Tensione in Libia per l’avanzata di Haftar
Raid aereo sull’aeroporto di Tripoli. Il governo minaccia una controffensiva

Stando agli ultimi aggiornamenti, l’assetto politico-istituzionale libico sarebbe oggi più che mai sotto pressione, stretto nella morsa tra il governo di accordo nazionale, guidato dal premier Fayez al-Serraj, e le forze radunate attorno al generale Khalifa Belqasim Haftar. Quest’ultimo è il rappresentante della fazione cirenaica, nominato ministro della Difesa e Capo di Stato Maggiore dal governo cirenaico di Tobruk nel 2015, dunque oppositore tradizionalmente delle forze islamiche tripolitane.
Gli scontri che stanno destabilizzando il paese sarebbero scoppiati giovedì scorso a Tripoli, come conseguenza della libera iniziativa di Haftar e dei suoi uomini, di un’avanzata dalla zona orientale, la Cirenaica, verso la Tripolitania, provocando, già a pochi giorni dall’inizio delle offensive, ingenti danni in termini di capitale umano. Si contano attualmente 14 vittime dalla parte di Haftar, mentre a seguito delle operazioni militari contro la capitale libica sarebbero 35 i morti e 50 i feriti, di cui la maggior parte civili, almeno secondo quanto ha riferito il ministro della Sanità del governo di concordia nazionale, Ahmed Omar. Gli ultimi avvenimenti raccontano che, nonostante l’allerta delle forze fedeli al consiglio presidenziale - le quali controllano anche le zone di al-Aziziyah, a sud di Tripoli, e di al-Hira, vicino a Gharian - sarebbero stati presi di mira obiettivi sensibili, come dimostra il bombardamento inflitto all’aeroporto Mitiga di Tripoli, unico scalo aereo ancora attivo della capitale. Fortunatamente il raid non avrebbe provocato vittime; i militari di Haftar avrebbero ripiegato in ritirata, ma le forze governative si sono dichiarate già pronte ad una controffensiva denominata operazione «Vulcano di rabbia». La comunità internazionale sta cercando in tutti i modi di disincentivare l’escalation militare, che sarebbe controproducente per lo sviluppo di un paese già martoriato da un passato guerrigliero nemmeno troppo lontano.
Il Consiglio di sicurezza statunitense e i ministri del G7 hanno appurato che non può attuarsi una soluzione militare al conflitto libico, ma per raggiungere una pace stabile e una prospettiva di stabilità a lungo termine è necessario tornare a sedersi al tavolo dei negoziati, quindi attenersi agli strumenti meramente diplomatici. In caso contrario, questa campagna unilaterale contro Tripoli non potrà che trasformarsi in un campo minato per la sicurezza dei civili in primis e poi per il futuro della nazione, la quale perderà la sua credibilità a livello internazionale. Il segretario di Stato americano, Mike Pompeo, ha chiesto al generale libico Khalifa Haftar di "fermare immediatamente" l’offensiva contro Tripoli, mentre sia l’ambasciatore italiano, Giuseppe Buccino, che l’inviato speciale dell’Onu, Ghassan Salamé, hanno incontrato il presidente del governo di accordo nazionale, Serraj, per fare il punto della situazione. Anche l’italiana Federica Mogherini, Alto rappresentante Ue per gli Affari Esteri, ha dichiarato che "i Paesi dell’Ue sono uniti nel sollecitare le parti in Libia ad una tregua umanitaria come raccomandato dall’Onu; a evitare qualsiasi ulteriore escalation militare e a tornare al tavolo del negoziato", anche se gli ultimi sviluppi non sembrano procedere in questa auspicata direzione.
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