Tutti sotto controllo nell’era del capitalismo della seduzione

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La strettissima relazione tra la vita quotidiana e i dispositivi tecnologici ha oggi assunto la forma della dipendenza tanto da innescare processi di sorveglianza e di controllo mirati che, rispetto al passato, hanno perso la disciplinarietà e dei sovranismi dei regimi del passato. La pluralizzazione delle infinite possibilità offerte dalla rete ha fornito agli utenti un più facile accesso a scelte di acquisto, relazioni interpersonali e canali di informazione dai quali operare infinite scelte d’acquisto conformi a un’identità sempre in divenire. Il facile accesso e la libertà di espressione di cui ognuno di noi è dotato nel momento in cui accede al web e alle piattaforme di condivisione ha, come noto, un costo nascosto, quasi iniquo per la maggioranza delle persone, rappresentato dalla sorveglianza e dal monitoraggio digitale dei nostri spostamenti in rete. Il tema della sorveglianza non è un argomento sconosciuto alla popolazione mondiale; ovunque ci troviamo vi è la consapevolezza di essere osservati, tracciati nei movimenti, controllati per ovvie (!) ragioni di ordine pubblico e di sicurezza. Le pratiche messe in atto dalle amministrazioni pubbliche e dai governi in generale fanno parte ormai di un dato acquisito e, anzi, richiesto dagli stessi soggetti amministrati, in particolar modo in tempi in cui paura e senso di insicurezza diffusa la fanno da padrone, coltivati ad arte dai mezzi di comunicazione di massa. Al controllo per ragioni di presunta sicurezza all’interno del tessuto quotidiano, oggi si riscontra un’ulteriore forma di sorveglianza affidata agli stessi consumatori di contenuti online, ovvero noi utenti. Non si parla perciò di controllo sociale, al contrario si parlerà di una società che si autocontrolla e che trasmette il contenuto delle informazioni ai sistemi di marketing digitale per riceverne benefit e consigli mirati alla propria oscillante soggettività.

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L’esercizio di tal specie di potere di controllo assume le sembianze paradossali di piacere e di produzione di conoscenza in un rapporto di reciprocità tra chi gestisce potere e traffico del web e gli utenti finali. Già Deleuze aveva, sulla scia degli studi di Foucault, teorizzato l’avvento di una società del controllo totale delle nostre emozioni in quello che era il sorgere del capitalismo del consumo. La creazione di dispositivi dall’aria innocua e giocosa, ha la funzione, secondo il filosofo francese, di regolare i consumi, le scelte e le abitudini di cittadini sempre più simili a macchine capaci di esercitare su se stessi, quindi avulsi dal potere costituito del passato, comportamenti di integrazione ed esclusione tipici degli organismi politici. È l’efficientamento del grado di controllo operato da ognuno sul proprio essere a rendere la sorveglianza e l’automatismo delle scelte più semplice e flessibile all’interno di un discorso sul digitale diventato il controller (un rimando semantico al concetto di gamification che rende l’operatività del marketing digitale meno duro da sopportare) delle nostre abitudini e preferenze. Bauman in particolare aveva affermato profeticamente che “[...] sottoponiamo volentieri i nostri diritti alla privacy al massacro", ovvero oggi gli individui contribuiscono attivamente alla propria sorveglianza. Del resto come ha poi affermato Shoshana Zuboff “l’esperienza umana è ormai materia prima gratuita che viene trasformata in dati comportamentali e poi venduta come ‘prodotti di previsione’ in un nuovo mercato quello dei ‘mercati comportamentali a termine’ dove operano imprese desiderose solo di conoscere il nostro comportamento futuro”.

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L’uomo come anthropos appare dunque obsoleto o, per usare sempre una definizione socio-antropologica, è antiquato (G. Anders), ha perduto ovvero la sua peculiare caratteristica umana e si è reso nei confronti dell’avanzare del capitalismo tecnologico automa regolato da efficientismo operazionale; vale a dire, tornando alle parole di Gunther Anders, che tutto ciò che produciamo non lo capiamo più perché non abbiamo più le vecchie categorie interpretative che ci permettono di affrontare le sconvolgenti trasformazioni della modernità. Si fa strada allora quella che sempre Anders definisce la teoria del «dislivello prometeico», un turbamento identitario, una vergogna della propria origine «che si prova di fronte all’umiliante altezza di qualità degli oggetti fatti da noi stessi». Pubblicità ieri ed esplosione oggi delle piattaforme social hanno finito per conferire agli oggetti prodotti dalla tecnica lo statuto ontologico dell’essere e reso manifesto, acclarato e certificato il mito secondo cui l’obsolescenza degli oggetti deve divenire una vocazione a chiamata mondiale per eternare il capitalismo della seduzione.

Andrea Alessandrino

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