SIMBOLISMI NELLA CULTURA E NELL’ARTE

Giganti e castagne (Seconda parte)

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In Italia i castagneti sono assai diffusi, i romani che di questa pianta apprezzavano sia il frutto che il legno lo esportarono in vari luoghi, così come pure durante il basso medioevo, Matilde di Canossa assieme ai monaci benedettini si prodigò per la cultura della pianta per l’importanza dell’alimentazione della castagna per la plebe.

Attualmente le castagne, come altri cibi un tempo considerati alimenti per poveri, acquistate al supermercato sono piuttosto costose, ma accade anche l’inverso, la frutta che nel medioevo era solo per i ricchi e i nobili perché la plebe doveva mangiare solo ciò che cresceva in basso, oggi addirittura in certi casi la si lascia marcire sugli alberi, perché al contadino non conviene raccoglierla per il suo basso costo.

Il significato simbolico del castagno è quello di frugalità e di resistenza, in quanto coi suoi frutti le genti povere potevano sopravvivere ai lunghi inverni; le castagne possono essere bollite e arrostite, ma possono essere ridotte anche in farina per polente, pane e castagnaccio e possono essere conservate secche, con quest’ultime in Romagna si fa ancora un antico piatto chiamato Cuciarul a base di castagne secche cotte per circa due ore con acqua, un po’ di vino e foglie di alloro, vanno servite in un piatto fondo perché il liquido di cottura va bevuto come se fosse brodo… a mia madre le si accendono gli occhi quando è tempo di Cuciarul, lei non lo sa ma è la sua madeleine proustiana.

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La castagna è anche metafora della fatica per acquisire la virtù, che raggiunta va ben conservata, infatti il frutto è ben custodito dal riccio; inoltre ha un significato recondito legato al fatto che le castagne erano dette anticamente ghiande di Zeus, ma prima analizziamo un’altra ambiguità col detto togliere le castagne dal fuoco, un po’dubbio perché significa far correre i pericoli a un altro per poi approfittarne, questo proverbio è ribadito anche da una favola di Jean de La Fontaine.

Nel racconto una scimmia convince un gatto a togliere, le castagne arrostite sotto al camino, il povero gatto si brucia le zampe, mentre la scimmia mangia ogni castagna man mano che il gatto le toglie.

Passiamo alla seconda equivocità, alle castagne ghiande di Zeus.

Ci sono le castagne e i marroni, la differenza è che la prima è il frutto dell’albero selvatico, il secondo è la castagna ottenuta tramite l’intervento sulla pianta con potature e innesti, la prima è piccola e adatta alla bollitura, il secondo è bello e panciuto pronto per diventare caldarrosta.

Ora tratterò una tradizione un po’ scabrosa, la Romagna differentemente dall’Emilia è una terra ruvida e gallica e in merito alla castagna ha un rito quasi osceno legato al modo di dire non rompermi i marroni, e similari tra cui anche prendere in castagna che hanno a che fare con i testicoli nel primo detto, col fallo per il secondo.

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Il giorno di San Martino, cade l’undici novembre, in Romagna vi è un’antica tradizione, la cosiddetta corsa dei becchi o corsa dei cornuti, oggigiorno è un rito in disuso tuttavia a Ravenna resta il ricordo, in tale periodo infatti si corre la Maratona della Città.

A Sant’Arcangelo di Romagna, un ameno borgo vicino a Rimini, invece sussiste tutt’oggi, oltre alla corsa dei becchi, si allestisce una delle più rinomate Fiere del territorio e nell’arco della piazza centrale, vengono appese delle grandi corna, se al passaggio della persona restano ferme, si può essere certi della fedeltà della moglie o fidanzata, se dondolano si è certamente becchi ovvero cornuti e traditi.

Il becco è una capra, il riferimento alle corna, è a qualsiasi animale con le tanto temute biforcazioni, in quanto per corna si intende che la moglie o compagna ti ha tradito e perciò l’uomo è un gallo/cappone… poco virile.

Ma perché fanno questa corsa solo per uomini sposati o fidanzati dove gli scapoli li deridono con schiamazzi ed urla?

Le tesi sono tante, l’usanza risale comunque ai Celti.

C’è chi dice che fosse un’usanza, in cui gli uomini correvano attorno all’accampamento con stecchi o corna in testa, come rito scaramantico per l’abitato. Altri ritengono questa consuetudine come un rito di purificazione per eliminare nella chiusura dell’anno agricolo tutte le mancanze o i peccati dell’anno, attraverso la pubblica denuncia dell’infedeltà coniugale.

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L’adulterio era considerato un peccato grave, un male nefasto, non solo perché poteva creare tensioni nella comunità, che invece doveva avere la propria forza nella coesione, ma anche perché, in ambito religioso, si pensava che i morti tornassero a rinascere nei propri discendenti, una nascita irregolare avrebbe precluso il ritorno degli antenati a favore di quelli del seduttore.

Ma se ciò accadeva la colpa era della donna?

No, la pubblica riprovazione andava ai becchi.

Mentre la natura accettava il seme nella terra, il becco non era capace di fecondare la su donna, attirando così la malasorte sulla comunità. Le donne non erano disprezzate perché concepivano lo stesso, era il becco che difettava. Così il cornuto diventava anche capro espiatorio.

È un costume che deriva addirittura dalla mitica caccia selvaggia, dell’esercito dei morti che torna furioso sulla terra.

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Novembre per i Celti coincideva con le feste del nostro Natale, iniziava il periodo più duro della sopravvivenza, si effettuavano riti violenti come catarsi e rituali propiziatori come augurio di poter rinascere in febbraio, in poche parole di riuscire a sopravvivere al terrificante inverno.

Più tardi, dal medioevo sino, nei borghi rurali, agli anni Sessanta, novembre segnava la fine delle attività lavorative con importanti fiere del bestiame e con il rinnovo di contratti.

La scadenza dei contratti di affitto e mezzadria dei terreni agricoli, coincideva con l’undici novembre, era un evento che poteva essere drastico e spaventoso, si poteva essere licenziati e in quattro e quattr’otto trovarsi senza un tetto, né un lavoro né altro se non la fame e il freddo.

Non è un caso che il giorno coincida con la festività di San Martino; nella cui agiografia dona la metà del suo mantello a un povero mendicante che stava sotto un acquazzone seminudo e immediatamente, il cielo si illumina e la temperatura si riscalda.

cms_24098/6.jpgL’estate di San Martino indica un breve periodo mite fra i primi giorni di freddo novembrino, non so dirvi il perché ma sin da piccola sto attenta e vi posso dire, riferendomi alla mia Romagna, che tutti gli anni nei giorni attorno all’undici novembre, la temperatura diventa quasi settembrina e splende il sole; il Pascoli nella poesia “Novembre” la definisce così… di foglie un cader fragile. È l’estate, fredda, dei morti.

Cosa c’entrano le castagne?

La nebbia a gl’irti colli/piovigginando sale/e sotto il maestrale/urla e biancheggia il mar/ma per le vie del borgo/dal ribollir de’ tini/va l’aspro odor de i vini/l’anime a rallegrar poeta il Carducci, infatti secondo la tradizione, durante questi giorni si aprono le botti per il primo assaggio del vino nuovo… É San Martino: il clima torna mite e il mosto diventa vino, racconta un detto popolare e con il vino si mangiavano le castagne. Alla fine della corsa dei becchi, in un convivio di allegria si gustavano le castagne bollite che solo per quell’evento si chiamavano baluse termine che in dialetto romagnolo indica in modo volgare l’organo femminile, bevendo il vin brulè, vino rosso aromatizzato con chiodi di garofano, cannella, zucchero e limone e portato a bollore, sapete come è anche chiamato in Romagna il vin brulè?

Bisò e tale termine aldilà di tutte le etimologie popolarmente significa biscione, più chiaro di così… baluse e bisò.

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Pertanto una telefonata tra Nord e Sud, fa scoprire, che la castagna ha un substrato tradizionale-festoso, territoriale molto ampio, seppur da una parte a Nord, si festeggia San Martino, propiziando un inverno mite con la sessualità sottointesa, al Sud, si commemora Sant’Andrea coi Giganti Mata e Grifone, che ricordano la dea Mater e il Grifone suo paredro e il loro corteggiamento, accompagnati dalla pioggia di castagne lanciate dal campanile come rito propiziatorio benaugurale, tradizione che risale a un tempo antico quando ai novelli sposi venivano lanciate delle noci, delle mandorle, delle nocciole o delle castagne, al posto dei confetti.

Giganti e castagne (Prima parte)

https://internationalwebpost.org/contents/SIMBOLISMI_NELLA_CULTURA_E_NELL%E2%80%99ARTE_24094.html?fbclid=IwAR1kS1gs5YSNq5GF9zD06HVR-Vqp_JEk3icRkTBVuu2zEJLxXcmVEDixRRQ#.YbWUxL3MKR9

(Continua)

Paola Tassinari

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