STORIE DAL PIANETA TERRA

IL CAFFE’ E LE CAPRE

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Il caffè. Quante storie abbiamo sentito sul caffè, quante volte è stato detto che fa male per poi sentir dire che invece fa bene? Quante varianti ne conosciamo, specialmente in Italia. E poi il caffè con la macchinetta classica oppure con la macchinetta napoletana provvista di copri beccuccio per non disperderne l’aroma? Noi italiani abbiamo sempre fatto vanto del nostro “espresso”, tanto che anche la nota marca svizzera, quella con le cialde per intenderci, ha dichiarato che un suo esperto ha girato la nostra penisola a lungo, annotando le differenze riscontrate in ogni luogo pur di arrivare a capire come realizzare, a loro dire, il miglior caffè del mondo. Ma cosa sappiamo esattamente di questa pianta? Le prime notizie sulla sua diffusione si ebbero intorno al XV secolo, anche se il consumo era limitato ai paesi arabi. In Italia i primi a farne uso, dati i rapporti con l’area del Mediterraneo, furono i veneziani, ma i primi posti dove consumarlo - all’epoca non esistevano i bar - vennero aperti solo intorno al 1650. Però ancora non si sapeva da dove traesse origine. Si cercò di indagare sulla qualità più pregiata, lo fece anche Pellegrino Artusi, l’antesignano dei critici gastronomici nazionali, il quale indicò quella coltivata a Mokha, una città dello Yemen.

cms_6826/2.jpgAltre notizie sul caffè ed il suo consumo giunsero, e non poteva essere altrimenti, da un napoletano, anche se di adozione in quanto si trattava in realtà di un romano trapiantato, tale Retro Della Valle. Costui, nel 1614, aveva intrapreso un viaggio nel vicino Oriente, dove rimase circa 12 anni, e da cui inviava lettere contenenti descrizioni di ciò che andava apprendendo di quei luoghi, incluse notizie su quella bevanda che i musulmani usavano consumare durante il Ramadam. In particolare, dopo il digiuno giornaliero gli uomini si recavano in locande dove potevano finalmente mangiare e bere, richiedendo una bevanda nera, molto calda, chiamata cahve o kahveh, ossia “ciò che eccita”. Della Valle ne descrisse anche la preparazione, dalla tostatura alla macinazione dei chicchi, fino alla bollitura. Inoltre aggiunse che le sue proprietà medicamentose erano più efficaci se assunto amaro invece che addolcito con miele o zucchero. Nonostante tutte queste notizie, non si aveva però ancora certezza sull’origine della pianta. Fu solo nel 1671 che un frate maronita, esperto di lingua siriana, tale Antonio Fausto Naironi, diffuse ciò che a suo dire era una leggenda molto nota nello Yemen ed in Etiopia. Si narrava infatti di un pastore copto, di nome Kaldi, che diverse volte aveva avuto modo di osservare le sue capre agitarsi in modo particolare, subito dopo essersi nutrite di alcune foglie che crescevano in modo spontaneo. Le capre diventavano nervose e caricavano con le loro corna tutti coloro che si avvicinavano al gregge. Inoltre, rientrate nelle stalle non si addormentavano. Kalid, su consiglio di altri pastori, decise di rivolgersi ad un monaco, noto per la sua saggezza, che viveva in un monastero poco distante. Costui, appresa la storia, volle sapere se questi cespugli si trovavano dove solitamente le capre pascolavano oppure se per caso Kaldi avesse cambiato posto, e ricevuta risposta affermativa si fece accompagnare dal pastore, per vedere quelle piante. Il monaco potè osservare il comportamento delle capre, che si arrampicavano su alcuni alberi di piccole dimensioni, per mangiarne le foglie e soprattutto le bacche. Il monaco raccolse alcuni frutti, e li portò con se al monastero, dove li esaminò. Ne estrasse i semi per sottoporli ad alcuni esperimenti empirici. Lì triturò, li bollì, finché non li abbrustolì, facendoli, dopo averli macinati, di nuovo bollire. Con la giusta preparazione diedero una bevanda scura dall’aroma gradevole e dal sapore intenso. I monaci bevvero questo infuso, ed anche loro ebbero modo di constatare un cambiamento nel proprio umore, dal nervosismo all’agitazione fino alla perdita di sonno.

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Di questa leggenda esistono diverse versioni, con i cammelli al posto delle capre, con una deriva religiosa islamica, relativa all’uso di sostanze che danno piacere pur non essendo proibite. Nel frattempo il caffè aveva iniziato ad essere studiato come pianta medicinale, e la sua diffusione aveva raggiunto anche la Gran Bretagna, soppiantando per un certo periodo il tè. Non è dato sapere se la leggenda sia vera, ma le numerose versioni che circolano devono avere un fondo di verità. Che fossero capre, cammelli, o solo uomini impavidi che assaggiarono quei frutti, dobbiamo loro un grazie. Pensiamoci , mentre beviamo un caffè.

Paolo Varese

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