Thailandia, venti operai muoiono in un incendio

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Fin dagli anni ‘80, la Thailandia viene considerata una delle nazioni più ricche del sud-est asiatico. Non che in un Paese simile non esistano problemi e contraddizioni, ovviamente, eppure il turismo, il settore manifatturiero e le crescenti esportazioni hanno permesso a questo Stato di quasi settanta milioni di abitanti di essere considerato a tutti gli effetti una piccola potenza industriale. Se poi consideriamo che, grazie ad una crescente richiesta di braccianti e di agricoltori, in Thailandia il tasso di disoccupazione è sceso negli ultimi anni addirittura sotto l’1%, ci rendiamo conto di quanti immigrati possano essere ogni anno attratti da un così stabile e rampante Paese. È il caso, ad esempio, degli abitanti del Myanmar (l’ex Birmania), uno dei Paesi più poveri e più caotici nel panorama asiatico. Una nazione dalla quale, negli ultimi decenni, ben 1 milione di cittadini sono fuggiti per varcare il confine orientale e cercare così fortuna in Thailandia. Alcuni di questi immigrati sono clandestini, come sempre accade in questi casi, altri invece, malgrado le enormi difficoltà burocratiche per ottenere il permesso di soggiorno, risultano essere regolari e, il più delle volte, sono perfettamente integrati nel nuovo contesto economico e sociale in cui si trovano a vivere. È il caso di 47 operai birmani che nella mattinata di venerdì hanno preso un autobus che avrebbe dovuto condurli dalla provincia di Tak alla capitale Bangkok, il cuore industriale del Paese. 47 operai che avevano come unico scopo quello di lavorare, di guadagnarsi uno stipendio e di compiere, in altre parole, quello che da anni è il proprio dovere. Nessuno di loro poteva immaginare che nel bel mezzo del tragitto l’autobus avrebbe improvvisamente preso fuoco.

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“L’autista ha detto di aver sentito puzza di fumo di sigaretta prima che scoppiasse l’incendio” ha riferito il portavoce della polizia locale. Immediatamente, su quel maledetto autobus è scoppiato il caos. I passeggeri hanno provato a mettersi in salvo, ma mentre alcuni di loro se la sono cavata senza gravi ferite, 20 operai, purtroppo, non ce l’hanno fatta.

Non è difficile immaginare lo sconforto e lo sbigottimento che questa notizia ha suscitato nei parenti e nei colleghi delle vittime. Un lutto profondo unisce oggi ben due nazioni, diverse da loro per storia e cultura, ma accomunate dal dolore per una macabra e forse evitabile tragedia.

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Ovviamente, al dolore per la scomparsa delle vittime si intrecciano le indagini per provare a comprendere le reali cause di quest’incidente, nonché per chiarire quali possano essere gli eventuali responsabili.

Ancora non conosciamo la causa dell’incendio (…) abbiamo bisogno di ulteriori indagini” hanno commentato laconiche le forze dell’ordine.

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Sarebbe banale trasformare la riflessione su quanto accaduto in un retorico discorso su come ogni giorno in tutto il mondo gli operai, gli immigrati e gran parte dei lavoratori siano costretti a viaggiare su mezzi di trasporto poco affidabili per andare a compiere un lavoro insicuro e mal retribuito. Eppure, non si può fare a meno di provare uno stato di profondo rammarico nel riflettere su come, ancora nel 2018, le condizioni delle classi sociali più deboli siano terribilmente precarie e di come, conseguentemente, la loro vita sia costantemente messa in pericolo; quasi come se l’essere poveri fosse un motivo sufficiente per dover rischiare di morire. È vero, prima di effettuare qualunque considerazione bisognerà attendere un definitivo chiarimento su quanto accaduto su quell’autobus ieri mattina. Tuttavia, la paura è che in molti potrebbero avere fin da subito la tentazione di etichettare quanto accaduto come un semplice incidente: la tentazione di limitarsi a considerare questa disgrazia come l’ordinaria conseguenza di un triste destino. Ebbene, questo non può e non deve cancellare non solo la nostra solidarietà verso le vittime, ma anche la nostra attenzione verso chi da anni è costretto a vivere in condizioni non dissimili da quelle dei 20 operai morti. Non trarre una considerazione di questo genere pensando a quanto accaduto non solo sarebbe un tragico errore ma, forse, sarebbe perfino un modo per lasciare che le vittime di ieri siano morte invano.

Gianmatteo Ercolino

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