SABINO LERARIO: UN VENTENNIO SPESO AL SERVIZIO DEL BARI

L’EX MEDICO BIANCOROSSO PARLA DEI PLAY-OFF E SVELA CURIOSITÀ SU CALCIATORI, ALLENATORI E ARBITRI

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Già laureato in Medicina e Chirurgia, il dott. Sabino Lerario – oggi Colonnello in pensione della Guardia di Finanza - consegue diverse specializzazioni tra cui quella in Medicina dello Sport. Nel 1978 viene chiamato dalla famiglia Matarrese per guidare l’area medica del Bari calcio dove rimarrà fino alla fine degli anni ’90. Un record assoluto (un ventennio circa) che relega, di diritto, il Dott. Lerario tra i maggiori protagonisti della storia del club biancorosso.

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Dottor Lerario, in tutti gli anni trascorsi a Bari lei ha conosciuto tanti calciatori e allenatori. C’è qualcuno che ricorda particolarmente?

Ce ne sono diversi. Ovviamente non esprimo valutazioni sulla valenza professionale, ma solo dal punto di vista umano. Come allenatori, dopo Bolchi sicuramente Gigi Radice che in quei sei mesi di permanenza a Bari ha conquistato il mio cuore.

Cosa ha fatto di così eclatante da ricordarlo in questo modo?

Beh, già dal primo giorno Radice si presentò ai ragazzi dicendo: “Prima di me, dovete rispettare il medico e il massaggiatore”. E poi ricordo che prima di ogni allenamento mi prendeva sotto braccio e, in 2-3 giri di campo, voleva sapere la situazione sanitaria di ogni giocatore.

E di Bolchi che ne dice?

Era un signore. Parlava con tutti i calciatori e dal mio punto di vista non c’è cosa migliore di un capo che parla con tutti i suoi dipendenti.

Fra i tanti infortuni che ha seguito e che ha curato, invece, quale ricorda maggiormente?

Come può ben capire ne ho visti davvero tanti, più o meno gravi: Gaudino, Libera, Cowans fino ad arrivare a Protti e Ventola. Ma l’infortunio che reputo una vera tragedia fu quello capitato a Joao Paulo.

cms_18194/2_lerario_antonucci_ok.jpgPer quale motivo?

Intanto perché fu una brutta frattura a tibia e perone e poi per il modo in cui avvenne l’infortunio. Ricordo bene dalla panchina quel rumore secco provocato dal difensore Lanna, tanto che anticipai a Salvemini la diagnosi, poi, purtroppo, successivamente confermata. Senza poi contare il peso di un’assenza così importante per la squadra che in quella stagione retrocesse.

Sempre a proposito di calciatori, ha qualche curiosità piacevole che può raccontare?

Ce ne sarebbero tante, ma ricordo Igor Protti che prima di ogni partita si veniva a stendere sul lettino nella mia stanza per rilassarsi ed io, puntualmente, gli mettevo una copertina sulle gambe. Anche perché negli spogliatoi, soprattutto d’inverno, faceva anche freddo e quindi lo coprivo per tenere al caldo i muscoli.

E c’è qualche episodio di campo che può svelare?

Ricordo con amarezza questo episodio. Eravamo a Genova e per buona parte della gara avevo rivolto insulti abbastanza pesanti all’indirizzo dell’arbitro. Tutto faceva pensare che il direttore di gara, Agnolin, non avesse ascoltato e che comunque non se ne fosse accorto. Ma improvvisamente lo vidi correre velocemente verso di me…

E cosa accadde?

Con grande signorilità mi disse: “È da più di mezz’ora che lei mi sta offendendo. La prego di smettere”. In quel momento mi sentii un verme. Lo disse con un tale garbo che io ancora oggi mi sento mortificato e me ne pento. Agnolin era un gran signore.

Parliamo di Play-off. Che tipo di preparazione una squadra dovrebbe sostenere per essere al top della forma fisica dopo diversi mesi di inattività?

Considerando che i giocatori sono rimasti fermi per tanto tempo, in questi casi generalmente si effettua una programmazione ed una preparazione simile a quella che si fa quando si va in ritiro. Ma allo stesso tempo aggiungo che è altrettanto importante curare l’aspetto psicologico e allenare la mente perché il Covid-19 ha fatto notevoli danni.

Un’ultima domanda. Lei è stato vent’anni circa nel calcio. Ha qualche rimpianto e soprattutto, rifarebbe tutto quanto?

No! Non lo rifarei nella maniera più assoluta. Non ho visto i miei figli crescere, li ho visti già cresciuti perché in tutti quegli anni, dal venerdì alla domenica, uscivo per lavoro. Ma che cosa ne ho avuto? Questo è oggi il mio rimpianto.

(Foto da archivio Gianni Antonucci – si ringrazia)

Rino Lorusso

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