Roma. Individuato probabilmente il Santuario di Marte
Come si adorava il dio è perchè era importante?

All’interno degli 11 ettari sfuggiti all’esproprio del 2005 e ancora in detenzione precaria, si celerebbe il Santuario di Marte, tra i più importanti dell’antichità.
È una vasta area archeologica quella del Parco Regionale dell’Appia Antica a Roma. 3.400 hm2 di museo a cielo aperto raccontano con i loro reperti, frammenti e laterizi, un fasto antico, reminiscenza di una civiltà organizzata e valorosa.Nonostante il Piano regolatore del 1931 prevedesse già una “zona di rispetto”, negli anni successivi furono edificati complessi abitativi e sportivi a poca distanza dai monumenti, nonché rimodernate precedenti strutture con lo scopo di insediarvi attività produttive. L’attenzione alla salvaguardia si percepì effettivamente solo a decorrere dagli anni ’50 grazie all’intervento dell’associazione Italia Nostra. Allora la cartiera dell’Acquataccio, famosa per la produzione di carte particolarmente leggere, provenienti da cenci di lino e di cotone, smise la produzione, per fallire definitivamente nel 1991.Dal 2007, il vecchio edificio, utilizzato dai Padri Cappuccini nel 1600, è divenuto centro
culturale polifunzionale.
Eh sì perché la storia di Roma è fatta di usi e riusi, di un multistrato architettonico che la rende scrigno prezioso di antiche opere. Ogni chiesa ha la sua cripta, segreto mistico, coacervo di tradizione e sacralità.Del Parco Regionale fanno parte 40 ettari di Valle della Caffarella, annessi a seguito di un esproprio eseguito nel 2005 che però lasciò ben 11 ettari in “detenzione precaria” ai vecchi proprietari.In questa superficie, non si sa bene dove, potrebbe celarsi un sito “sigillato”: il Santuario di Marte.“La Valle dell’Almone è strettamente legata alle origini di Roma – spiega l’archeologia Rachele Dubbini - perché ospitava uno dei culti più antichi, quello di Marte, il cui santuario è stato cercato e ricercato sin dalla ripresa degli studi umanistici nel 500”.Finora nessuno lo ha mai trovato, anche se, negli anni ‘70, durante i lavori per realizzare il condotto della Caffarella, si rinvennero delle strutture di epoca Repubblicana che tuttavia non furono identificate. “La sovrintendenza fece questi scavi in grande emergenza e quindi fu costretta a ricoprire tutto. Queste strutture – precisa l’archeologa - si trovano esattamente nello spazio utilizzato come parcheggio dal proprietario di un concessionario, che ha anche un’attività di ‘sfasciacarrozze’. Al di sotto di questi rottami potrebbe esserci il Santuario di Marte”. Abbandonato già nell’antichità, il tempio potrebbe contenere ancora “tutti i materiali relativi alle fasi più antiche”. Da qui il termine “sigillato”.
Siamo tra l’area umida dell’Acquataccio e il laghetto della Caffarella, dal grande valore naturalistico, in prossimità di due preziose chiese: “Domine Quo Vadis” e “Sepolcro di Geta”.Rendere ai romani il Tempio del dio, alla luce della leggenda che lo vuole sposo di Rea Silvia, è ancor più doveroso, affermandosi, almeno per i cultori della mitologia, quale padre dei gemelli che Amulio, zio della sacerdotessa, gettò nel Tevere, per paura che potessero un giorno strappargli il trono. Ma una lupa li trasse in salvo, divenendo sacra al dio, considerato il padre del popolo, tanto che i romani solevano chiamarsi tra loro “Figli di Marte”. Lo vollero inciso su gran parte della monetazione col titolo di Marti conservatori (protettore), Marti patri (padre), Mars Ultor (vendicatore), Marti pacifico (portatore di pace), Marti propugnatori (difensore), Mars Victor (vincitore).
Protettore della guerra, del tuono, ma anche della fertilità, insieme a Giove e a Quirino, componeva un’arcaica triade che garantiva e rappresentava, sul piano divino, lo Stato romano. A lui erano dedicati i mesi di marzo ed ottobre con le feste primaverili di Equiria, Quinquatria e Tubilustrium ed autunnali di Meditrinalia e di Equus October, periodi dedicati rispettivamente alla degustazione rituale del vino nuovo e al sacrificio del “Cavallo Ottobre” nell’area del Campo Marzio, ove oggi sorgono l’Ara Pacis, il Mausoleo di Augusto, le chiese di Sant’Antonio e Santa Maria della Concezione, solo per citarne alcune.Le testimonianze giunte sino a noi parlano di un Tempio risalente al sec. IV a. C., fuori Porta Capena, proprio sulla via Appia, area sacra dedicata, per tradizione, alla guerra. Qui si decretavano i trionfi ai generali vittoriosi, da qui partivano i governatori delle province per le sedi loro destinate.
Il Periodo Repubblicano è quello in cui la mitologia è più legata a un culto proprio che poco risente delle importazioni greche ed etrusche, soprattutto nelle modalità dei rituali, pur essendo gli dei del pantheon sovrapponibili a quelli greci, dei quali solo successivamente saranno assimilate diverse leggende.L’insieme delle pratiche rituali in onore degli dèi, ci racconta degli usi e delle credenze di un popolo, ben inserito in un contesto di comunità agreste, per cui la guerra rivestiva una grandissima importanza perché intesa quale strumento di espansione e conquista.Non sarà casuale infatti che, nel periodo imperiale, ogni rito sarà in qualche modo legato all’assicurazione della vittoria in battaglia. Andrà diffondendosi l’usanza di votarsi al dio protettore del popolo nemico, con la promessa di erigere in suo onore un Tempio a Roma, in cambio di protezione.Nel periodo repubblicano però gli dèi rappresentavano ancora le necessità pratiche della vita quotidiana. I loro riti venivano celebrati scrupolosamente con le offerte ritenute più adatte.Se Giove era una sorta di capo, Marte e Quirino erano figure spesso coincidenti, pur se al primo era rimessa la tutela dei giovani e dei guerrieri, mentre al secondo quella dei civili.Riappropriarsi dunque del tempio del dio della guerra e del vigore, tesoro dal valore inestimabile, potrebbe essere fondamentale per il recupero di quella cultura custodita nel suo interno, rivelando molto circa gli usi e i rituali eseguiti in quell’epoca, aggiungendo particolari ancora sconosciuti. Si pensi ad esempio ai Salii, i dodici sacerdoti iniziati al dio, la cui istituzione si correla a Numa Pompilio.L’epiteto - dal verbo latino “salire” – lo si deve alla particolare andatura saltellante che tenevano durante le processioni sacre.I Salii Palatini erano scelti tra gli uomini più prestanti, giovani e belli delle famiglie nobili, al fine di custodire i dodici scudi sacri tra i quali si nascondeva l’Ancile, consegnato da Marte Gradivo a Numa Pompilio nell’ottavo anno di regno, durante una terribile pestilenza, quale pegno di eterna salvezza ed invincibilità di Roma.Come suggeritogli dalla dea romana Egeria - secondo la leggenda sua sposa e solo successivamente ninfa - Numa incaricò il fabbro Mamurio Veturio, della gens Veturia, di forgiare 11 scudi identici all’Ancile, così che fosse impossibile ai nemici di Roma sottrarre quello vero. Ordinò poi che fossero riposti nella Reggia ed affidati per i riti sacri, al collegio sacerdotale. Ogni anno i Salii aprivano e chiudevano il tempo dedicato alla guerra che andava da marzo ad ottobre.
Da civis con le celebrazioni di marzo l’uomo romano diveniva miles, passando sotto la giurisdizione militare e la tutela di Marte, per poi ridiventare civis nel mese di ottobre, tornando ad occuparsi delle attività produttive sotto la tutela di Quirino.Ma non è solo per la cultura archeologica e folcloristica che i romani contemporanei tutti sarebbero ben lieti di riavere nella disponibilità del demanio il Santuario, quanto per quel senso di orgoglio che rivive nella dignità di conservare nel DNA i geni di una civiltà che ha inventato la strategia militare, oltre a un modello organizzativo civile che ancora oggi sa essere d’esempio.
Lascia un commento
NB: I commenti vengono approvati dalla redazione e in seguito pubblicati sul giornale, la tua email non verrà pubblicata.