SOGNO DI UN VENTO DI MEZZA ESTATE

Non dorme il campo indurito dal freddo. Alimenta una vita che sa aspettare, che ha imparato a crescere rispettando stagioni lente e tempi distesi, che nulla lasciano all’improvvisazione, alla fretta di fare, di produrre, di diventare.
Qui è nascosto, anzi, qui si rende manifesto il senso del vivere, il mistero. Quel piccolo seme, che diventerà pane dell’incontro e della festa, è il simbolo più bello e più espressivo del dono, della condivisione, della vita.
Non si misura un campo di grano che cresce: lo si ascolta; lo si attraversa con calma e curiosità; lo si abita, mentre lo si lascia entrare in quelle stanze interiori dove troppo raramente sappiamo appartarci per affrontare domande alle quali, soli, siamo chiamati comunque a rispondere.
La solitudine che sperimenta ciascuno di fronte a se stesso non è isolamento, ma il tempo del radicamento. La distanza che tiene lontano tra loro le persone amate non è separazione, ma uno spazio di prossimità incredibile che recupera e rende vicini, intimi, tutto ciò e tutti coloro che davvero contano.
Può forse una distanza materiale tenerci lontano dagli amici o dalle persone significanti che abitano stabilmente, invece, la nostra stanza interiore?
Quando arriverà il giorno in cui sarà chiaro a noi stessi che ogni dono offerto o ricevuto è un augurio di felicità, quando arriverà per noi quel giorno dovremo a nostra volta donare il nostro dono a qualcuno che sappiamo ne farà buon uso; costui potrà apprendere, allora, che le uniche cose che contano sono quelle fatte di verità e gioia, e non di latta e lustrini.
Non può essere altro, dunque, a condurci e a governarci se non la gioia e la verità. Proprio questo è il “tempo della spiga”. Il tempo che scorre per far diventare tutto “dono”.
Siamo chiamati a giocare con il tempo e con la vita per il gusto di vivere, di amare, di essere amati. Siamo invitati al tavolo delle cose che crescono piano, della vita che tale non è se non si fa dono, se non si fa vicina.
Siamo in viaggio, sempre e di nuovo, alla scoperta delle cose del mondo, per comprenderle, alla ricerca di ogni incontro che ci rende vicini gli uni agli altri, partecipi e compagni di un andare che favorisce partecipazione e condivisione.
Condividere le parole scritte dal primo vento caldo che accarezza , a tratti con vigore, un campo di grano ormai prossimo alla mietitura : avete mai sognato?
Quegli steli fragili ma preziosi vanno, vengono, si affliggono, si rialzano, si lasciano piegare senza spezzarsi, si sostengono reciprocamente. Per un attimo tutto cessa, poi tutto riprende. Il vento torna a scrivere le sue parole su quella superficie, su quel foglio di sole tanto flessibile e tenace. E tutto ricomincia.
Immobili, si può rimanere a guardare per lungo tempo un tale “raccontare” che non affatica. Gli occhi inseguono l’oscillare continuo di linee improvvise e disegni imprevedibili, nel difficile tentativo di riconoscere forme familiari o di interpretare parole dette e subito sostituite da una mano invisibile, ma pur in grado di evocare racconti lontani insieme a emozioni primordiali e desiderate.
Quante sono le parole dette, non scritte, che restano – o possono restare – sospese, sospinte da un vento che avvolge, interpella, racconta, rapisce, custodisce, consegna. Uscire nel vento, sottraendosi a ritmi vorticosi più o meno imposti dall’esterno, traduce il tentativo di risalire sentieri non tracciati, alla ricerca di fonti inesauribili; esprime il desiderio di apprendere linguaggi che sappiano costruire legami, possibilità nuove di comunicazione, travaso di confidenze, condivisione di silenzi e di sintonie altre.
Camminare in spazi ancora da esplorare, legarsi al passo di chi cerca esempi piuttosto che maestri e andare insieme avanti, oltre, sospinti da quel vento interiore verso ciò che è nuovo, non stanca mai.
Tutto ha voce, tutto è voce per chi sa ascoltare, fare spazio, spalancare, lasciar entrare luci, oscurità, suoni, silenzi, profumi, colori.
Immensa come la luce, densa come la notte è la vibrazione del cuore di chi immagina e guarda così profondamente da saper dare senso al vento che agita vaste distese di grano, e si dimostra pronto a intraprendere cammini che, ad ogni svolta, alludono a mete ancora nuove.
Tutto muta nella vita, continuamente, frequentemente. Ma, proprio in questo infinito gioco di trasformazioni, tutto può diventare vita se solo si abbia sufficiente immaginazione e forza per tornare a inseguire sentieri che portino al cuore della vita, al cuore delle vite di quanti ci camminano accanto, vicini, legati a volte da un filo invisibile, inconsapevole che può creare unità, scambio, collegamento.
Ciascuno ha dentro di sé un vento che lo spinge avanti verso l’incontro con quel segreto che custodisce la verità di sé. Aspettare è l’arte di annusare quel vento, la sua direzione, la sua voce, la sua novità. Nasce dentro, ma sospinge oltre. Giunge non annunciato e chiede di essere riconosciuto. Non sarà inutile ascoltarne l’eco, innalzarsi, allungarsi, verso l’alto, per non ferire, per non tradire.
Ci incontreremo nel bel mezzo dell’unica Festa che non potrà mai finire, in un tempo senza fine, nel “per sempre”. Lì ogni domanda troverà risposta, ogni ansia consolazione, ogni lontananza intimità, ogni desiderio compimento.
(Le fotografie fornite dall’autore sono state realizzate da Marina Tarozzi)
Lascia un commento
NB: I commenti vengono approvati dalla redazione e in seguito pubblicati sul giornale, la tua email non verrà pubblicata.