RILEGGENDO POESIA – IVAN FEDELI
La buona educazione
La rubrica Per competenza curata da Roberto Carifi pubblicava, nell’aprile 2001 (n. 149), una breve nota su Ivan Fedeli (nato a Monza nel 1964, residente a Ornago e insegnante di materie letterarie).
“Ha pubblicato diverse raccolte di poesia tra cui Abiti comuni (Società editrice Il Ponte vecchio), un libro compatto e riuscito, caratterizzato da un colloquio intimo con le cose, da una meditazione pacata e a tratti dolente intorno alla vita.
Quella di Fedeli è una poetica del quotidiano, attenta alle sfumature e alle ombre. Si avverte la necessità, come opportunamente osserva Mara Cini nella prefazione, di registrare parole adatte a graffiare il quotidiano grigio dell’esistere.”
Per una nota bio-bibliografica più aggiornata ci affidiamo al sito https://www.atelierpoesia.it/ivan-fedeli-da-la-meraviglia/: Ivan Fedeli (1964) insegna lettere e si occupa di didattica della scrittura. Ha pubblicato diversi percorsi poetici, tra cui Dialoghi a distanza in Sette poeti del Premio Montale (Crocetti), Virus ( ed. Dot.Com.Pres.), A bassa voce (Cfr. edizioni). Per i tipi di puntoacapo editrice sono usciti, nel 2014, Campo lungo, (Premio Casentino) e, nel 2016, Gli occhiali di Sartre (Premio San Domenichino). (Collabora con puntoacapo anche in qualità di critico letterario: numerose sono le prefazioni e le recensioni che ha curato per la collana Altre Scritture, NdA).Gli sono stati inoltre assegnati il Premio Montale e il Premio Luzi per l’inedito, il Premio Lerici-Pea sezione giovani, il Premio Gozzano. Se dovessimo elencare tutti i riconoscimenti probabilmente non basterebbero due pagine. In un articolo comparso su Avvenire il 24 ottobre 2018 – La periferia di Fedeli. Poesia di un mondo che freme e che sogna – Pierangela Rossi affermava, in chiusura, dopo aver recensito La meraviglia, la penultima silloge pubblicata dal poeta di Ornago, che Ivan Fedeli “ha collezionato più premi importanti che libri”. Ecco invece quanto scrive Mauro Ferrari, direttore editoriale di puntoacapo, facendo riferimento all’ultima silloge, La buona educazione (2021):è sulla soglia, di qua dall’infinito territorio della vita, che si situa l’occhio poetico di Ivan Fedeli, uno dei poeti più autorevoli e originali delle ultime generazioni. La “finestra sul cortile” da cui osserva lo spettacolo della vita è occasione e punto di vista per creare, in questo libro, un inventario della memoria che con naturalezza si fa storia e infine fiaba. Un passo oltre la trilogia di Campo lungo, Gli occhiali di Sartre e La meraviglia, questo La buona educazione ricostruisce, in versi affabili ma ricchi di soluzioni stilistiche e tonali che rimandano allo stupore del Fanciullino, un passato che travalica il personale: i ricordi a cui il poeta attinge fanno parte della meraviglia di fronte a una vita in cui figure intraviste un attimo, osservate dall’alto o emerse dalla memoria, attingono allo stesso serbatoio umano che tutti condividiamo. Interessante anche quanto osserva Alberto Bertoni nella prefazione de La buona educazione: “È un libro che costituisce senz’altro il culmine qualitativo ed espressivo di una storia inventiva e riflessiva lunga, impegnata e diramata lungo sentieri stilistici e percettivi assai promettenti fino dalle sue prime prove. A ciò si aggiunge l’innata abilità di Ivan Fedeli, a buon diritto erede della miglior tradizione lombarda, nel fare poesia dei nomi propri, si tratti di persone, di marche o di toponimi: ed è questo un aspetto non ancora troppo studiato della nostra contemporaneità, che meriterebbe davvero un capitolo a parte.” Le sue letture dal vivo sono intense, emozionate, quasi sussurrate, il timbro è nitido, dal che deduciamo che Ivan Fedeli, oltre a essere un autore importante dev’essere anche un ottimo insegnante: non abusa della voce come molti suoi colleghi. Evidentemente ha ben altri mezzi, più raffinati, per farsi ascoltare.
La buona educazione
L’educazione a pane e carosello
il mondo intero lì tra una palla e
il cielo. Noi si stava come all’ultimo
minuto un derby dividendo calci
e gloria prima di sognare in grande
Rocco e Gigi Riva. Erano i cortili
a fare il resto: quello con la porta
vera, un altro da mettere i giubbotti
a terra contando i passi. Qualcuno
barava un po’ allora tutta una storia
di pugni e musi lunghi in campo fino
ai tiri di punta a chi era il portiere
alla conta. Poi l’idea che Dio
doveva essere buono per forza
se si faceva gol nel mucchio aprendo
braccia e cuore al vento da dirlo
a scuola di corsa. Ma tu volevi
si fermasse il tempo quasi non bastasse
mai anche quando i tetti rubavano
pallone e gioia che si restava senza
e volavano parole da grandi
prima di mischiare le squadre ancora.
E c’era profumo di vita acerba
il senso di una partita incompiuta
che servivano gomiti e ginocchia
da campioni per arrivare in fondo.
Così sorrideva un’età golosa
di futuro, così il poster dell’Italia
in camera a portare un sonno bello
e il Monello con le foto di Pulici
firmate da dare invidia ai compagni
dell’altra classe, quelli un po’ gradassi
che vincono ma ai calci di rigore.
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