Siria: ben centosei attacchi chimici negli ultimi cinque anni

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Qardaha è un’anonima cittadina di neppure ventimila anime stanziata sulle rocciose e selvagge montagne siriane e, sicuramente, non è un bel posto in cui crescere. Se nasci lì, le uniche possibilità che hai nella vita sono quelle di darti all’illegalità o di curvare la schiena e lavorare tutto il giorno per pochi spicci. Lo sapevano bene gli Assad, una povera famiglia del posto di origine Alauita, la popolazione che secondo la leggenda sarebbe vissuta in Siria prima dell’arrivo degli arabi, dei greci e perfino dei fenici, riuscendo a sopravvivere a ciascuna di queste invasioni nascondendo la propria identità. Ad ogni modo, la mancanza di ricchezze degli Assad fece sì che nessuno dei loro figli potesse frequentare un istituto superiore… nessuno, tranne il più caparbio di loro: Hafiz. Negli anni del liceo, infatti, il giovane ebbe modo di conoscere insegnanti istruiti in grado di aprirgli la mente e di alimentare la sua voglia di lasciare il segno nella vita. Tuttavia, già negli anni ‘40 l’appena sedicenne Hafiz si rese conto che la sua grande passione non era lo studio, ma la politica. Fu così che si iscrisse al partito Ba’th, un’organizzazione socialista con appena dieci membri regolari. Non avrebbe mai potuto immaginare che di lì a neppure vent’anni quel partito sarebbe salito al potere.

Già, perché gli anni successivi sconvolsero la Siria più di quanto non fosse mai accaduto in passato: guerre intestine e colpi di stato erano ormai all’ordine del giorno. Secondo gli storici, in meno di vent’anni si sarebbero consumate oltre 50 guerre civili! In questo panorama, il Ba’th iniziò a guadagnare sempre più consensi grazie soprattutto all’appoggio di avvocati, medici e di quella borghesia che un tempo avevano detto di disprezzare. Così, nel 1966 al potere salì il leader del partito al-Atassi.

cms_10553/2v.jpgCome ministro della difesa, venne nominato uno degli uomini più fedeli ad al-Atassi: Hafiz al-Assad, nel frattempo divenuto generale dell’aviazione militare. I colpi di scena, tuttavia, al pari dell’ambizione di Hafiz, non erano destinati ad aver fine; così nell’autunno del 1970, utilizzando il pretesto della colpevole neutralità presidenziale nell’ambito del conflitto giordano-israeliano, il nostro protagonista organizzò un nuovo colpo di stato, passato alla storia come la “rivoluzione correttiva”. Al-Assad salì al potere, mentre al-Atassi venne spedito in carcere al pari di tutti i suoi alleati.

Gli anni che seguirono furono contraddistinti dalla repressione di qualunque disobbedienza civile attraverso la violenza e l’intimidazione. Al-Assad si dimostrò un dittatore ferocissimo e il suo governo si rivelò molto più solido e duraturo di tutti i precedenti. I cittadini siriani sembravano sicuri che alla morte del dittatore gli sarebbe succeduto suo figlio Basil, il quale sembrava aver ereditato dal padre l’amore per il potere e per le armi. Al contrario, il fratello minore, Bashar, non solo sembrava indifferente alla politica - alla quale prediligeva decisamente le attività culturali e sportive (su tutte il nuoto) -, ma aveva passato troppo tempo a Londra per i suoi studi affinché potesse realmente conoscere la realtà siriana. Più in generale, sembrava che Hafiz non nutrisse poi una particolare stima per il suo secondogenito.

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Quando tuttavia a causa di un incidente stradale Basil morì a soli trentadue anni, non vi fu altra possibilità che nominare Bashar come legittimo e unico erede al potere. Nonostante il dolore per la perdita del figlio, Hafiz non si lasciò abbattere dalla sofferenza: sottopose Bashar a un rigido addestramento per far sì che recuperasse il tempo perduto e, nel frattempo, continuò a guidare il Paese con la stessa fermezza mostrata in gioventù. Un giorno però, durante una telefonata con il presidente del vicino Libano Lahoud, il dittatore venne colto da un infarto e morì nel giro di poche ore.

Vi è ben poco da dire sui primi anni al potere di Bashar, se non che diede continuità alle politiche del padre riuscendo a governare in Siria senza (sostanzialmente) nessuna opposizione credibile. Nel 2011, tuttavia, accadde uno di quegli imprevisti che cambiano radicalmente la storia: in Medioriente scoppiò la cosiddetta primavera araba. Numerosi governi vennero abbattuti con la forza e lo stesso Bashar al-Assad sarebbe probabilmente rimasto vittima di un colpo di stato, se non avesse dato ordine ai suoi ufficiali di ricorrere ad armi chimiche e a qualunque forma di violenza necessaria per sedare le rivolte.

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Nel 2013, l’allora Presidente statunitense Barack Obama, stanco delle violenze perpetuate dal regime, minacciò di dichiarare guerra alla Siria. Alla fine però, forse persuaso da un’opinione pubblica contraria a un intervento militare, Obama cambiò idea e decise di rinunciare ad attaccare Damasco. In cambio chiese a Bashar al-Assad di distruggere per sempre il proprio arsenale chimico; quest’ultimo, grazie anche all’intermediazione degli alleati russi, accettò le condizioni.

Oggi, a cinque anni di distanza da tali eventi, uno scoop della BBC ha rivelato che da allora sono stati effettuati sul suolo siriano ben 106 attacchi chimici, i quali hanno provocato almeno trecento morti accertati. La maggior parte di questi attacchi sarebbero avvenuti fra le province di Idlib e la regione di Ghouta, ma non sarebbero neppure state risparmiate le zone di Hama e Aleppo, da sempre empie di forze dell’opposizione. Il governo di Damasco ha negato ogni coinvolgimento attribuendo la colpa all’Isis e a casuali incidenti che avrebbero colpito i depositi militari, ma non è risultato particolarmente credibile. In particolare, ha destato numerosi sospetti il fatto che tali armi siano state utilizzate soprattutto nei momenti più delicati della guerra civile, quando il regime di Bashar al-Assad sembrava essere maggiormente in difficoltà.

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Ma com’è stato possibile che il dittatore siriano disponesse di un simile arsenale, malgrado non più tardi di cinque anni fa l’Opcw (organizzazione per la proibizione delle armi chimiche) avesse distrutto qualunque bomba di questo genere? La verità è che l’Opcw ha potuto distruggere solamente le armi che Damasco ha dichiarato di possedere; il sospetto, tuttavia, è che ve ne fossero molte altre conservate clandestinamente, di cui il governo non ha mai fatto parola e sulle quali non è stato possibile intervenire in alcun modo. In altre parole, Bashar al-Assad ancora una volta si è rivelato più furbo dei regolamenti internazionali, e questa per tutti noi non può essere affatto una buona notizia.

Gianmatteo Ercolino

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