Roma città eterna

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Ho letto con interesse i risultati di un sondaggio pubblicato da un importante istituto di ricerca sul livello di benessere registrato in 14 città metropolitane italiane. L’indagine, elaborando i risultati sulla base di dieci diversi parametri di benessere economico e sociale, confina Roma in fondo alla classifica, al terz’ultimo posto, precisando che “quella di Roma è un’inarrestabile parabola discendente”.

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Negli ultimi anni noto la convergenza, nelle fonti di analisi, di tentativi finalizzati a misurare la ricchezza, ancorandola ad indicatori di carattere sintetico e numerico, per stilare, con criteri alquanto soggettivi, graduatorie di merito in materia di cultura, economia, produttività, rispetto della legalità e altri aspetti. Non fa sicuramente piacere non trovare la città in cui si vive tra i primi posti e, come nel caso riportato, vederla anzi relegata in una posizione di retroguardia. Il desiderio di un economista è quello di misurare il livello di coerenza con valori nei quali non rientrano solamente la ricchezza e la proprietà ma tale obiettivo può dirsi non ancora raggiunto. Basti considerare che due Nobel in economia, quali Sen e Stiglitz, sono da sempre impegnati nella ridefinizione di indicatori più complessi dello stato di benessere generale dei cittadini, che tengano conto, tra l’altro, anche delle possibilità relazionali e di integrazione che il territorio consente di realizzare, come fattore contabilizzabile nell’unità di misura del FIL (o GWB General Well Being). Trovo che sia giusto sforzarsi di misurare il benessere alla luce dell’integrazione tra sufficienza materiale e cultura nell’agglomerato non circoscritto al perimetro del centro città. Una tale prospettiva consente di reinterpretare il ruolo di Roma come città dell’accoglienza e, forse, di cogliere qualche spunto di riflessione. Roma, fin dall’epoca arcaica, è stata una città di “stranieri” di variegata provenienza. Non a caso sorse, infatti, attorno a un luogo d’incontro e di scontro tra genti diverse, perché l’isola Tiberina rappresentava un guado sicuro, sul quale insistevano molteplici assi di scambio: le vie del sale e del bestiame, i traffici marittimi e fluviali.

Il primo libro dell’Ab Urbe Condita dello storico Tito Livio riporta tra le importanti figure della Roma monarchica e repubblicana persone non autoctone, quali i re sabini Numa Pompilio ed Anco Marzio e, emblematicamente, Tarquinio Prisco, nato a Tarquinia da un mercante greco e da una nobile locale, capostipite di una dinastia di origine etrusca. Sappiamo che la gens Claudia era sabina, come testimoniato dal nome del capostipite, Appio Claudio Sabino, e che molti erano i consoli di origine italica o etrusca. La disomogeneità della popolazione sui sette colli sicuramente rese l’amalgamarsi etnico lento ma non preclusivo delle possibilità di inserimento e di affermazione dei singoli, che proseguirono nel tempo facendo sì che Roma divenisse, non solo il fulcro del mondo mediterraneo che tutti conoscono, ma anche l’enorme magnete demografico, che non sempre si ricorda.

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Lucio Anneo Seneca, che era figlio di una famiglia di emigrati romani, nel dialogo Ad Helviam matrem de consolatione (2-3) scriveva :

Sono confluiti qui dai loro municipi, dalle loro colonie, da ogni part e del mondo. Alcuni sono stati spinti qui dal l’ambizione, altri da desiderio di un incarico pubblico, altri dalle incombenze diplomatiche , altri dal la ricerca di un luogo adatto alla loro lussuria e ricco di vizi, altri da l desiderio d i studiare , altri da quello di assistere agli spettacoli, alcuni ancora sono stati attirati dall’amicizia, altri dalla ricerca di maggiori possibilità per esprimere il proprio talento; qualcuno è venuto per mettere in vendita la propria bellezza, qualcun altro la propria eloquenza. Non c’è razza umana che non sia venuta in questa città.

Il passo di Seneca dà una misura della grandezza di Roma come città cosmopolita e, ritengo. anche meritocratica.

Quando si pensa all’enorme afflusso di schiavi, di immigrati mercanti, artigiani e marinai di passaggio, che ne popolava le strade affiorano nell’immaginario scene di brutalità riconducibili al loro impiego nei circhi come gladiatori o alla manodopera servile nelle tenute agricole e nelle dimore patrizie ma, se si pensa al successo delle commedie del cartaginese Afro Publio Terenzio nella prima metà del II secolo, non può sottacersi l’importante funzione culturale che assolveva tale numerosa umanità.

Grazie agli schiavi Roma era un centro di cultura internazionale nel quale docenti di varia origine , talvolta non liberi o da poco liberati, insegnavano a studenti di altrettanto variegata provenienza o aprivano scuole (esempio della meritocrazia romana), come quella dell’egiziano Plotino nel 245 d.C., che contava tra i numerosissimi studenti il tiro Porfirio, autore della biografia del maestro (Vita Plotini ), incentivati dalla volontà del governo che favoriva la presenza di filosofi, retori e medici.

Giulio Cesare, per esempio, accordò la cittadinanza a “omnisque medicinam Romae professos et liberalium artium doctores”(Svetonio, Vita Divi Juli,42), Augusto fece lo stesso (Vita Divi Augusti, 42), Vespasiano creò cattedre di retorica e grammatica greca (Vita Divi Vespasiani, 18) ed entrambi , stando a quanto scrive lo storico Svetonio (Vita Divi Juli, 39) promuovevano spettacoli in più lingue per fornire non solo le possibilità relazionali delle comunità immigrate provenienti dal mediterraneo e da oltralpe (con il passaggio dalla repubblica all’impero s’insediarono anche i Galli) ma anche le opportunità di lavoro e di “sviluppo professionale”. Il governo dell’Urbe offriva possibilità di integrazione, meritocrazia ma anche pene severe per nulla facenti o sovversivi.

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Quale la conclusione cui si arriva dopo la rilettura essenziale della vita sociale della Roma caput mundi? Roma è da sempre una città, come tutte, con le sue contraddizioni: cosmopolita con i problemi connessi all’affollamento demografico, caotica e chiassosa, perennemente nota come ai limiti dell’igiene e per le molte derive folcloristiche del vernacolo ma, come poche, ricca di bellezze artistiche e di disponibilità all’accoglienza. Dalle origini è stata consegnata al futuro con questi attributi e con questi attributi sfida le contumelie del tempo.

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La grandezza di Roma viene ferita dalle nequizie derivanti da fatti e persone ma non compromessa nella sua prospettiva vitale perché al suo interno vivono e operano tanti costruttori di futuro benessere, ai quali un economista affida il suo auspicio perché, con impegno e senso di responsabilità, possano essere valorizzati quanto di meglio ha dato di sè nel corso dei secoli in ambito sociale, amministrativo, nella giustizia, nelle arti.

E voglio concludere queste mie brevi note con le sempre attuali riflessioni di Nicolò Machiavelli che ammirava la città eterna, della quale non faceva mistero di riconoscere gli venisse la nobiltà dell’ispirazione e una certa elevatezza morale. “Talora ti pare un romano avvolto nel pallio in quella sua gravità, ma guardalo bene, e ci troverai il borghese del Risorgimento, con quel suo risolino equivoco. La politica o l’arte del governare ha per suo campo non un mondo etico, determinato dalle leggi ideali della moralità, ma il mondo reale, come si trova nel tal luogo e nel tal tempo. Governare è intendere e regolare le forze che muovono il mondo”.

Elena Dorigano

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