Tokyo: hotel licenzia duecento… robot

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Sono sempre di più le persone preoccupate dalla possibilità che, nei prossimi anni, lo sviluppo tecnologico delle società occidentali possa generare in numerosi settori un significativo aumento della disoccupazione, con conseguenze sociali ed economiche facilmente immaginabili. In tutto il mondo ha già avuto inizio un’approfondita discussione su quali soluzioni sia possibile adottare per prevenire il problema e, come sempre accade quando si affronta una questione così complessa, la popolazione si è inevitabilmente divisa in due fazioni: da una parte chi giudica l’automazione del lavoro inevitabile e vantaggiosa, dall’altra chi teme invece che essa possa generare un indebolimento del potere contrattuale delle classi lavoratrici, schiacciate dalla ben più efficace ed agguerrita concorrenza di robot ultramoderni.

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Ebbene, quest’ultima categoria di persone sarà ben lieta di venire a sapere che nell’Hotel Henn-na di Tokyo, la razza umana ha ottenuto una prima e simbolicamente importante vittoria in quest’inedita lotta contro le macchine. Il lussuoso hotel, nella giornata di giovedì, avrebbe infatti “licenziato” duecento robot annunciando che essi sarebbero stati ben presto sostituiti da persone in carne ed ossa. La ragione? Troppe inefficienze da parte degli automi: se infatti Churi, il programma di assistenza vocale presente in ogni camera dell’albergo, faticava a rispondere alle più banali domande sui luoghi da visitare in città o sugli orari degli aerei, non si può dire che abbia funzionato meglio l’esperimento dei “velociraptor”, robot con le sembianze dell’omonimo dinosauro che avrebbero dovuto ricoprire insieme il ruolo di facchini e receptionist. Questi ultimi, oltre ad essere (a dispetto del nome) incredibilmente lenti, hanno manifestato la tendenza a non funzionare in presenza di pioggia o di basse temperature. Dulcis in fundo, il pernottamento sembrava risultare quantomai scomodo a chiunque soffrisse di roncopatia, dal momento che russare in maniera un po’ più rumorosa era sufficiente ad attivare in piena notte i caotici dispositivi artificiali.

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Le numerose lamentele hanno dunque spinto la direzione ad abbandonare l’esperimento intrapreso nel 2015; non è tuttavia ben chiaro se tale decisione debba essere interpretata come definitiva o se rappresenti solo una sospensione del progetto in attesa che le “condizioni tecnologiche” possano cambiare. Quest’ultima sembra essere di gran lunga l’ipotesi più verosimile a giudicare dalle dichiarazioni del manager Yukio Nagai: “Il tempo dei robot non è destinato a finire presto” ha asserito.

In effetti esisterebbero molte ragioni per supporre che le sue previsioni siano fondate: se infatti oggi alcuni robot possono essere inefficienti, non è detto che lo saranno ancora in futuro, quando il rapido sviluppo tecnologico e gli aggiornamenti che sempre più spesso vengono sperimentati porteranno a un inevitabile miglioramento del prodotto. Inoltre, in un mondo traboccante di clienti stranieri come quello degli hotel possedere degli automi in grado di parlare decine di lingue differenti potrà rappresentare una notevole comodità per moltissimi consumatori.

In altre parole, gli uomini hanno forse vinto una battaglia ma non di certo la guerra. C’è da essere sicuri che molte altre aziende in futuro tenteranno di ripetere lo stesso esperimento dell’Henn-na e non è detto che non possano ottenere risultati migliori. In compenso, bisogna tuttavia sottolineare che la maggior parte dei lavori svolti dai robot risultano essere di natura fisica: lavori che sempre meno persone sono disposte ad accettare ed anzi, per certi versi si potrebbe perfino dire che l’automazione del lavoro sia una conseguenza della scarsa manodopera disponibile. In effetti, se da un lato è vero che la disoccupazione può forse rappresentare una minaccia, è altresì vero che svolgere un lavoro degradante rappresenta una minaccia almeno altrettanto significativa; in questo senso, il fatto che talune occupazioni prevedano l’impiego dei robot può rivelarsi una notizia addirittura rasserenante.

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Del resto sono ormai secoli che, sia pur in termini di volta in volta differenti, questo spinoso argomento torna alla ribalta; in molti ricorderanno che, già nel lontano XIX secolo, proprio il terrore di una nuova rivoluzione industriale spinse gli operai ad una serie di proteste sfociate nella distruzione dei telai e delle principali macchine di lavoro dell’epoca per il timore che esse rendessero completamente desuete le prestazioni degli esseri umani. Una rivolta che in seguito sarebbe stata denominata luddismo e che, col senno di poi, è stata forse animata da un’eccessiva diffidenza. È dunque probabile, o quantomeno auspicabile, che anche questa volta l’universo dei lavoratori sarà destinato ad evolversi e a cambiare ma non a estinguersi; anzi, forse proprio quel progresso e quel futuro che tanto spaventano alcuni, un giorno potrebbe rivelarsi la principale occasione dell’umanità per garantire un maggiore benessere e una maggiore dignità a tutti… anche a chi oggi guarda a quel futuro con riluttanza.

Gianmatteo Ercolino

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