SAN FRANCESCO DONA IL MANTELLO A UN POVERO

Arte e spiritualità

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Vi presento «San Francesco dona il mantello a un povero» di Giotto, affresco della Basilica superiore di Assisi, scrigno di arte medievale. Nel ciclo delle storie di San Francesco sia i personaggi che i paesaggi hanno una solidità terrena: Francesco non appare persona ieratica o astratta, ma profondamente umana e si rapporta a persone e animali: la sua santità consiste nel porsi in maniera naturale in mezzo agli altri. La tridimensionalità, come vedremo, è uno degli elementi più innovativi e rivoluzionari che fanno del ciclo la culla del linguaggio figurativo dell’arte italiana.

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La fonte letteraria dell’episodio è la «Legenda Maior» di San Bonaventura che così riferisce: «Quando il beato Francesco si incontrò con un cavaliere, nobile ma povero e malvestito, dalla cui indigenza mosso a compassione per affettuosa pietà, quello subito spogliatosi, rivestì». La critica individua nella scena rappresentata la prima ad essere dipinta dell’intero ciclo: mostra infatti riflessi quasi metallici e spigoli appuntiti di matrice cimabuesca, soprattutto nello sfondo; non è rappresentato uno sfondo architettonico ma solo paesaggistico, la cui raffigurazione è arcaica con la presenza delle rocce scheggiate a distanza indefinita, retaggio dello stile bizantino.

In primo piano si trovano il mendicante, in realtà un nobile caduto in miseria, e San Francesco col suo cavallo: si noti il particolare naturalistico dell’animale che bruca tranquillamente l’erba. Attenta è anche la descrizione dei dettagli, con notazioni di costume contemporanee, come i berretti, i drappi e gli abiti.

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L’ambiente è reale: siamo nella campagna sottostante Assisi, arroccata sulla collina di sinistra, in cui si riconosce la Porta Santa Chiara e l’abside di San Rufino viste secondo il punto di vista di chi proveniva da Roma, e a destra l’abbazia di San Benedetto sul monte Subasio. Il paesaggio è aspro, con montagne senza grande vegetazione e con la linea delle due valli che si incontra in corrispondenza della testa di San Francesco, attirando l’attenzione dello spettatore. Notevole è il gioco di sguardi che lega il santo al povero e anche la resa delle pieghe della veste gialla, colore simbolo di agiatezza. Francesco era benestante, figlio del mercante Pietro di Bernardone, e di questa sua ricchezza si spoglia per farne dono al cavaliere impoveritosi.

Giotto illustra la capacità del santo di immedesimarsi nella situazione disagiata di chi gli sta di fronte, guarda con commozione l’uomo ridotto a una povertà che lo umiliava. Il suo è un dono spontaneo: l’uomo non aveva chiesto nulla e infatti sembra stupito, quasi incredulo. La generosità di Francesco replicava quella del soldato Martino di Tours, il quale, vedendo un giorno un uomo che soffriva dal freddo, aveva diviso in due il proprio mantello per dargliene la metà. Anche se si tratta di un gesto solo istintivo, questa prima «spoliazione» preannuncia la rinuncia definitiva ai beni che Francesco compirà qualche tempo dopo, come si vede nell’affresco della campata successiva, la «Rinuncia agli averi». L’una e l’altra rinuncia avvicinano Francesco a Cristo, il quale, «pur essendo di natura divina spogliò se stesso, assumendo la condizione di servo». Francesco non è raffigurato con deformazioni gerarchiche ma è calato completamente nella scena, dipinto come gli altri con il solo riconoscimento di un’aureola particolarmente elaborata. Si assiste già da questa scena al tentativo di annullare, con artifici stilistici e narrativi, la distanza tra ciò che è raffigurato e il mondo reale dell’osservatore.

Nel ciclo assisiate Giotto presenta con grande maestria non solo il cammino cronologico della vita di Francesco, ma anche e soprattutto il percorso interiore che porterà il giovane di Assisi a diventare la figura universale che tutti conosciamo. Il suo progressivo staccarsi dai legami materiale e umani lo porteranno a sperimentare una libertà suprema che forse pochi nel corso della storia hanno vissuto: il paesaggio sconfinato che si apre alle spalle dei personaggi diventa così metafora di libertà.

Alessio Fucile

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