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Anziani, fumatori, disabili e degenti ospedalieri

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Il fenomeno Dario Franceschini, Ministro dei beni e delle attività culturali, ha avuto una vera e propria idea geniale. Ha deciso che, finalmente, i “giovani” entreranno gratis nei Musei nazionali, mentre i 2,5 milioni di pensionati al minimo che usufruivano di qualche sconto sui biglietti d’ingresso, purtroppo, dovranno rinunciare a questo “privilegio”.

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Questa forma discriminante sarà valida anche per gli over sessanta, considerati dal ministro e dal suo governo “benestanti” anche se a malapena riescono a pagare i tikets farmaceutici. Complimenti ministro (con la emme minuscola) per il suo senso discriminatorio.

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Altra categoria di discriminati dalla società sono i fumatori, categoria alla quale appartengo da anni. Guardati male in aeroporto, al cinema, nei bar e nei pub dove hanno istituito aree a loro adibite, considerandoli alla pari dei monatti di Manzoniana memoria. I nostri governanti ci impongono il divieto di fumare mentre lo Stato continua ad averne il monopolio per la libera vendita presso i suoi sodali (tabaccherie). Facciamo una onesta e puntuale considerazione. Un fumatore che regolarmente acquista un pacchetto di sigarette dal monopolio di stato e paga cinque euro al giorno, compresi i giorni festivi, dovrebbe aver diritto quantomeno, in caso di ricovero, di una stanza singola, vista mare, accudito da una infermiera con minigonna ed autoreggenti a rete.

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Sicuramente i lettori si staranno chiedendo le motivazioni. Vengo e mi spiego, per dirla alla Totò. Cinque euro al giorno per trenta giorni al mese fanno centocinquanta euro, che moltiplicati per dodici mesi fanno oltre milleottocento euro l’anno. In cinquant’anni e passa da fumatore, personalmente ho versato allo stato una cifra pari a quasi cinquecentomila euro e scusate se è poco. Gradirei, in caso di ricovero, essere trattato al meglio. Con il mio contributo potrei considerare la stanzetta d’ospedale di mia esclusiva proprietà.

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Parliamo adesso dell’assistenza sanitaria. Sempre in caso di ricovero, devi già considerarti “fortunato” se riuscissero a sistemarti su una barella di fortuna. Sia pure in chiave polemica, ma veritiera, i medicinali salvavita che dovresti usare regolarmente sarebbe meglio li portassi da casa tua. Gli ospedali dicono di non averli in quanto, la scusa è sempre la stessa: ”purtroppo...in questo reparto...la Regione non ce li riconosce...” Ti sei rotto una gamba ed hai la pressione alta? Ebbene l’ospedale ti riconosce il gesso ed un antidolorifico mentre per le pillole per la pressione dovrai provvedere da solo.

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Passiamo ai pasti quotidiani ospedalieri. Dopo una accurata diagnosi da parte della dietologa di turno per individuare se sei diabetico, intollerante a prodotti alimentari o se fossi affetto da ipertensione arteriosa, ti arriva finalmente il pasto quotidiano studiato su misura per te. Scopri il vassoio e ti accorgi che il tuo rancio è uguale a quello degli altri pazienti. E passi.

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Qualora il ricoverato dovesse permettersi di suonare il campanellino per avvertire che la flebo è finita, ti arriva “quasi subito” un infermiere, che con fare poco urbano ti risponde che lui è da solo in corsia e che non può correre da tutti i pazienti. Lo stesso, come se non bastasse, dopo averti guardato male ti chiede se può portarsi via il tuo quotidiano che non hai ancora potuto sfogliare. Solamente allora capisci l’etimologia del vero significato del termine “ paziente “. Secondo tutti i dizionari della lingua italiana, il “paziente” è colui il quale dovrà sottoporsi a cure mediche. Lo stesso vocabolo, in clinica, viene letto come aggettivo o sinonimo di “persona calma” o “assai tollerante”. Se osaste contraddire un infermiere, questi vi aspetterebbe al varco. Prima delle dimissioni, lo stesso infermiere, dovendovi tirarvi via dalla vena l’ago cannula coperto da una serie di cerotti, vi guarderebbe sornione e, con un sorriso sadico, vi effettuerebbero una depilazione degna della “peggiore” estetista abusiva di quartiere periferico. Le donne ne sanno qualcosa.

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Dopo il mio ultimo ricovero, a distanza di tre mesi, mi hanno richiamato per una doverosa visita di controllo. Giuro che avrei preferito essere convocato dagli uffici di Equitalia. Sicuramente mi avrebbero riservato un trattamento più umano.

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