Turchia: riabilitazione in vista per la base Atatà¼rk

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1918. La prima guerra mondiale sta vivendo una delle sue fasi più sanguinose. Mentre tutto il mondo è concentrato sugli scontri che stanno avendo luogo presso il celeberrimo fronte occidentale, un altro fronte, forse meno conosciuto ma non per questo meno significativo per determinare le sorti dell’umanità, sta vedendo contrapporsi in un selvaggio scontro le forze alleate contro quelle degli imperi centrali: è il fronte mediorientale.

Nel mese di gennaio, alla guida della VII armata dell’allora impero Ottomano, vi è un ragazzo di soli trentasei anni che malgrado la propria giovane età sembra essere fin da subito riuscito a mettersi in luce per le proprie capacità militari e per la propria lungimiranza strategica, il suo nome, è Mustafa Kemal Atatürk. La situazione per i suoi uomini è preoccupante: le risorse cominciano a scarseggiare e il suo esercito non dispone che di un limitato numero di cannoni ed un ancor più limitato aiuto logistico da parte dei tedeschi. In un simile scenario, tuttavia, Mustafa Kemal ha un’intuizione che forse non sarebbe stata destinata a cambiare le sorti della guerra, ma di sicuro avrebbe contribuito a prolungarla, aiutando i suoi uomini a resistere più di quanto non fosse lecito sperare. Intuì che nella regione di Afrin, circa sessanta chilometri a nord Ovest di Aleppo, esisteva uno spazio ideale dove istituire in poco tempo una base militare utile a difendersi dagli attacchi nemici e a riorganizzare le truppe ottomane.

cms_9668/2v.jpgLa base venne eretta nei pressi della città di Ray, un piccolo centro di probabili origini ittite. I primi mesi trascorsi lì dai soldati della settima armata si rivelarono relativamente tranquilli, o perlomeno, nulla di particolarmente rilevante accadde fino alla fine dell’estate successiva. Eppure, quando le truppe inglesi guidate dal generale Allenby scagliarono una massiccia offensiva a Megiddo con un numero di uomini ben superiore rispetto a quello degli ottomani, quest’ultimi non poterono far altro che capitolare.

Pochi giorni dopo il sultano Mehmed VI firmò la propria resa incondizionata, determinando, sostanzialmente, la più umiliante sconfitta nella storia del suo popolo. Il potente e antico impero, oltre a veder ridimensionati i propri confini, venne perfino costretto ad abbandonare le proprie tradizioni e, addirittura, il proprio nome. Ben presto nacque una nuova nazione, molto più progressista e laica rispetto alla precedente… una nazione il cui Presidente e padre fondatore sarebbe stato proprio quello stesso Mustafa Kemal che tanto coraggiosamente aveva guidato la propria armata contro gli inglesi. Quella nazione, ovviamente, era la Turchia.

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Sono passati esattamente cento anni dagli orrori della prima guerra mondiale e dagli scontri che hanno portato ad una così drammatica e significativa perdita in termini di vite umane. Cent’anni durante i quali l’antica base ideata da Atatürk, coerentemente con i trattati di Versailles, è passata sul territorio siriano. Per un intero secolo la sua presenza è stata pressoché dimenticata ed anzi, essa non ha avuto altra importanza se non quella di rappresentare un’attrazione turistica per gli appassionati di storia del luogo.

Alcuni mesi fa, tuttavia, il Presidente Erdogan ha dato disposizione ai propri militari di occupare la regione di Afrin. L’operazione “Ramoscello d’Ulivo” è stata fortemente contestata dalle autorità internazionali: se infatti ufficialmente il suo scopo dovrebbe essere quello di distruggere le postazioni dell’Isis rimaste in Siria, ufficiosamente possiamo invece dire che il suo reale obiettivo è quello di porre un argine alla presenza curda nella regione; un obiettivo perfettamente centrato, peraltro. Ad ogni modo, una conseguenza quasi collaterale ma estremamente affascinante dell’operazione Ramoscello d’Ulivo, è stata quella di riportare sotto il controllo turco l’antica basa militare costruita nel 1918 da Mustafa Kemal, che nel frattempo è stata ribattezzata dai media locali “base Atatürk”.

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Per il momento, la struttura dovrebbe essere utilizzata esclusivamente come museo, ma non è escluso che in futuro possa essere impiegata per fini più eterogenei. “Prenderemo tutti i provvedimenti necessari, spero che i lavori finiscano in breve tempo” si è limitato a dichiarare Erdal Ata, il governatore della provincia turca più vicina al confine siriano, Hatay.

Ad ogni modo, le disposizioni finora impartite da Erdogan potrebbero indispettire non poco il governo di Bashar al-Assad, il quale già in passato aveva condannato la “flagrante invasione” da parte di Ankara, invitando i turchi a ritirare il prima possibile i propri soldati dal suolo siriano; di conseguenza, non è da escludere che Damasco possa interpretare quest’ultima mossa dell’esecutivo turco come una nuova, pesantissima provocazione diplomatica.

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Naturalmente, il popolo siriano negli ultimi anni ha vissuto fin troppe devastazioni per poterne desiderare di nuove. Esistono fin troppi problemi di natura sostanziale in Medioriente affinché ci si possa permettere di alimentarne nuovi di natura ben più futile, come quello legato a un contenzioso rispetto a una base militare antica di cent’anni, per quanto essa possa avere un indiscutibile valore simbolico. In altre parole, l’auspicio è che la base Atatürk, un tempo costruita per risolvere un contenzioso militare, non diventi ora essa stessa l’oggetto di un nuovo contenzioso.

Gianmatteo Ercolino

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