SENTENZA VATILEAKS

FRANCESCA CHAOUQUI NON PIU’ "SERPENTA"

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In Vaticano, il processo Vatileaks si è concluso con le assoluzioni dei giornalisti: Gianluigi Nuzzi ed Emiliano Fittipaldi per difetto di giurisdizione, nonchè di Nicola Majo ex aiutante dei ritenuti “corvi”: Monsignor Angel Lucio Vallejo Balda e Francesca Immacolata Chaouqui ai quali, essendo decaduta l’imputazione di associazione a delinquere, sono state comminate condanne più lievi del previsto, rispettivamente: diciotto mesi per il prelato e un anno con quinquennale sospensione condizionale per la collaboratrice.
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Una sterzata controcorrente del Collegio Giudicante ha imposto una ben diversa dirittura di arrivo al percorso logico –normativo dei Promotori di Giustizia della Santa Sede: Gianpiero Milano e Roberto Zannotti, le cui ultime battute della requisitoria si erano concluse con la previsione di condanne, rispettivamente a: tre anni e nove mesi per Francesca Immacolata Chaouqui, tre anni e un mese per Monsignor Angel Lucio Vallejo Balda, un anno e nove mesi per Nicola Majo, in associazione a delinquere per avere rivelato documenti riguardanti interessi fondamentali di Stato essendone stati depositari in quanto componenti della commissione Cosea sulle finanze vaticane; mentre, riguardo alla posizione dei due giornalisti, accusati di divulgazione di documenti a mezzo dei libri pubblicati, era stata chiesta la condanna ad un anno con la sospensione condizionale della pena per Gianluigi Nuzzi autore del libro “Via crucis” e l’assoluzione per insufficienza di prove per Emiliano Fittipaldi autore del libro “Avarizia”.
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In verità, il quadro accusatorio sembrava conformarsi pienamente alla impostazione degli affari di uno Stato, in base alla intransigente formula del “top secret” da cui, certamente, non potesse prescindere il Vaticano con le sue grosse implicazioni politico- finanziarie mondiali, espressioni del granitico potere temporale che, da sempre, non ha fatto mai mistero di sè, intrecciato al viatico- missione pastorale della diffusione del credo cattolico.
In più, a tutta prima, in linea con certa misoginìa ecclesiastica pareva la stessa maggiore entità di pena richiesta nei confronti della Chaouqui che, quasi novella “serpenta” tentatrice, era stata ritenuta “ispiratrice e responsabile delle condotte contestate”.
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D’altra parte, la esplicita richiesta di irrogazione di altra pena, sia pure nei confronti di uno solo dei due giornalisti, la diceva lunga circa una stampa imbrigliata così come la pratica del buon giornalismo di inchiesta, cui si negasse il compito di informare compiutamente; quasi temendone l’essere solidale con i buoni propositi di Papa Francesco nel fare pulizia delle peggiori tendenze e mali mondani che coinvolgono gli uomini della Chiesa e relative componenti istituzionali.
Pertanto, a meno della eventualità di qualche limatura delle pene ad opera delle arringhe dei difensori Emanuela Bellardini, Laura Sgrò, Rita Baffioni, Lucia Musso e Roberto Palombi; non sembrava esserci spazio per decisioni che, in senso del tutto inverso alle richieste di condanna, potessero attendersi da parte del Collegio dei giudici Piero Bonnet, Paolo Papanti-Pellettier, Giuseppe Dalla Torre e Venerando Marano.
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Invece, una sentenza “coraggiosa” ha ridimensionato in più giusti ruoli tutti i protagonisti del Vatileaks- affair; addirittura, con una tal quale rivendicazione “di genere”, avendo risparmiato alla Chaouiqui i panni indecorosi della “serpenta”, maggiore responsabile; altresì, avendo restituito alla liceità il ruolo del “Buon Giornalismo” che, nel fare comunicazione deontologicamente secondo Verità e Giustizia, non può essere considerato in antitesi alla necessità di trasparenza e pulizia di un Vaticano sinonimo di una Chiesa che ci tramanda quel “Verbo”- parola di Verità che, sino dal principio dei tempi fu all’origine di ogni metamorfosi e, incarnatosi nell’eccelsa forma di Figlio del Padre nei Cieli, cacciò i ladroni dal Tempio.

Rosa Cavallo

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