RILEGGENDO POESIA – GIUSEPPE PICCOLI

Ma basta un fiore…

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cms_29026/poesia.jpgArnaldo Èderle ci ricordava, nel febbraio 2007 (n.213) che “vent’anni fa, esattamente il 19 febbraio 1987, moriva suicida a trentott’anni Giuseppe Piccoli. Questo è un modesto ricordo dell’amico che mi accompagnò negli anni della sua vita terrena, e che mi insegnò, benché più giovane di me di dieci anni, la fede nella poesia e il mestiere (la vocazione) del poeta. […] Nel 1981 l’Editrice Guanda intendeva proporre con un’antologia il meglio degli inediti italiani del momento. Fra questi, una corposa scelta di poesie di Giuseppe, che compariva allora per la prima volta in un volume di grande prestigio. La raccolta portava un titolo emblematico, Di certe presenze di tensione.” L’articolo apparso su POESIA invece s’intitolava Tre Presenze.

Èderle continuava parlando di “profondità insondabili, ma riconoscibili per la trasparenza della loro superficie”. Giuseppe Piccoli, che comparve in un’altra antologia, questa volta presso Mondadori, nell’Almanacco dello Specchio, avrebbe di lì a poco taciuto per sempre. Perché? Un lungo articolo, apparso su https://www.pangea.news/giuseppe-piccoli-il-poeta-buono-che-fu-recluso-tra-i-matti-ricordiamo-uno-dei-migliori-poeti-della-sua-generazione-nicola-crocetti-di-cui-non-si-parla-piu/ nel 2017 merita di essere riletto: eccone qualche stralcio. Giuseppe Piccoli, l’ennesimo accostatore di parole sconosciuto da tanti e oscurato da invidiosi “intellettuali” naftalinici, forse, nella sua quiete timidezza sognava l’amore, scriveva dell’amore… ma dieci anni di manicomio giudiziario spengono qualsiasi barlume di amore e lui a 38 anni ha scelto il Trionfo della Volontà Imperscrutabile. Chi lo conobbe, descrive Giuseppe Piccoli come una persona mite, timida, cortese. Il poeta veronese Arnaldo Èderle, che gli fu compagno di studi e amico, ne ricorda l’inusuale generosità e la «figura sottile, dai tratti finissimi, dalle maniere più gentili». Eppure questo giovane sensibile e istruito, figlio di un professore di latino e greco e di un’insegnante di musica, amante dell’arte, poeta, nel 1981, poco più che trentenne, in un attacco di schizofrenia ferisce con un coltello da cucina la madre e il padre, che muore pochi giorni dopo. Recluso nell’Ospedale psichiatrico giudiziario di Reggio Emilia per dieci anni, viene poi trasferito in altri istituti, infine in quello di Aversa. Ma le ferite con cui aveva tentato di regolare i conflitti con i genitori sono anche lacerazioni inferte a se stesso, e non si rimarginano: nel 1987, a 38 anni, si toglie la vita. L’emarginazione dovuta alla sua vicenda personale si ripercuote sulla sua poesia, e rende difficile il suo riconoscimento artistico. Perché Giuseppe Piccoli è un ottimo poeta, uno dei migliori della sua generazione. E nonostante l’interessamento di rari amici (lo stesso Èderle, Maurizio Cucchi), la sua ricca produzione di versi (dieci volumi; il primo, Il padre pazzo, del ’71) è ancora pochissimo nota. Tenta di porvi rimedio l’antologia Fratello poeta, curata dalla studiosa Maria Piccoli, e pubblicata da LietoColle. La poesia di Piccoli ha come temi l’amore, il confronto mai risolto con la donna, la perdita della gioia e dell’innocenza, lo scorrere del tempo, che induce il poeta a vedersi come un «fanciulletto invecchiato». È un «ladro di fuoco», un ebreo errante amareggiato, muto e incupito, che cerca invano, financo nella poesia, un barlume di speranza, un indizio di redenzione. I nostri lettori sanno bene che questa rubrica non discrimina poeti noti e celebrati da poeti ingiustamente sconosciuti. Ma non è neppur vero (per fortuna della poesia) che di Giuseppe Piccoli non se ne riparli più. Abbiamo registrato almeno una decina di blog che, più o meno recentemente, si sono occupati di lui, e siamo convinti che la sua vicenda personale (la schizofrenia, l’omicidio del padre, il tentato omicidio della madre – perché di questo si trattò, e per questo fu rinchiuso in un manicomio giudiziario) non abbia influito più di tanto sulla sua (poca) notorietà postuma. La psicosi è materiale incandescente di per sé, ancora oggi trattata con diffidenza e sempre prossima all’emarginazione e alla marginalità.

Le note biografiche più chiare a questo riguardo sono fornite da https://antoniobux.wordpress.com/2015/01/28/giuseppe-piccoli-poesie-sparse/.

cms_29026/giuseppe_piccoli1.jpgGiuseppe Piccoli nacque il 5 aprile 1949 a Verona. Seguì studi classici senza però portarli a termini, dedicandosi giovanissimo a scrivere poesia, prosa e articoli di critica letteraria per “L’Arena”.

Nel settembre del 1981, in seguito a una ricaduta della sua malattia psichica, ferì il padre, che morì dopo pochi giorni, e la madre, che invece si salvò.

Venne recluso nell’Ospedale Psichiatrico Giudiziario di Reggio Emilia per un periodo di detenzione di dieci anni.

In seguito fu trasferito in altri reclusori.

L’ultimo che lo ospitò fu quello di Napoli dove, nel febbraio del 1987, si tolse la vita. Senza agiografie, senza sottointesi inutili, senza omissioni, per il bene della poesia. E inoltre Piccoli non ne ha neppure bisogno.

Ma basta un fiore che dubita,
per dare o ridare salute al disamore:
dubita forse che siamo? che parliamo?
La sua sapienza stagionale
è più forte dei nervi che leggi
nel gas della ragione, quando leggi
i tuoi discorsi disaccordi e mi telefoni
pallida e nervosa. E disfi
la maglia dell’abbraccio, la gabbia
che non suona, e stai zitta, stai
zitta. “Punìscilo” ti dice ancora …chi?
“Punìscilo”, “Puniscìlo”. E tu:
“No: sono stanca. Solo stanca
di vedere le mani, di ascoltare la voce,
e un poco stanca di essere me stessa”.
Io mi attuo. Tu vivi di stanze.
Io ti lascio. Tu ti lasci lasciare.
Io ti guardo. Tu ti lasci vedere.
Non guardi. Ma respiri. Respiri.
E osservo la tua statura,
allungarsi e calare; le tue braccia,
asciutte o insaponate; la tua testa
cerchiata. E sei profonda
come la disperazione.
Ma amo i fiori, per oggi;
e, per oggi sono un ragazzo tranquillo:
e posso renderti cenere, credo.
Ma vedi, ho digiunato, per te, per me,
per una pioggia e per molti baci.
Molti. Molti. Tuo.

Raffaele Floris

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