Se la rete si dimentica che le parole sono importanti

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cms_24468/1.jpgÈ cosa ormai nota che la forte, capillare, velocissima diffusione dei social network nello scenario dei cosiddetti new media, abbia causato uno spostamento del paradigma nella creazione e nel consumo dell’informazione da quelli che sono stati per secoli processi di selezione delle notizie mediata attraverso il lavoro di professionisti, a un processo inverso di una selezione dell’informazione più diretta, ovvero disintermediata. L’inversione di paradigma ha portato moltitudini di individui a selezionare le notizie in base, per esempio, al loro sistema di credenze, o a formare gruppi di persone con mentalità e sentimenti simili dove creare il giusto humus per una polarizzazione delle opinioni (le echo chamber sono in questo caso esemplificative). Un’altra forte connotazione comunicativa del tutto specifica del mezzo, o meglio, delle piattaforme di condivisione, è la variante sintattico-morfologica-emotiva con una serie di espressioni atte a forgiare un nuovo lessico ricco di caratteristiche certamente nuove, ma parimenti infarcite da una certa anarchia linguistica derivata da incroci, acronimi, forme dialettali, ecc., tutte atte a creare un campo di espressione libera da regole e norme grammaticali riconosciute. Paradossalmente l’uso di espressioni, neologismi, nuovi conii semantici, ha dato ancor più pervasività alla comunicazione via social, proponendo un lessico libero da strozzature regolamentarie, politically correct e rispetto per la diversità di opinione.

cms_24468/2_1642306930.jpgAssistiamo dunque sia da attori sia da semplici spettatori, a una congerie di termini che diversificano in senso spregiativo diversità fisiche, psichiche, mentali, intellettuali, difetti morali, differenze geografiche, etniche, economiche e di status, rendendo il malcapitato oggetto di offese social, un minus habens per la sterminata platea social libera (a causa delle permeabili maglie delle policy) di esprimersi (!) con un florilegio lessicale basato sull’hate speech. Ciò che dunque accade nella cosiddetta infosfera digitale è una decontestualizzazione e reincorporazione a livello strutturale delle parole, usate spesso a sproposito e con l’unica finalità di offendere l’altro. Se le parole appaiono in rete come libere di fluttuare senza rispondere a determinate regole o etichette, stesso discorso vale per i cosiddetti odiatori virtuali, anch’essi connotati da forti disuguaglianze di contesti di vita vissuta, livelli d’istruzione e svincolati da appartenenze di tipo gruppale, dunque pericolosi battitori liberi. Per spiegare però ancor meglio il proliferare dell’odio online, va aggiunto un altro ingrediente base ovvero l’esistenza di bias cognitivi, tutto un insieme di pure e semplici percezioni deformate a causa di pregiudizi e ideologie di base.

cms_24468/3.jpgL’assenza di una valutazione critica e razionale di un fenomeno, formula usata molto spesso per prendere decisioni veloci e senza molta fatica nel frettoloso spazio digitale, porta a derive di polarizzazione degli argomenti, ad errori e inganni del e nel ragionamento e confermare ipotesi senza sforzarsi di avanzare prove contrarie (confirmation bias). Atteggiamenti, opinioni, parole, presi tutt’insieme rendono lo spazio di discussione dei social e dei blog un posto poco adatto a chi voglia esprimersi con maggior rispetto per le opinioni altrui e per esercitare il proprio pensiero. La lingua però in questo scenario non ha colpe perché comunque sia essa si dimostra ancora una volta adattiva al nuovo che avanza; sembrano piuttosto gli utenti italiani a dimostrare una regressione culturale che non tiene nel giusto conto la propria reputazione. Come ebbe a dire il linguista Tullio De Mauro “l’italiano sta bene, sono gli italiani a non stare benissimo”, sintetizza perfettamente un’incertezza comunicativa e un pressapochismo linguistico legato a un certo irrigidimento storico-sociale e alla paura di un presente sempre più incerto. L’italiano informale che si incontra sui social è diventato una lingua per lo più digitata frettolosamente, un’attività che tra le altre cose ha cambiato e attivato zone del tutto nuove del nostro emisfero cerebrale. La varietà linguistica composta da emoji, anglicismi pasticciati, dialetti, riferimenti pop, porta di conseguenza a una grande libertà ortografica e sintattica della comunicazione digitale che sfocia in una libertà di contenuti spesso offensivi e deliranti che rende pesantissimo ciò che scriviamo in rete. Bisognerebbe comprendere che nell’iperconnessione di rete tutti diventiamo dei micro influencer, dei mini personaggi pubblici che devono imparare a gestire ciò che fanno e dicono sui social, partendo dal rispetto della persona umana presente dall’altra parte dello schermo sino ad arrivare all’arte di argomentare, tutte lezioni che si imparano, anche, attraverso una corretta decodifica del testo che può provenire solo dalla sana abitudine della lettura.

Andrea Alessandrino

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