RILEGGENDO POESIA – PIERLUIGI CAPPELLO

Sera

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cms_28810/POESIA.jpgDaniele Piccini, che nel maggio 2006 (n. 205) faceva conoscere al grande pubblico Pierluigi Cappello con un articolo intitolato Il “nessun dove” della poesia, esordiva così: “Mi visita da un po’ l’idea della provincia, luoghi marginali e conservativi, liberi, sottratti al giogo delle parole date, del paragone consueto, luoghi e margini da cui una tradizione esausta e d’altra parte una durezza di pietra e di metallo ritrovano a lampi il contatto con un limo generativo, con una libertà più fonda, creativa.”

Si riferiva a una lingua “appartata e incantata”, piegata alla prosa quotidiana, a un dialetto smemorato e puro alternato alla lingua italiana, in cerca di “un possibile punto di fuga, di un assetto di volo.” Ma Pierluigi Cappello era già allora un poeta molto noto, e Piccini descriveva la sua disamina circa la lettura integrale della produzione poetica dell’autore friulano.

Il destino avrebbe deciso, di lì a pochi anni, di portarcelo via.

https://www.pierluigicappello.it/

cms_28810/1.jpgÈ nato a Gemona del Friuli nel 1967, ma è originario di Chiusaforte. Dopo aver compiuto gli studi superiori a Udine, ha frequentato la facoltà di Lettere presso l’Università di Trieste. Nel 1999 assieme a Ivan Crico ha ideato, e diretto per diverso tempo, La barca di Babele, una collana di poesia edita dal Circolo Culturale di Meduno, che accoglie autori noti dell’area friulana, veneta e triestina. Ha vinto numerosi premi nazionali, tra cui con Dittico il Premio Montale 2004; con Assetto di volo il Premio Bagutta 2007 sezione Opera Prima; con Mandate a dire all’imperatore il Premio Viareggio-Rèpaci 2010 per la poesia. È mancato il 1 ottobre 2017 nella sua casa di Cassacco. Cappello e la sua famiglia furono vittime del terremoto violentissimo che colpì il nord Italia il 6 maggio 1976 (epicentro in Friuli). Di conseguenza la famiglia fu trasferita in una comunità prefabbricata fornita dall’Austria, dove Cappello rimase per la maggior parte della sua vita. All’età di sedici anni subì un tragico incidente in moto, che lo lasciò permanentemente confinato a una sedia a rotelle. Dopo la laurea si impegna in un’intensa attività artistica e di diffusione della cultura anche nelle scuole e all’università. Varie e significative sono le iniziative culturali sviluppate in Friuli che fanno capo a questo poeta, legate alla poesia, alla saggistica, al teatro. I nostri lettori friulani meno giovani lo ricorderanno bene. Al medesimo link si possono rintracciale le pubblicazioni, è quasi un peccato fare un elenco dal momento che il sito personale dell’autore propone anche le foto delle copertine, che invitiamo pertanto a visualizzare. È stata fondata anche un’associazione che porta il suo nome. Sulla sua poesia hanno scritto, tra gli altri, Giovanni Tesio, che è l’autore di gran parte delle introduzioni ai suoi libri, Anna De Simone, Amedeo Giacomini, Alessandro Fo, Franco Loi, Mario Turello e Gian Mario Villalta.

cms_28810/2_1671777903.jpgNel 2014 Cappello venne nominato beneficiario della Legge Bacchelli, una garanzia di sostegno finanziario a vita da parte del governo italiano per gli artisti di merito. Non ne usufruirà a lungo: come già accennato muore nel 2017, improvvisamente e prematuramente. Cappello è stato poeta dialettale (in friulano) e italiano, così come lo fu Pier Paolo Pasolini – la tradizione della poesia in lingua friulana è ricca e ancora fertile. Infatti un altro esponente di rilievo della poesia friulana contemporanea è Giacomo Vit. Fuori dalle rotte usuali, ci ricordava Piccini, dalle mappe anche editoriali, “premono alle soglie, si fanno presenti nella loro luminosa e non arresa distanza: un altro nome da fare sarebbe quella del veneto Fabio Franzin, che pure lavora sulla doppia tastiera dialetto-lingua.” Pubblicheremo, come siamo soliti fare, una poesia di Pierluigi Cappello scegliendola fra quelle in lingua italiana. Ma non per questo sottovalutiamo o accantoniamo la poesia dialettale. “La lingua locale, il dialetto,” afferma Luigi Balocchi nella sua recente pubblicazione Coeur scorbatt (Cuore corvo) in dialetto abbiatense, “è un’arma di lotta contro la globalizzazione che vuole distruggere le culture particolari e, in buona sostanza, l’autentico spirito creativo dell’uomo.” Il problema, forse, è che quel luogo del “nessun dove” che spesso ci racconta il dialetto (friulano, veneto o lombardo che sia), quella terra di sogni e di chimere, quasi reinventata nella lingua dei poeti – dicevamo: forse – non c’è già più.

Sera

Le nove, la sera, e un poco il nero che ti sporca le mani
è tutta la terra passata di qui
a che ora le api vanno a dormire, pensi, ti chiedi,
premi il cavo del palmo sull’orlo del ginocchio
nel dirti senti come sono nuove le foglie
da quale maniera di essere solo sono volate
adesso guardi le cose come sono venute
come si sono fissate, quando nella tua persona
e appena pieghi la testa nel vuoto,
nella domanda a che ora le api vanno a dormire
quando sono passati il sapore di terra e le nuvole
davanti ai miei anni, insieme.

Raffaele Floris

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