TRAGEDIA DI GENOVA: E’ STATA LA SCARSA MANUTENZIONE A UCCIDERE?

Il crollo di ponte Morandi, “sbriciolato come farina”

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Ieri, poco prima di mezzogiorno, il viadotto Polcevera dell’autostrada A10, meglio conosciuto come ponte Morandi (dal nome dell’ingegnere che l’ha progettato, Riccardo Morandi), ha improvvisamente ceduto in gran parte della sua porzione centrale, lasciando sprofondare di circa cento metri gli autoveicoli che vi transitavano. L’immediato e massiccio intervento dei mezzi di soccorso ha portato al rinvenimento di oltre 30 vittime, una decina di feriti e circa 440 sfollati. Nel tardo pomeriggio di ieri è stato annunciato l’arrivo delle unità cinofile dei Vigili del Fuoco, già attive nel corso del terremoto che colpì l’Umbria nel 2016: si tratta di cani addestrati alla ricerca di corpi e superstiti sotto le macerie. Parecchi veicoli sono rimasti incastrati tra le macerie della struttura, mentre alcuni mezzi pesanti sono stati scaraventati nelle acque del torrente Polcevera. Le abitazioni sottostanti, inoltre, sono state travolte da calcinacci e porzioni di cemento armato, facendo salire il bilancio di altri due feriti. Sono rimasti pressoché illesi, anche se sgomberati in via precauzionale, l’edificio che ospita l’azienda Ansaldo Energia e quattro grandi condomini ubicati nell’area sottostante i due estremi del ponte.

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Le dinamiche del crollo, confuse quanto misteriose, dovranno essere chiarite dalla Procura di Genova. “Erano da poco passate le 11:30 quando ho visto un fulmine colpire il ponte, qualche attimo prima della tragedia” ha riferito un testimone ai microfoni dell’Ansa. “Inizialmente pensavamo fosse un tuono vicinissimo a noi, abbiamo sentito un rumore incredibile. - hanno dichiarato alcuni residenti dell’area limitrofa - Noi abitiamo a circa 5 chilometri dal ponte, ma abbiamo sentito un boato pazzesco. Eravamo in casa, ci siamo spaventati tantissimo. Ora la situazione è drammatica, il traffico completamente in tilt e la città paralizzata”. Le prime indagini della Protezione Civile parlano di un cedimento strutturale, ma non è stato appurato in quale misura il maltempo possa aver inciso sul crollo. “Sulla struttura, risalente agli anni ’60, erano in corso lavori di consolidamento della soletta del viadotto. Come da progetto, era stato installato un carro-ponte per consentire lo svolgimento delle attività di manutenzione. I lavori e lo stato del viadotto erano sottoposti a costante attività di osservazione e vigilanza da parte della Direzione di Tronco di Genova ha fatto sapere Autostrade per l’Italia, inevitabilmente coinvolta nel cerchio di responsabilità sulla tragedia.

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Il fatto che sia una struttura quasi del tutto unica al mondo - paragonabile solo ad altri due ponti, uno a Maracaibo (Venezuela) e l’altro a Wadi el-Kuf (Libia) - alimenta la convinzione, avanzata da più parti, secondo cui una manutenzione più scrupolosa avrebbe potuto evitare una simile fatalità. Ne aveva parlato già nel 2016 l’ingegner Antonio Brencich, professore associato di Costruzioni in cemento armato presso l’Università di Genova: La struttura ha presentato fin da subito diversi aspetti problematici, oltre l’aumento dei costi di costruzione preventivati. E’ necessario, inoltre, ricordare un’erronea valutazione degli effetti differiti (viscosità) del calcestruzzo, che ha prodotto un piano viario non orizzontale. Ancora nei primi anni ’80 chi percorreva il viadotto era costretto a fastidiosi alti-e-bassi dovuti a spostamenti differiti delle strutture dell’impalcato, diversi da quelli previsti in fase progettuale. Solo ripetute correzioni di livelletta hanno condotto il piano viario nelle attuali accettabili condizioni di semi-orizzontalità”. L’idea di una struttura a forma di cavalletto bilanciato, che sembrava scimmiottare il più celebre e antico ponte di Brooklyn, naufragò ben presto anche oltreoceano: l’altezza della campata prevista dai progettisti non aveva fatto i conti con il frequente passaggio delle imbarcazioni nelle acque sottostanti. Nell’aprile 1964, infatti, la petroliera Exxon Maracaibo, colpita da un guasto elettrico, urtò violentemente la struttura, provocando il crollo di tre campate consecutive e causando la morte di 7 persone che vi transitavano. Un incidente che, col senno di poi, sembra aver gettato un’ombra sulle sorti del “gemello” ponte Morandi, a cui il destino ha riservato la stessa triste fine. In quel caso, così come nella sciagura avvenuta ieri nel capoluogo ligure, qualche metro in più o in meno da parte delle autovetture ha fatto la differenza tra la vita e la morte, in una drammatica roulette russa che ha trascinato nell’abisso decine di innocenti.

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Tra le dichiarazioni rilasciate da Brencich ai microfoni di Ingegneri.info, si legge ancora: “Il Ponte Morandi negli anni ’90 subì un’enorme quantità di lavori, gli stralli vennero affiancati da altri cavi d’acciaio. Ciò non è un campanello d’allarme, ma il segnale di una rapida corrosione, che ha reso necessario integrare la struttura originaria per impedire che insorgessero condizioni di pericolo. Quando parliamo di un ponte, se dopo 30 anni si devono sostituire gli elementi strutturali significa che è un ponte sbagliato. Un ponte deve durare 70-80 anni senza manutenzione di questo tipo. Dopo appena 30 anni, invece, ha dovuto essere rivisto in maniera imponente”. Parole tanto profetiche da mettere i brividi, all’indomani di una tragedia che ha lasciato l’Italia sgomenta, priva di ogni certezza e, soprattutto, consapevole del fatto che ciascuno di noi avrebbe potuto trovarsi lì, nel traffico dell’ora di punta, in un martedì come tanti…

Federica Marocchino

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