Chi è questa che ven, ch ogn’om la mira,

che fa tremar di chiaritate l’âre

e mena seco Amor, sì che parlare

null’omo pote, ma ciascun sospira?

O Deo, che sembra quando li occhi gira,

dical’Amor, ch’i’ nol savria contare:

cotanto d’umiltà donna mi pare,

ch’ogn’altra ver’ di lei i’ la chiam’ira.

Non si poria contar la sua piagenza,

ch’a le’ s’inchin’ogni gentil vertute,

e la beltate per sua dea la mostra.

Non fu sì alta già la mente nostra

e non si pose ’n noi tanta salute,

che propiamente n’aviàn conoscenza.

Raffaele Floris

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