TRADURRE E’ TRADIRE? - La lettura de I Fiori del male di Charles Baudelaire a "Cento Incroci" - II^ parte

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Il metodo Giuspin (Giuseppe Spinillo) – Un percorso

Tradurre è tradire?

Questo l’interrogativo che si era posto nella prima parte di questo articolo.

Facendo un breve riepilogo, si diceva che l’esperienza culturale e letteraria cui si intende far riferimento è il rapporto, in ambito poetico, tra il francese e l’italiano, e tale attività è stata affrontata, nello scorso mese di maggio 2023, con la lettura e lo studio (in gran parte, certo non dell’opera completa, vastissima) di una tra le opere francesi moderne più famose e tradotte nel mondo, e dunque in miriadi di versioni in italiano, da critici e poeti: parlo de Les Fleurs du Mal, I fiori del male, del grandissimo poeta francese Charles Baudelaire.

La lettura de I Fiori del male di Baudelaire, sotto la direzione del poeta e studioso Giuseppe Spinillo, si è svolta nel centro culturale “Cento Incroci” nel cuore del quartiere Centocelle di Roma, in Via delle Palme n. 158.

Giova richiamare alcune riflessioni già svolte.

Le differenze linguistiche sussistono indubbiamente – nonostante le indubbie affinità e caratteri comuni – anche nell’ambito dello stesso ceppo linguistico, come, per restare vicini al tema di questo articolo, quello delle lingue romanze, ovvero quelle derivate dal latino (donde la definizione di lingue “neolatine”): le principali, accanto il nostro italiano, il francese, lo spagnolo (o meglio il castigliano), il catalano, il gallégo o galiziano, il rumeno.

Naturalmente, nel tempo, ognuna delle varie lingue romanze (quelle citate e le altre minori) si è man mano allontanata dalla lingua comune d’origine, il latino, e dunque dalle altre lingue del comune ceppo linguistico, sia per incontri con altre lingue ed altri accadimenti specifici sia per altre ragioni, come il c.d. “sostrato”. Con tale termine si intende “lo strato linguistico al quale si è sovrapposto e sostituito, a seguito della conquista o del predominio politico e culturale di un altro popolo, uno strato linguistico diverso, e che ha provocato nella lingua sovrappostasi particolari cambiamenti grammaticali e lessicali” (dal “Vocabolario on line Treccani”: vedi in merito l’approfondimento nella voce a cura di Alberto Zamboni nell’Enciclopedia on line Treccani).

Nell’opera di traduzione in ambito letterario, e in particolare nel multiforme universo della poesia, occorre tener conto che l’opera del traduttore è oltremodo delicata, dovendo tener conto – tra gli altri - dei due elementi fondamentali di un componimento poetico: vale a dire la struttura del testo, ovvero quello che si suole definire “il significante”, da un lato, e il contenuto del testo, vale a dire “il significato”, dall’altro.

Il primo elemento attiene alla stessa punteggiatura del verso, ai suoi spazi bianchi o rientri di paragrafo, alle figure retoriche (metafore, anafore …), alla metrica, alle rime, alle assonanze e alle consonanze, alla tipologia del verso, delle strofe, al ritmo, presente comunque anche nei cc.dd. “versi liberi”. Importante è la posizione delle singole parole, delle frasi e degli enjambement. Gli elementi accennati sono presenti, in varia misura, in ogni poesia e in ogni periodo storico, in intima simbiosi con il significato dei versi medesimi, e frequentemente si presentano con distinzioni e particolarità tra una lingua e un’altra.

Andiamo ora al cuore della bellissima esperienza cui si è fatto cenno.

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Giuseppe Spinillo ha fornito svariati elementi e criteri a tutti i partecipanti del Laboratorio per poter affrontare un’impresa così impegnativa, quale la lettura e lo studio (in gran parte) de Les Fleurs du mal, I fiori del male, del poeta francese Charles Baudelaire.

Riporto di seguito alcune sue preziose indicazioni di percorso, diramate ogni volta in via preliminare in occasione dell’incontro poetico, di volta in volta, in programma.

“APPUNTAMENTO CONFERMATO *LUNEDÌ 8 maggio alle 18,00* in via delle Palme 158 a CENTO INCROCI con il nostro percorso nella lettura poetica [su Baudelaire].

Portiamo con noi almeno una poesia da cui iniziare questa nuova tappa.

Il filo conduttore sarà ne “I fiori del mare” di Baudelaire.

Entreremo un piccolo passo alla volta nel complesso universo delle traduzioni.

Nel mese di maggio tutti gli incontri avranno:

1 - *un’apertura con almeno una poesia ciascuno di un autore di propria scelta, in lingua italiana*;

2 - *una fase più corposa legata alle varie traduzioni di poesie di Baudelaire*.

Porterò io del materiale di lavoro per Baudelaire ma chi ha una versione dei Fiori del male la porti che potrà essere utile.

Di volta in volta la modalità di lavoro evolverà, ma lo vedremo in corso d’opera.

Non perdiamoci di vista.”

“Le poesie di Baudelaire da cui inizieremo saranno: *L’albatro - Elevazione - L’uomo e il mare*

La musa venale - Corrispondenze - Al lettore […] saranno affrontate con i tempi necessari, tenendo conto delle traduzioni multiple con cui di volta in volta ci misureremo.

*I primi tre testi verranno da me forniti con il testo in lingua originale e le tre diverse TRADUZIONI*, contrassegnate sulle fotocopie semplicemente con le lettere a b c.

*Approcci diversi, tutti legittimi*, con cui ci misureremo senza la presunzione di trovare un’oggettiva verità ma delle singole possibilità. Poi si sa che ciascuno costruirà *il proprio percorso che sarà fatto di scelte*.

Ma *per tenere il filo del nostro laboratorio ho appositamente inserito in apertura di ogni incontro un ripasso del nostro lavoro sulla struttura fisica del testo poetico e sull’approccio di lavoro legato prevalentemente alla lettura ad alta voce*. Come potremo vedere il lavoro sarà molto lungo e complesso. Riusciremo appena a sfiorare le tematiche che ho espresso. *A fine maggio vedremo a che punto saremo arrivati* e sapremo come valutare le prossime tappe che sarà indispensabile programmare.

*Non perdiamoci di vista*.”

“APPUNTAMENTO CONFERMATO: *LUNEDÌ 15 maggio alle 18,00* in via delle Palme 158 a CENTO INCROCI - appuntamento con il nostro percorso nella lettura poetica. Per iniziare portiamo una poesia che valorizzi lo studio della struttura del testo poetico. Poi ricordiamo di portare i foglietti con le tre traduzioni a confronto che vi ho dato e le copie che abbiamo de “I FIORI DEL MALE”. Proseguiremo il lavoro di lettura e raffronto. Un passo alla volta. Come vedrete avventurarsi ne I FIORI DEL MALE sarà un lavoro complesso e di non facile digeribilità. Ma come dicevo... un passo alla volta.

“APPUNTAMENTI CONFERMATI: *il terzo (22 maggio) e il quarto (29 maggio) alle 18,00* in via delle Palme 158 a CENTO INCROCI dedicati a Charles Baudelaire - seguiremo alcuni elementi più legati alla lettura ad ALTA VOCE, e altri legati alla pluralità di voci e spunti che ci viene dai traduttori che hanno portato nella lingua italiana I FIORI DEL MALE.

Seguendo la giusta indicazione di Fabrizio consiglio a tutti di leggere le introduzioni dei traduttori. Utili per allargare le nostre menti, comprendendo le motivazioni che stanno dietro ogni stile di traduzione.

Un paio di appunti sullo schema del lavoro per la LETTURA AD ALTA VOCE

È nato nel corso degli anni nelle varie fasi del laboratorio. È il filo conduttore. E il punto chiave è lo stesso elemento che abbiamo preso in esame fin dal primo incontro.

SIGNIFICATO e SIGNIFICANTE.

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Ogni volta dobbiamo tenere conto che la poesia non veicola contenuto (SIGNIFICATO) se prescindiamo dalla struttura fisica del testo (SIGNIFICANTE).

Questo lo riscontriamo nella lettura ad alta voce in cui il nostro leggere si poggia sulla struttura fisica del testo che abbiamo spesso paragonato ad uno spartito musicale.

Per questo ho sempre consigliato la scelta di poeti italiani contemporanei.

Nelle poesie tradotte [inoltre] esiste un tramite tra la lingua in cui è stata scritta la poesia e la lingua italiana: IL TRADUTTORE.

Il traduttore dovrà necessariamente misurarsi anche lui con SIGNIFICATO e SIGNIFICANTE.

Nella traduzione andranno ricostruiti un contenuto (SIGNIFICATO) e uno “spartito” (SIGNIFICANTE).

Pongo questo punto di riflessione, e attraverso la lettura ad ALTA VOCE ci lavoreremo sopra assieme.

Buona riflessione e non perdiamoci di vista.”

“APPUNTAMENTO CONFERMATO: *LUNEDÌ 22 maggio alle 18,00* in via delle Palme 158 a CENTO INCROCI – PROSEGUE IL PERCORSO DEDICATO A I FIORI DEL MALE di CHARLES BAUDELAIRE. Portiamo con noi le fotocopie con le traduzioni a confronto con cui abbiamo iniziato. Inoltre portiamo con noi tutte le copie de I FIORI DEL MALE che abbiamo. Potranno essere utili. Buon lavoro e non perdiamoci di vista.

Ma inizieremo con le nostre due piccole parole magiche: SIGNIFICATO e SIGNIFICANTE.

E chi non ha nulla non si preoccupi, un laboratorio è il luogo della collaborazione. Un modo si trova sempre.

Vista la complessità ci dedichiamo solo a Baudelaire. Unica indicazione orientativa è la scelta tra le poesie meno lunghe (sonetti, ma non solo).”

“APPUNTAMENTO CONFERMATO: *LUNEDÌ 29 maggio alle 18,00* in via delle Palme 158 a CENTO INCROCI - ULTIMO INCONTRO NEL PERCORSO DEDICATO A I FIORI DEL MALE di CHARLES BAUDELAIRE ed al COMPLESSO MECCANISMO DELLE TRADUZIONI. Portiamo con noi tutte le copie de I FIORI DEL MALE che abbiamo. Potranno essere utili. Buon lavoro e non perdiamoci di vista.

[…] Nella *LETTURA AD ALTA VOCE* *il nostro leggere si poggia sulla struttura fisica del testo* che abbiamo spesso paragonato ad uno *spartito musicale*.

*Nelle poesie tradotte* il *tramite* tra la lingua in cui è stata scritta la poesia e la lingua italiana è *IL TRADUTTORE*[, che si è] necessariamente [misurato] anche lui con SIGNIFICATO e SIGNIFICANTE* [, ricostruendo nella] *traduzione […] un contenuto (SIGNIFICATO) e uno “spartito” (SIGNIFICANTE)*.

Pongo questo *punto di riflessione*, e attraverso la LETTURA AD ALTA VOCE ci lavoreremo sopra assieme.

Buona riflessione e non perdiamoci di vista.”

“Con questo incontro si chiude di fatto una stagione di laboratorio.

[… Concluderemo gli incontri sul nostro poeta] Baudelaire, ma soprattutto si getteranno le basi per la stagione estiva e per la nuova stagione che ripartirà da fine Settembre.

Per oggi cominciate a pensare ad *una poesia dei fiori del male che pensate idonea a chiudere questa vostra esperienza ne I FIORI DEL MALE*. E soprattutto la formula magica del nostro essere laboratorio. *METTIAMOCI IN GIOCO*.

Nessun timore. Vi ricordo solo una cosa. Sarà importante il momento in cui sperimenteremo la nostra voce, ma soprattutto quello in cui ascolteremo le altre voci che si sperimenteranno. Quindi sarà bello donare a tutti la nostra voce quando leggeremo, il nostro più attento silenzio in tutti gli altri momenti. Lettura e ascolto sono le due facce della stessa moneta.”.

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Con grande intuito Spinillo, come strumento preliminare per iniziare l’approccio al “mostro sacro” della letteratura francese e mondiale, in modo da preservare i partecipanti dal rischio di essere sopraffatti di fronte al molteplice, sfaccettato e profondo oceano poetico baudelairiano, ha predisposto e offerto ai partecipanti “un fascicoletto” che recava tre poesie in lettura (tra quelle iniziali de I fiori del male), secondo una metodologia accurata, che poi si è rivelata vincente.

Alle tre liriche, L’albatro - Elevazione - L’uomo e il mare, nell’originale francese, facevano seguito, per ognuna, tre traduzioni in italiano, identificate con la lettera a), b) e c).

Innanzitutto fondamentale era la presenza del “testo a fronte”, che veniva letto da Spinillo o da chi dei partecipanti avesse più dimestichezza con la lingua francese, in modo da apprezzarne la musicalità e il ritmo dei versi.

Immediatamente dopo venivano lette di seguito le tre traduzioni (più avanti si scoprirà facenti capo, rispettivamente, ad autori di grande rilievo, quali Nicola Muscatiello, Gesualdo Bufalino e Giovanni Raboni), ognuna da un diverso partecipante e senza interruzioni di commento tra l’una e l’altra versione, sempre per i motivi appena indicati per l’originale, e per apprezzarne le inevitabili differenze.

L’invito di Spinillo era poi di portare ogni volta, oltre alle fotocopie con le traduzioni a confronto con cui si era iniziato, tutte le copie de I Fiori del male in possesso dei partecipanti. Ciò per integrare le tre versioni in italiano con quelle di altri traduttori.

Una particolarità talora intrapresa da menzionare è stata la lettura continua delle tre versioni in italiano dei componimenti baudelairiani, seguendo la suddivisione di una strofa per partecipante. Analogamente per la poesia di Baudelaire Benedizione i partecipanti hanno letto una quartina per uno secondo le varie traduzioni in loro possesso. Tale tecnica peraltro è stata adottata nel Laboratorio anche in passato e viene sovente utilizzata: ciò per apprezzare con la lettura ad alta voce il flusso continuo e ininterrotto dei versi, entrando così con la lettura e l’ascolto da parte di ogni partecipante (elemento sempre sottolineato da Spinillo) in una intimità profonda con i versi dell’autore.

Nei vari incontri sono stati naturalmente fornite dal curatore del Laboratorio, Giuseppe Spinillo, precisazioni, suggestioni (e interrogativi), elementi di approfondimento, grazie anche dell’ampia documentazione a disposizione (quale ad es., tra le tante, la poderosa opera di Giuseppe Montesano, Baudelaire è vivo. I Fiori del male tradotti e raccontati …, della casa editrice Giunti, Firenze, 2021), che non è dato indicare nella loro completezza in questa sede.

A titolo di esempio riporto alcune osservazioni sulla traduzione, sui due elementi “significante”/ “significato” e sulla lettura e l’ascolto della poesia (incontro del 29 maggio 2023).

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“I traduttori ci permettono di conoscere poeti che scrivono in altre lingue. L’importante è avere la consapevolezza di ciò che si fa […] come avete visto c’è una pluralità di scelte da parte dei traduttori, si tratta di una scelta soggettiva. L’importante è che sia coerente. Nessuna scelta in assoluto può dirsi migliore delle altre, è una questione di gusto da parte del lettore.”

“Il traduttore diventa autore quando traduce, mi sembra un’asserzione molto corretta.”.

“Come pure il lettore diventa anch’egli nella propria lettura poeta”.

“Il significante indica l’organizzazione del testo, gli ‘a capo’, le rime, la punteggiatura …

Il significante rispetto al testo esprime ‘come lo dice’ il poeta, il significato ‘che cosa dice’.

Ricordo una frase di Paul Valery, che faceva grosso modo così: ‘Non è con le idee che si fanno i testi, è con le parole’ ”.

La lettura ad alta voce risveglia il silenzio. Anche la lettura ‘a mente’ lo fa. Ma la lettura ‘ad alta voce’ si dirige verso gli altri, è apertura.

Così è importante il lavoro dell’ascolto, imparare dall’ascolto. Il laboratorio è LETTURA, ma è anche ASCOLTO.

Nel laboratorio vi sono due processi: l’insegnare qualcosa (orgoglio) nella lettura, l’imparare qualcosa (umiltà) nell’ascolto. Leggere insieme è diverso dal leggere da soli. Nel primo caso c’è un interscambio di energia.

Occorre educare a leggere ad alta voce [di fronte ad un pubblico, ricordate il progetto de ‘Il Piccolo Teatro della Parola’ ?], ciò avendo attenzione alla struttura del testo, ai due elementi significante e significato e dunque nella gestione dell’enfasi.

Come per le svariate e fondamentali indicazioni di Spinillo, non è dato rendere conto dei dubbi, domande, riflessioni, ricerche, dei vari partecipanti durante gli incontri. Anche in questo caso, appare comunque significativo riportare qualche stralcio di discussione, in particolare due piccoli esempi.

Così si è posto, nella lettura del testo in originale, per il componimento di Baudelaire Au Lecteur (6a strofa, verso 2°) il problema della collocazione di un accento in una parola. Nel termine “Démons” dove cade l’accento tonico, sulla prima o la seconda sillaba? Occorre osservare, a tale proposito, che mentre in francese il vocabolo è identico, esprimendo le due accezioni, in italiano vi è una differenza di vocaboli e di accento, che ne cambiano il significato: dèmone (dèmoni) e demònio (demònii o demònî).

La soluzione è la stessa indicata per la famosa opera di F.M. Dostoevskij: I demonî. Ciò anche per una evidente rima con il vocabolo finale del verso seguente (il 3°) della medesima strofa (Démòns/poumòns). “Occorre leggere demòni con accentazione piana (parossitono) e non dèmoni con accento sdrucciolo (proparossitono). Con dèmone, (plurale dèmoni) dal greco δα?μων, trasl. dáim?n, «essere divino») intendiamo un essere che si pone a metà strada fra ciò che è divino e ciò che è umano. Così, all’interno del dialogo tra Socrate e Diotima, nel Simposio si definisce Eros, un daimon megas che è metaxu, un tramite tra il cielo e la terra (Symposyon 179b-1-3). Demònio (plur. Demònii, o demònî) deriva dal latino tardo daemonium, dal gr. daimónion, propr. neutro sost. dell’agg. daimónios ‘appartenente alla divinità’, seconda metà sec. XIII, nella religione cristiana e giudaica Spirito del male, Satana; demònî, sono gli angeli che seguirono la rivolta contro Dio.” (Antonina Nocera, L’errore fatale: I dèmoni o i démonî di Dostoevskij? in “Estetica e Media”, 8 marzo 2021, su “filosofiainmovimento.it”. Ndr, mi sono permesso di inserire gli accenti anche sulla parola dèmone e dèmoni/dèmonî, non presenti nell’articolo, per rendere ancor meglio la differenza).

Un altro caso ha riguardato la poesia del poeta francese La musa venale (La muse vénale). Nel primo verso della prima strofa troviamo in francese “des palais”, mentre nella seconda strofa, al settimo verso troviamo “ton palais”. In francese vi sono due significati per la parola “palais” (indeclinabile al plurale in quanto terminante in “s”): palazzo (palazzi) e palato (palati) (vedasi Dizionario di francese, Milano, Garzanti, 2006, pag. 386). Orbene Baudelaire utilizza nella poesia lo stesso vocabolo al plurale e al singolare. E mentre la prima traduzione con “palazzi” è unanime (almeno secondo le traduzioni in mio possesso), nel secondo caso troviamo la traduzione “il tuo palazzo”, come in Raboni, ma anche “la bocca” come in Prete. Quest’ultimo ha mutuato il termine da “palato”, utilizzandolo per il suo settenario doppio (rispetto al senario baudelairiano), facendo rima nel precedente verso con “scocca”. Difficile fornire in questo caso una soluzione unanime, che ne dite? Baudelaire l’avrà fatto apposta?

Vediamo più analiticamente che ne pensano in merito i “nostri” otto traduttori (dei loro criteri di traduzione parleremo nella III e IV parte dell’articolo, indicando nella Bibliografia, nella V parte dell’articolo di prossima uscita, gli specifici riferimenti).

Tutti e otto gli autori traducono “des palais” (1a strofa, 1° verso) con “palazzi” (assimilabili le traduzioni di Bufalino “dei manieri” e Raboni “le dimore fastose”). Diversa è invece la traduzione di “palais” nella 2a strofa, 3° verso (o 7° verso della poesia in assoluto), nell’espressione “ton palais”.

Tre traduttori ritengono che anche al singolare l’accezione del vocabolo sia la stessa della precedente e traducono, dunque, “palazzo”. Così Davide Monda e Giuseppe Montesano, nonché Luigi De Nardis. Quest’ultimo traduttore peraltro (mi sembra un particolare di rilievo) sceglie per tutte le poesie di Baudelaire ove vi sono delle strofe, di non mantenere la struttura dell’originale (eliminando dunque lo spazio tra una strofa e l’altra), spostando inoltre sovente la posizione delle parole nel verso originale, nella propria traduzione, anche da un verso all’altro, oltreché nello stesso verso. Gli altri cinque traduttori ritengono invece che Baudelaire nella seconda ricorrenza del vocabolo “palais”, stavolta al singolare (“ton”) abbia voluto variare l’accezione della parola, utilizzando l’altro significato del termine, vale a dire “palato” (Muschitiello, Rendina, anche come “sinonimo”: “bocca” Prete e Raboni; “stomaco”: Bufalino).

Il verso alessandrino di Charles Baudelaire.

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Charles Baudelaire, dipinto di Émile Deroy 1844

Una delle particolarità con cui si sono dovuti cimentare i traduttori de I fiori del male di Baudelaire, oltre alla grande attenzione del poeta per la punteggiatura, è il sapiente utilizzo da parte di Baudelaire del verso alessandrino, quello che Massimo Colesanti ha definito come “un verso “drammatico”:

“Una prima verifica [… dell’universo poetico e del valore baudelairiano] si può cercare nel verso, nella lingua, nella scrittura. Il verso di Baudelaire, così tradizionale e ‘classico’, nell’uso quasi costante dell’alessandrino, lontano dalle acrobazie e dalle spezzature di un Hugo e di un Banville, ma certo assai romanticamente articolato, e per questo più denso, più teso, anche più solenne, nella stretta misura, nella sintesi anche formale che spesso s’impone. Non meraviglia che delle centoventisette poesie raccolte nella seconda edizione (1861) delle Fleurs du Mal, i sonetti, regolari e più spesso irregolari, siano quasi la metà, e molte altre non superino i sedici o i venti versi. In questa tensione, nei chiasmi, nelle antitesi, negli ossimori, che così spesso solcano la sua poesia come il bagliore intermittente di una corrente alternata, e che hanno tutt’altro che una funzione meramente retorica (si pensi allo stesso titolo, Les Fleurs du Mal), si esprime una realtà intermedia e tragica, fra la tentazione del gouffre [dell’abisso] e il riscatto ideale nell’Assoluto (Massimo Colesanti Introduzione, Cap. 2, pagg.10-11, vedasi la BIBLIOGRAFIA finaleriportata nella V e ultima parte dell’articolo).

Verso diffusissimo nella metrica francese e occitana l’alessandrino, è un verso composto da un doppio esasillabo (hexasyllabe), vale a dire da due emistichi (ovvero due parti giustapposte: l’“emistichio” rappresenta la prima o la seconda parte di un verso) con un’interruzione intermedia di una pausa (la c.d. “cesura”). I due emistichi sono costituiti da almeno sei sillabe ciascuno, nei quali la sesta sillaba è accentata. Si tratta generalmente di un dodecasillabo.

Il verso alessandrino francese prende tale nome grazie al poema francese della fine del XII secolo Roman d’Alexandre di Alexandre de Bernay, ove tale verso fu impiegato per la prima volta, anche se la definizione apparve successivamente, nel XIV secolo. In Francia, peraltro, l’alessandrino libero (alexandrin libéré) con la cesura inserita dopo la sesta sillaba sarà utilizzato dai simbolisti francesi, in particolare Verlaine, aprendo la strada in Europa al verso libero.

Diffuso nella letteratura d’oïl, il verso francese in parola prende le mosse dall’esametro latino o meglio da una particolare modalità francese di leggere l’esametro latino nel Medioevo (così come dall’esametro latino deriva l’endecasillabo italiano), ed è stato definito anche “martelliano” da Pier Jacopo Martello (Bologna, 28 aprile 1665 – Bologna, 10 maggio 1727), poeta e drammaturgo italiano. che per le sue tragedie, ideò un verso composto di due eptasillabi. Difatti, la trasposizione nella metrica italiana dell’esasillabo francese fu il settenario, donde dal doppio esasillabo (o dodecasillabo) derivò, in italiano, un doppio settenario (verso composto da sette sillabe). I due settenari giustapposti seguiranno gli schemi ritmici più frequenti per il settenario, vale a dire lo schema (2ª)-4ª-6ª e quello 3ª-6ª, potendosi peraltro adoperare una certa autonomia ritmica, tranne per l’accento sulla 6ª sillaba di ognuno dei due emistichi obbligatorio (come l’accento sulla 10a sillaba dell’endecasillabo).

Il verso francese allessandrino appare nell’Italia settentrionale nel Duecento ad opera di un autore anonimo veneto in un poemetto didascalico dal titolo Proverbia quae dicuntur super natura feminarum, e fu poi utilizzato da Uguccione da Lodi, Giacomino da Verona, e Bonvesin de la Riva; presto si estese al Centro e al Sud dell’Italia e soprattutto fra i poeti della Scuola siciliana. Esempio emblematico della presenza dell’alessandrino medievale in lingua italiana l’utilizzo da parte del poeta duecentesco della Scuola Siciliana Cielo d’Alcamo nel suo celebre Contrasto (secondo altri invece la sua derivazione sarebbe tetrametro giambico catalettico, più che l’alessandrino francese).

Tale metro in seguito non fu più usato in Italia fino al tardo Seicento, ritornando però nella formulazione ideata da Pier Jacopo Martello, avendo larga fama durante il classicismo francese del Seicento. In Italia il verso martelliano, ovvero il settenario doppio, apparirà con Carlo Goldoni nella metà del XVIII secolo in varie commedie definite “romanzesche” e tragicommedie, aventi temi esotici, orientaleggianti o biografici. L’abate Pietro Chiari (avversario, oltre a Carlo Gozzi, del Goldoni nella contesa teatrale) comporrà anche lui in tale periodo delle commedie utilizzando tale tipo di verso, che ha impiego come verso anche nel genere epistolare. In epoca moderna il metro in questione si rinverrà, fra gli altri, in Giuseppe Giacosa, Giosuè Carducci, Mario Rapisardi, Ada Negri, Felice Cavallotti, Guido Gozzano, Gabriele D’Annunzio ed Eugenio Montale.

“Claudia Bussolino, nel suo Glossario di retorica, metrica e narratologia, Alpha Test, 2006, afferma, alla voce Alessandrino, che: «I versi brevissimi di Ungaretti talora ricomposti risultano parti di versi canonici. ‘Si sta come / d’autunno / sugli alberi / le foglie’ (Soldati, in L’allegria) è un alessandrino franto disposto su quattro versi, che corrispondono all’intero componimento». La studiosa ci informa anche, alla voce Martelliano, che nel Novecento questo metro fu recuperato da Pasolini (si pensi ad esempio al componimento “Récit”, presente nella silloge Le ceneri di Gramsci, in cui tuttavia non vi si rispetta sempre l’omometria tra i versi).” (voce Alessandrino (metrica) su l’enciclopedia on line Wikipedia: vedi al riguardo ivi gli estesi approfondimenti in merito a tale tipo di verso).

(segue)

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La prima parte al link:

https://www.internationalwebpost.org/contents/TRADURRE_E-rsquo;_TRADIRE_31619.html

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Fabrizio Oddi

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