SUPERLEGA: SVOLTA PER IL BUSINESS. MUORE IL CALCIO?

Ribaltone dei 12 top club europei. È guerra nel mondo del pallone!

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In meno di un giorno, il mondo del calcio si è ritrovato stravolto da una rivoluzione senza precedenti.

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Dodici top club europei, per la precisione Liverpool, Tottenham, Arsenal, Manchester United, Manchester City, Chelsea, Inter, Milan, Juventus, Atletico Madrid, Real Madrid e Barcellona, con un colpo di mano clamoroso, sono usciti dall’ECA, massima conferenza dei club europei, e hanno annunciato l’intenzione di formare, e avviare il prima possibile, una propria Superlega esclusiva, in cui i club elencati sarebbero membri permanenti senza possibilità di esclusioni o retrocessioni. A loro, nei piani dei club fondatori, si andrebbero ad aggiungere anno per anno altre 8 squadre, alcune per invito ed altre per meriti sportivi.

cms_21633/2v_uefa_afp_ok.jpgInevitabilmente, la FIFA, l’UEFA e l’ECA sono passate immediatamente sul piede di guerra, minacciando ritorsioni pesantissime, quali l’esclusione delle squadre aderenti alla Superlega dai propri campionati ed il divieto per i giocatori di dette formazioni a partecipare alle competizioni con le Nazionali. A ciò dovrebbe aggiungersi una causa stimata intorno ai 60 miliardi di euro. Le massime associazioni calcistiche hanno espresso ribrezzo e scandalo per la creazione di un format che andrebbe a minare pesantemente un principio cardine dello sport in generale e del calcio in particolare, cioè quello del merito sportivo: invece di permettere a chiunque di ottenere sul campo la qualificazione ai principali tornei, infatti, questa Superlega attribuirebbe un “diritto divino” ad una cerchia ristretta di club, che fagociterebbero così il mondo del calcio.

È presto per sapere come finirà questa guerra appena iniziata, se si tornerà al tavolo delle trattative, se la Superlega si farà davvero o se magari interverrà la politica per fermare un’iniziativa che ha fatto infuriare tantissimi amanti del calcio. Ma, se alla fine l’intenzione dovesse tradursi in pratica, che conseguenze avrebbe questo per il movimento calcistico europeo?

Inutile girarci intorno: se prendesse vita, la Superlega sarebbe una miniera d’oro paragonabile a poche altre al mondo. Il torneo diventerebbe una sorta di show perenne che attrarrebbe tifosi per così dire “occasionali” da ogni parte del mondo, anche e soprattutto da quei Paesi molto ricchi dove però la cultura calcistica rasenta lo zero, e dove il pubblico non ha legami veri con la propria squadra, ma la segue per i nomi dei calciatori ingaggiati, per il brand, per la moda che crea. Gli introiti ammonterebbero a miliardi (si parla di cifre tra i 3 e i 7 miliardi di euro a torneo, da spartirsi tra i club partecipanti) e gli azionisti dei club in questione si coprirebbero di denaro ancora più di quanto già non siano.

Detto così, sembrerebbe un progetto perfetto. E in effetti lo è, ma solo dal punto di vista del business. Perché la Superlega, così come è stata pensata, è, appunto, business di altissimo livello; magari è anche un grande show, ma di sicuro non è calcio.

C’è infatti un motivo per cui il calcio è ormai da moltissimi anni lo sport più amato del mondo, e questo motivo è semplice: è sempre appartenuto a tutti. Per sperare di diventare un calciatore, un bambino non ha bisogno di essere 30 centimetri più alto dei suoi coetanei o di avere le spalle larghe come l’anta di un armadio: possono essere sufficienti un po’ di talento, fantasia e tantissimo esercizio. Il calcio avvicina ogni giorno nuove persone a sé perché permette di sognare.
Ma quali sogni può portare una Superlega dove ci si qualifica per diritto divino?

Non ci sarebbero più storie come quelle del Cagliari di Gigi Riva, della Sampdoria di Mancini e Vialli, della Roma di Falcao, dell’Udinese di Zico o del Verona di Bagnoli. “Storie vecchie”, dirà qualcuno, “quel calcio non esiste più”.

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E allora che ne dobbiamo pensare dell’attuale Atalanta di Gian Piero Gasperini o del Leicester City che, dopo il miracolo targato Claudio Ranieri - e proseguendo con investimenti assolutamente modesti se paragonati ai faraoni della Premier - quest’anno è al terzo posto in campionato e si giocherà la finale di FA Cup contro il Chelsea? Quando il Leicester nel 2016 vinse, non si trovava più una divisa della squadra in tutta l’Inghilterra. Eppure il Leicester in teoria non muoverebbe quell’“80% di tifosi del mondo” che i fondatori della Superlega millantano di avere in pugno. Come si spiegò una simile vendita di divise delle Foxes? Semplice: quella squadra fu capace di far sognare gli appassionati. Improvvisamente, tutta l’Inghilterra, e forse l’Europa intera, si ritrovò a tifare per quella Cenerentola di provincia che affrontava le grandi con il petto in fuori e le fiamme negli occhi. E ci siamo già dimenticati l’emozione di vedere l’Atalanta giocarsi l’accesso alle semifinali di Champions fino all’ultimo minuto contro il ricchissimo PSG?

Storie come queste hanno reso grande il calcio, hanno permesso ad ogni tifoso di sperare che un giorno la propria squadra, anche la più modesta economicamente, potesse trovare l’amalgama giusta per scalare i vertici del proprio Paese, e magari d’Europa. Ed anche se questa magia era già messa a repentaglio dai divari economici sempre più ampi, nessuno, fino a ieri, si era mai sognato di intaccare il principio per il quale qualunque club, e dunque ogni tifoseria, se lo merita sul campo può vivere il proprio sogno, la propria storia da raccontare, a prescindere dal potere economico.

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“Il calcio è dei tifosi – ha dichiarato il Presidente della Figc, Gabriele Gravina - va modernizzato, ma non snaturato. Vogliamo difendere il merito sportivo e la possibilità per ogni squadra di inseguire un grande sogno. L’unica riforma percorribile è quella nata dalla proposta Uefa sulla Champions League. Ogni tentativo di fuga in avanti è irricevibile e dannoso per il calcio europeo”.

I Paperoni d’Europa, però, hanno deciso che Chelsea, Tottenham e Arsenal non possono rischiare di investire centinaia di milioni di euro per poi vedersi soffiare il posto in Champions League da Leicester e West Ham; che la Juventus non può collezionare magre figure contro Porto, Lione e Ajax; che l’Inter non può essere eliminata dall’Europa League per mano dell’Hapoel Beer Sheva o del Wolfsburg, che il Milan non può stare fuori dalla massima competizione europea per 7 anni di fila. E così, hanno deciso di farsi un torneo tutto loro, dove decidono loro chi è degno di partecipare e chi no, dove non ci sono il Leicester, l’Atalanta, il Lione, il Borussia Dortmund di turno a rubare la scena, a far sognare i tifosi al posto dei più ricchi. La Superlega, se si farà, sarà un costante ripetersi delle stesse partite, di livello altissimo, ma senza emozioni, senza rischi, senza sorprese. Le altre realtà, invece, saranno relegate nel migliore dei casi a una Champions League che sembrerà una sorta di serie B del calcio europeo, senza avere mai la possibilità di confrontarsi con i migliori, di batterli, di ribaltare i pronostici.

E il rischio è che lo strapotere economico e mediatico dei big possa schiacciare ulteriormente le realtà medio-grandi, medie e piccole, in un meccanismo di concorrenza sleale che non lascerà scampo a nessuno.

Ma i prossimi mesi saranno quelli della verità: si vorrà davvero vendere definitivamente il calcio alle potenze straniere, a scapito dei tifosi di tutta Europa che sarebbero costretti a sopportare uno show edulcorato e standardizzato, in nome del business? O il calcio, nella sua componente di tifoserie, associazioni, club e federazioni sarà capace di dire “basta” ad un vortice di immoralità originato dagli stessi che ora se ne vanno sbattendo la porta (chi ha reso i costi del calcio insostenibili? Il Manchester City o il Fulham?), ritrovando una dimensione a misura d’uomo e salvando sé stesso e i sogni di milioni di tifosi in Europa?

(Foto da adnkronos.com Fotogramma, Afp e Ipa - si ringrazia)

Giulio Negri

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