Social e violenza
Giro di vite da parte dei governi: il primo è quello australiano
È un provvedimento che è destinato a fare storia e a cambiare finalmente i rapporti tra gli stati e le potenti lobby dei social network. Il Parlamento australiano ha approvato recentemente una legge che consente di multare le aziende proprietarie dei social network fino al 10 per cento del loro fatturato annuo con la possibilità di condannare i dirigenti fino a tre anni di carcere, se non si attiveranno a rimuovere in tempi brevissimi tutti i contenuti violenti che vengono ogni giorno condivisi sulle piattaforme. Non solo. Le stesse aziende avranno l’onere di informare la polizia australiana dei contenuti violenti all’interno delle bacheche degli utenti e di rimuovere i post o i video immediatamente.
Spetterà poi a una giuria competente il compito di decidere se le aziende hanno rispettato le tempistiche previste nell’eliminazione dei contenuti violenti. Il provvedimento legislativo è stato preso dopo che circa un mese fa vi è stato il terribile attacco di matrice razzista alle due moschee di Christchurch, nella vicina Nuova Zelanda, dove 50 persone di fede musulmana hanno perso la vita. L’assassino, un giovane di 28 anni, è stato poi identificato come di nazionalità australiana e con un’ideologia vicina al cosiddetto “suprematismo bianco. Il ragazzo aveva condiviso su Facebook in streaming il video dell’attacco, e nonostante il filmato fosse stato rimosso solo 12 minuti dopo che si era concluso, il terribile eccidio, esso ha avuto però il tempo di diffondersi online attirando sul social network pesanti critiche. Solo per farsi un’idea, così come testimoniato da una responsabile di Facebook in Nuova Zelanda, nelle prime 24 ore dopo l’attacco erano in circolazione un milione e mezzo di video dell’attacco potenzialmente visibili in tutto il mondo e un altro milione e duecentomila è stato bloccato mentre stava per essere caricato.
Mentre Facebook ha da poco annunciato provvedimenti seri per arginare la deriva diffusiva di contenuti violenti sulle sue pagine (così come scritto dal sottoscritto una settimana fa), in Australia il legislatore sembra aver fretta e cerca di sopperire con sanzioni pesanti, al permissivismo presente all’interno di molte policy dei social network. La ragion di stato si è però subito scontrata con le ragioni del profitto dell’industria digitale: i rappresentanti del potente settore tecnologico della Silicon Valley hanno espresso il loro disappunto per un provvedimento, a loro dire, “scritto e approvato in cinque giorni senza che le piattaforme coinvolte fossero state consultate”. Come giustamente ha fatto notare il sostenitore della legge, il procuratore Christian Porter, le piattaforme social non si sono mai poste in questi anni il problema della responsabilità di ciò che veniva ospitato all’interno dei loro social network. L’immobilismo compiacente dei padri padroni delle ricche piattaforme di condivisione è ora smosso (meglio tardi che mai) da iniziative statali a difesa di una collettività, bisogna rimarcarlo, compiacente e in stato di trance, ipnotizzata da una eccessiva dose di violenza.
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